nucleo comunista internazionalista
note




“RESISTENZA” E CAPORETTO

Se fosse servita una prova ulteriore del grado di autoaffondamento della “sinistra radicale” o, a contrario, delle sue capacità di rigenerazione questa è stata inequivocabilmente offerta –in particolare– dalle vicende relative alle elezioni comunali a Roma, soprattutto in occasione del ballottaggio.

Anche dei semplici semi–comunisti (contraddizione in termini, ma tanto per capirci: gente con un po’ di midollo spinale) avrebbero affrontato la batosta registrata alle politiche nel senso di un rigoroso esame delle proprie strutturali debolezze –diciamo così...– in vista di una riaffermazione delle (dimesse) “ragioni del comunismo”, magari riflettendo sui nostri suggerimenti in merito alla “sinistra in Italia”, non coperti da copyright. All’opposto, persino la sparuta schiera dei ri–piantatori di bandierine rosse sprovviste di ogni significato intrinseco (magari con Berlinguer invocato come ultimo nume tutelare, vedi Diliberto!, o i “rinnovatori” del PRC), dopo aver tanto tuonato contro il Veltroni che li ha “espropriati” attraverso il “trucco” (che tale non è!) del “voto utile”, si sono gettati a capofitto nell’impresa di tentare di recuperare posizioni “in proprio” attraverso un ulteriore slittamento frontista al centro non solo con l’infido Walter, ma addirittura con Rutelli. Bisognava, si dice, porre un argine alla disfatta, “resistere”. Sì, a Caporetto!

Un’operazione abbastanza vomitevole è stata quella, generalizzata al 100% in questo ambiente, di cercare di rilanciare, dopo il 20–21 il leitmotiv della “Resistenza”, del 25 aprile. Persino il fecondo e pungente Vauro è riuscito a produrre all’uopo la peggiore delle sue vignette degli ultimi anni: “Non passa l’Alemanno!”, presentato come ”erede” di Salò, del nazi–fascismo, delle leggi anti–razziali, del razzismo classico, o, in mancanza d’altro, dell’...omofobia (anche Corrado Guzzanti gli ha dato una mano in questo senso). E, allora: “oggi e sempre Resistenza”. Contro il nemico di sempre, sempre eguale a quello che fu a suo tempo; non attraverso i CLN armati contro l’”invasore” e con le spalle coperte (o dirette?) dall’imperialismo “liberatore” anglo–sassone o dal “socialismo” di Stalin, ma attraverso l’arma della scheda utile (veltronianamente utile!) ed un cartello ciellenino elettorale pro–Rutelli. Sintomatica e disarmante, in questo senso, la dichiarazione di allineamento “resistenziale” di Sinistra Critica: siamo contro Rutelli, anzi Rutelli ci fa francamente un po’ schifo, ma siccome lui incarna l’ultima trincea utile contro l’avanzata fascista (!!!), ci mettiamo a disposizione. Il Manifesto, sulla stessa linea, non ha risparmiato severe rampogne contro gli astensionisti non allineati, classificati come settari intellettualistici (senti da che pulpito!...) e piccolo–borghesi. Qualcuno, resuscitato dal passato, avrebbe potuto scrivere: “L’astensionismo “comunista” maschera della Gestapo”! Il povero Polo (Gabriele) si è accontentato di mettere per l’ennesima volta in guardia i suoi lettori contro l’incombente minaccia fascista che addirittura starebbe per mettere in pericolo “la stessa agibilità democratica” e severamente ammonisce: “Chi non lo comprende, vada pure al mare, ma il consiglio (per il suo bene) è quello di non tornare”!!!

Anche dal punto di vista dei risultati contabili l’operazione non ha funzionato per niente ed oggi, come se niente fosse, ci si interroga sulle “ragioni profonde” dell’ennesima sconfitta, beninteso ripetendo le stesse litanie. Dove abbiamo sbagliato? Perché il “resistenzialismo” non ha funzionato? Se lo chiede, con toni accorati e tentativi di spiegazione pietosa, lo stesso Valentino Parlato, che certo non è uno sprovvisto di comprendonio.

Il perché lo diciamo noi. Il richiamo passatista alla Resistenza non poteva funzionare per due motivi, tra loro strettamente interconnessi.

