nucleo comunista internazionalista
riceviamo e pubblichiamo/segnalazioni




NO WAR O NO CAPITALISM?
(DA TRADURRE IN ITALIANO)


Riceviamo da Napoli un documento della Rete Napoletana Nowar (consultabile sul sito www.napolinowar.wordpress.com) in cui si traccia un quadro largamente condivisibile dei “rumori di guerra” in atto ad opera dell’imperialismo, con ovvia sede centrale a Washington. Anche senza esser convinti che il prossimo conflitto imperialista mondiale sia immediatamente alle porte questo quadro non fa troppe grinze, e noi potremmo tranquillamente condividerlo, anche perché perfettamente in linea con quanto andiamo da tempo scrivendo. Ci ritroviamo perfettamente con l’“analisi” dei fatti, e tanto più con la petizione anticapitalista che la pervade e, soprattutto, con l’affermazione “Da che parte stare: contro il ’nostro’ imperialismo”. Ciò che ce ne distanzia è il richiamo alquanto etereo alla necessità di rimettere in campo un movimento no war in grado di “riprendere” il suo glorioso passato semplicemente depurato dalle “insufficienze” che lo avevano gravato. Di esso si registra da un lato il fallimento (momentaneo? casuale?), dall’altro lo si vorrebbe rieditare “al meglio” pur registrandone l’attuale assenza. Manca qualcosa: l’attitudine ad un indirizzo comunista nel movimento di ieri che rischia di esser replicato rispetto a ciò che eventualmente potrebbe venire domani. Qualche parola in merito va sprecata.

Quando “esplose” il movimento no war noi (allora OCI) ci spendemmo al massimo nei suoi confronti nel tentativo di dirigere la più parte possibile di esso in senso comunista rivoluzionario. Alcuni “ultrabordighisti” (e Bordiga non c’entra per nulla nella faccenda) scrivevano che questo movimento era il prodromo di una mobilitazione bellicista a favore dell’imperialismo. Noi, con Lenin (ed Amadeo), eravamo dell’idea che bisognasse profittare di ogni e qualsiasi petizione antiguerrafondaia per indirizzarla nel nostro senso combattendo da cima a fondo contro il “pacifismo piccolo-borghese”. Sapevamo benissimo che astraendo dal risultato di un intervento comunista effettivamente il no war si sarebbe potuto tramutare nel suo opposto, ed oggi, stando ai dati di fatto, l’ultraestremismo può vantare di “aver visto giusto”. Sì, a patto di non aver svolto il lavoro che era ai comunisti conseguenti demandato. Non essendo dei rinunziatari a priori noi abbiamo svolto il nostro compito riguardo al movimento per quel che era (confusissimo all’estremo, ma comunque pesante) per portarlo al suo poter/dover essere al di là e contro e i suoi presupposti ideologici di partenza (compito provvisoriamente fallito per forza di dati materiali ben inventariabili), e di ciò non abbiamo nulla di cui pentirci.

All’interno dell’allora OCI ci fu chi, di fronte agli scarsi esiti organizzativi del nostro lavoro, trovò che il difetto non stava nella realtà confusa, piccolo-borghese, del movimento no war nel suo insieme, ma nella nostra attitudine a “separarci” da esso così com’era (un movimento inarrestabile, “rivoluzionario” di per sé), nel nostro voler porre dei “paletti” estrinseci, “ideologici” (certo: il comunismo è un’“ideologia”!), nel non esserci incondizionatamente dentro (o, per dirla chiaramente, alla coda, come “parte del movimento stesso”).

La “summa” di questa critica è tuttora rintracciabile, per chi ne volesse prender atto, in certi “testi” di contestazione anti-OCI da parte di transfughi “interni al movimento” contro il nostro... settarismo “ultimatista”. Siamo a disposizione dei compagni che ne volessero avere alcuni saggi mettendo a disposizione di essi le reprimende movimentiste che ci furono allora indirizzate qualora gli autori di esse si vergognassero di riesibirle.

Leggiamo oggi che “i rumori di guerra si avvicinano in maniera crescente al centro dell’area europea, ma tutto questo non sembra ridare vitalità a quel movimento contro la guerra che di fronte all’aggressione all’Iraq del 2003 (e si dimentica il caso jugoslavo, n.n.) seppe portare in piazza milioni di persone per denunciare la natura brigantesca di quella invasione anche se si mascherava dietro le insegne della missione umanitaria e del ripristino della legalità internazionale”. Il fatto è che quel movimento non “si mascherava” dietro qualcosa di insufficiente (ideologicamente?) superabile nei fatti, ma rimaneva dentro una cornice “pacifista” priva di sbocchi per la sua intrinseca assenza di una prospettiva anticapitalista: la guerra come accidente rimovibile entro il sistema in base, per l’appunto, alla “legalità internazionale”, la pace, la giustizia, il rispetto dei popoli rispettando il capitalismo, quello buono, s’intende. E non è contro questo indirizzo che, “stando nel movimento”, si doveva agire?

I compagni della Rete Napoli Nowar la dicono bene: “Ma potremmo citare la vicenda libica e quella siriana per restare agli episodi più recenti di mistificazioni, di mire imperialiste e di aggressioni verso altri paesi, mascherati dietro le insegne degli interventi umanitari e della difesa della democrazia. In nessuno di questi casi abbiamo sentito forte la voce del pacifismo né quella degli attivisti della sinistra radicale denunciare i veri obiettivi di quella politica, ma in compenso abbiamo dovuto assistere, anche presso settori di questi compagni, al suo sostegno esplicito o implicito in nome della difesa dei rivoltosi, in nome della democrazia e dei diritti civili violati”.

Perfetto! Ed è questa la pietra tombale del “pacifismo” che non arriva ad essere anticapitalismo ed, anzi, al capitalismo, si accomoda. Ed allora? Eravamo davvero dei semplici “parolai” (questa l’accusa principe che ci è stata rivolta a suo tempo) quando ponevamo esattamente il compito dei comunisti nel movimento per dirigerlo verso il suo zenit comunista?

Come se ne esce? Riproponendo un movimento no war bello e lindo perché i rumori di guerra si stanno pericolosamente avvicinando alle nostre frontiere? No! La lotta contro la minaccia militare imperialista può darsi solo attraverso un attrezzaggio dei compagni a denunziarla come l’esito obbligato del sistema capitalista e non una sua “anomalia” contrastabile a suon di petizioni “pacifiste”. Esattamente quella che fu la nostra attitudine rispetto al movimento precedente ed a ciò che si presenterà in futuro. Verrà il momento in cui “la gente” si accorgerà della minaccia militaresca che incombe su di essa toccandola da vicino (e non più solo in qualche remota contrada) e ridiscenderà in piazza, ma sempre più occorrerà che, allora, siano presenti dei compagni che lavorano da partito per il comunismo. Il “contrasto al crescente militarismo” può avere un senso solo in questa prospettiva. La riedizione di un movimento no war astratto da ciò vale un fico secco, o addirittura apre le porte alle derive che gli stessi compagni qui citati “descrivono”. Descrizioni, lo diciamo francamente, tutte perfettamente puntuali. Salvo che manca qualcosa, l’essenziale, la nostra parola (non parolaia!).

5 aprile 2014