Primo: ad onta delle attese “spontanee” di tanta parte della massa proletaria (che tanto certamente ha dato di suo per una causa altrui nel corso della Resistenza), essa si è, alla fin fine, rivelata per quel che è stata e doveva essere, date le premesse: una gigantesca operazione di ristrutturazione “democratica” del capitalismo italiano nel quadro di una dilagante invasione imperialista statunitense a scala mondiale; le sinistre storiche, “comunista” e socialista, coinvolte in questo processo controrivoluzionario in nome della “democrazia progressiva” hanno successivamente, e di conseguenza, compiuto il loro tragitto normalizzatore in quanto forze pienamente ed integralmente borghesi legittimate entro e dal sistema, così come le vecchie forze sociali e politiche ispirate al fascismo vi si sono a loro volta adattate. Gli effetti della Resistenza vittoriosa (del capitalismo vittorioso!) si condensano precisamente in questo: si sono “definitivamente” cancellate via dalla società italiana le macchie del “comunismo” così come quelle del fascismo. Oggi, ognuno con sue specificità, siamo tutti egualmente italiani, tutti combattiamo egualmente per la patria, senza più ombra alcuna delle vecchie divisioni. La “pacificazione” invocata a suo tempo dai missini è oggi totale: gli eredi del vecchio PCI si chiamano oggi Veltroni e D’Alema, giurano sul nostro capitalismo di cui promuovere i coefficienti concorrenziali sul mercato imperialistico mondiale, stanno attivamente sotto l’ombrello NATO, protestano di non essere mai stati comunisti e dichiarano estinte le vecchie categorie della lotta di classe e di proletariato; gli eredi di Salò si chiamano oggi Fini o Alemanno, giurano sugli stesso valori, protestano la propria fedeltà ai valori antifascisti della Resistenza, considerano un’infamia le leggi razziali del ’38 e si fanno accogliere fraternamente a Tel Aviv, coppola ebraica in testa, e quanto a lotta di classe e proletariato si limitano a sottoscrivere il messaggio veltroniano. Resta l’ombra del passato? Ma, in questo caso, non avrebbe allora torto Berlusconi quando sproloquia sulla persistente (ed ultrafantasiosa) ombra del comunismo rivoluzionario terzinternazionalista applicato all’incolpevole PD!

Siamo seri! Quel passato non esiste più, e quanto alla legittimazione dei “ragazzi di Salò” –colpevole di mettere sullo stesso piano resistenzialisti e fascisti– ricordiamo che il primo segnale in questa direzione è venuto da insospettabili del calibro di Violante, che si è semplicemente limitato a registrare il percorso fatto successivamente da tutti coloro che “hanno combattuto in nome dell’Italia” per arrivare all’attuale stadio democraticamente omologato (ciò che significa per noi non meno reazionario). Può essere divertente ricordare i vari appelli “da sinistra” giunti a suo tempo ad AN con l’invito al neo–promosso “quasi progressista” Fini a non farsi fagocitare dal berlusconismo e dalla Lega (vedi L’Unità a suo tempo e qualche puntatina del genere persino più in là). Tutto conforme alla regola. D’altra parte, il discorso di insediamento di Fini alla presidenza della Camera è stato (giustamente, dal loro punto di vista) salutato da applausi bipartizan, cioè, in italiano, bipartigiani (della borghesia), e tanto basti!

Una volta passato all’incasso borghese il Risorgimento ottocentesco ci ha consegnato un’Italia non più divisa tra garibaldini, piemontesi, borbonici, papalini etc. etc. , ma un paese capitalisticamente unito (ovviamente con tutti i travagli del caso). Allo stesso modo la Resistenza ha realizzato un ulteriore passo in avanti in questo senso, senza più divisioni tra bisnipoti di Salò e di Stalin. Cosa rimane di antagonista sul serio? Ciò che tutte le varie “sinistre critiche” non vedono: il “vecchio”, giovanile e robustissimo, ed anzi destinato a fortificarsi, antagonismo di classe che si dovrà scontrare sino in fondo con l’insieme delle strutture borghesi post–sabaude e post–resistenziali. Vogliamo veramente attrezzarci per questa sfida? Innanzitutto occorre, allora, riconoscerla ed affrontarla come tale, apprestando le proprie armi. Ciò che va sul serio combattuto non è un fantomatico, inesistente “fascismo” (si veda in merito, alla voce materiali teorici, la ripresa di un “lontano” articolo del 1975 da Programma Comunista: Fascismo e antifascismo strumenti gemelli del rafforzamento dell'ordine costituito, ma questa democrazia imperialista che raccoglie in sé al più alto grado (democratico e bipartisan) il contenuto capitalisticamente permanente del fascismo. I partigiani proletari affrontarono in armi un fascismo vero: con ottime speranze ed intenzioni, ad armi cariche di proiettili, ma, ahinoi!, politicamente scariche e così destinate ad esplodere tra le loro mani. Vogliamo oggi ripetere quella tragedia trasformandola in farsa, per di più passando dai mitra alle... schede salvifiche? Se i vari Polo credessero a quel che dicono dovrebbero contrapporci al nostro “mare” le loro montagne.

Cari “compagni” della sinistra alternativa! Chi vuole mettersi a tavola convenientemente deve mostrarsi in grado di saper cucinare da sé i propri piatti, altrimenti non resta che acconciarsi al “meno peggio” degli altri. Ci viene in mente un (triviale) episodio della serie Monnezza con Tomas Milian. Il protagonista vi obbliga il povero Venticello (Bombolo) a trangugiare la propria m... lasciata sul luogo di uno scippo. Alle sue proteste, vi cosparge sopra una manciata di parmigiano. Il disgraziato Venticello riprotesta: sempre m... è, al che Monnezza risponde: “Sì, ma alla parmigiana”. Vi va la variante? Trangugiatela, ma poi non lamentatevi se vi piglia un colpo di vomito!



Breve codicillo, a memoria “antifascista”

L’Alemanno non deve passare in nome dell’antifascismo schedaiolo?

Lo “sdoganamento” dei cosiddetti fascisti (da operetta) data dal lontano 1982, allorché nel MSI tutti, a cominciare dal giovane Fini, si dichiaravano ancora “fascistissimi”. Chi ne fu l’artefice? L’ignobile duo Pannella–Bonino oggi aggregato al PD e presentato come “baluardo...antifascista”.

Lo ricordiamo attraverso una nota di Maria Antonietta Macciocchi, picista pentita e, per un certo tempo, fattasi radicale (Duemila anni di felicità, Milano, Il Saggiatore, p.632):

«Ero a Parigi (con un Interlocutore, n.) (..) Gli mostro un giornale, con la foto del mio capo del gruppo di “coordinamento tecnico per la difesa dei deputati indipendenti”, che saluta il congresso dei neofascisti a Roma. Il giornale è il Corriere della Sera, in data di una domenica di quello stesso febbraio 1982. Pannella vestito di scuro, incravattato: è proprio lui, senza ombra di dubbio. Sta dritto davanti a un microfono sul palco missino. Sui banchi del congresso si intravedono pacchi di “Biografie di Mussolini”, studi sulla “Necessità del razzismo”, poster multicolori che riproducono mitologie guerresche di supereroi nibelunghi. “Una foresta di braccia” scrive il Corriere saluta con il rituale braccio alzato Pannella. “Il fascismo è qui, caro Pannella” avverte Almirante.»

Pannella fascista? No, semplicemente promotore “antemarcia” della conversione democratica alla comune casa democratica dei (già allora) spompatissimi ex.

Coda veronese

L’orrendo fatto di Verona non solo ha stroncato una giovane vita, ma ha anche, disgraziatamente, riaperto in certi settori le cataratte dell’”antifascismo”. Chi si lamenta puntualmente (ed a ragione) dell’equazione idiota e criminale “immigrato = criminale”, persino rovesciandola specularmente nel suo opposto omologo in occasione di delitti commessi da italiani (“italiano = criminale”?) ed è arrivato al punto di lamentarsi dell’”uso” di un recente caso di stupro a Roma sotto ballottaggio come “manovra” forse “orchestrata” dagli alemanni, non poteva non cogliere al balzo quest’occasione tirandone in ballo la “matrice fascista” nel tentativo di rilanciarsi sulla scena politica (rammaricandosi senz’altro che questo delitto sia arrivato in ritardo, ad urne chiuse).

“Naziskin” ed “ultras da stadio”. Il quadro “fascista” è al completo (anche se, a dire il vero, ci è toccato leggere recentemente sul Manifesto un quasi–peana a favore degli ultras delle tifoserie, cui sarebbe ingiusto attribuire una data matrice politica ed alle quali andrebbe invece riconosciuta una certa carica “spontanea” anti–istituzionale, anti–statalista, diciamo pure anarchica). Ripetuto che gente come quella che si è resa colpevole del pestaggio mortale di cui sopra ci fa sommamente schifo, ci corre l’obbligo oneroso –visto certi umori “nel nostro milieu”– di evitare ogni improduttiva confusione in materia politica. Che costoro adottino costumi ed “idee” (chiamiamole così!) da branco e li usino contro tutto ciò che sa di “diverso”, di “debole” e, soprattutto, socialmente solidale deriva certamente da un humus materiale qual è quello tipico dell’attuale sistema borghese in putrefazione e solo da questo punto di vista può e deve essere etichettato come “destra” (cioè come esasperazione estrema di ciò che sta... al centro del sistema), senza che si possa tirare in ballo fascismi storici, post–fascismi ed attuali fascioresistenziali alla AN. Quello che diciamo non è, badate bene!, un “condono” che concediamo alle forze di destra politica oggi in campo in giacca e cravatta: per suffragare la nostra ripulsa nei loro confronti non ci serve giudicarli “ispiratori” e “complici” dei naziskin. Stiamo ai fatti. Ed i fatti sono altrimenti gravi ed ancora più gravi se li consideriamo per quel che sono.

L’”educazione” impartita sempre ed ovunque dal presente mondo borghese è quella, per definizione, competitiva ed aggressiva (“farsi largo nella vita” significa per forza di cose spintonare chi c’intralcia il percorso); è l’”educazione” alla sopraffazione, al “super–uomismo” di chi “non deve chiedere”, ma solo prendere, con le buone o, preferibilmente, con le cattive. Gli atti di bullismo violento nelle scuole, gli stupri in branco compiuti da giovanissimi (e, comunque, la degradazione in generale di quelli che dovrebbero essere le prime esperienze di amore in sport pornografico estremo da parte di molti di essi), i vandalismi gratuiti etc.etc. non hanno realmente alcun bisogno di riferimenti “nobili” di tipo fascista in senso proprio. Sono il frutto di una società di per sé fascista, se proprio si volesse usare impropriamente questo termine, in piena democrazia e coi suoi reggitori dello Stato assolutamente “puliti”, ed anzi invocanti regolarmente la “tolleranza zero” per il prodotto naturale della società che essi esprimono. I modelli non sono alcun Mussolini od Alemanno, ma piuttosto l’indigestione di merda che quotidianamente ci sommerge da parte della stampa e della TV, con i programmi alla De Filippi–Costanzo, le isole dei famosi e i grandi fratelli, l’invasione velinara, le rubriche dei “gossip” su televideo (andate a scorrerle!) e via dicendo, il generale richiamo “educativo” al potere dell’Individuo al di sopra di tutti e contro tutti i “non competitivi”. A questo humus toccherebbe dare una risposta vera, in senso sociale complessivo, non lasciandone il compito, tanto per incominciare, alle parrocchie, oggi unico, o quasi, argine (ma narcotizzato) tra i giovanissimi contro questa tendenza generalizzata. Ed è questo il vero compito non assolto dalla nostra parte. La scorciatoia “antifascista” da burletta non porta da nessuna parte utile.

Una osservazioncella sullo scandalo scatenato dalle parole di Fini. Costui, in realtà, si è “limitato” a dire che tra i fatti di Verona e quelli di Torino non c’è rapporto possibile e che ai primi va provveduto con la “tolleranza zero”, ma i secondi sono politicamente più gravi. Per noi, evidentemente, le cose non stanno così. Fatti come quelli di Verona non sono semplicemente riconducibili ad una trasgressione delinquenziale, ma rientrano “indirettamente” nella normalità di questa società, ben difesa dagli zero–tolleranti. Siamo, però, a modo nostro d’accordo sulla seconda affermazione: i fatti politici –cioè quelli attorno ai quali l’antagonismo si afferma collettivamente– sono quelli che più pesano gravemente. Ci limitiamo a rovesciarne la lettura: più grave del delitto veronese è l’allineamento ad un sionismo che di simili delitti ne conosce anche più di uno, ed a coefficienti numerici assai più estesi, ogni giorno. E’ gravissimo che sistematicamente e in tutta tranquillità “democratica” li si sottoscriva in nome dei “diritti indiscutibili” di Israele (Napolitano dixit).

Una ripresa di iniziativa nostra su questo terreno è perciò da salutare con forza e fa un tutt’uno con l’azione di cui sopra per la ricostituzione di un tessuto collettivo militante contro l’insieme dell’immonda fogna che ci circonda. Questa azione deve cominciare sin dalle prime basi, dalla stessa infanzia. Ricordiamo come i vecchi partiti comunisti –comunisti sul serio!– avessero costituito dei gruppi dell’infanzia proletaria in contrapposizione all’opera “educativa” della scuola borghese con la sua “rovinosa mentalità patriottarda e nazionalista” “per strappare la nostra infanzia dalla perdizione” borghese (prendiamo da un documento del ’22 del PC di Fiume). Scuola, caserma e chiesa, si diceva una volta... come terreno di lotta nostra. Politicamente, socialmente gravissimo!

10 maggio 2008