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Lotte nel polo logistico piacentino: su una corretta linea di classe

Da “il manifesto”, sempre più impegnato a darci conto quotidianamente di primarie, di elezioni, di equilibri parlamentari e di presunte alternative di sinistra basate su osceni connubi tra giudici “democratici” e presunte avanguardie di massa aspiranti a correggere le storture del capitalismo ma in sostanza pronte a sostenere, facendo squadra, la patria nella competizione internazionale, ecco un bel reportage su lotte operaie, nella fattispecie di immigrati: ciò che ci ha colpito, leggendolo, è che non si tratta del solito resoconto di gesti di disperazione per la perdita del posto di lavoro, scioperi della fame o di stazionamenti su ciminiere, pietendo dai pubblici poteri una soluzione occupazionale, ma di lotte per la difesa del posto e delle condizioni di lavoro nonché della propria dignità di lavoratori. Il lavoratore intervistato racconta il nascere delle lotte, le paure, la divisione esistente tra i lavoratori, il silenzio dei sindacati ufficiali, l’aiuto dato loro dal SI Cobas e soprattutto evidenzia un punto fondamentale: gli interessi dei lavoratori sono contrapposti a quelli del padrone e solo nella solidarietà tra lavoratori e nell’estensione delle lotte si può avere un vero rafforzamento del proprio fronte e della propria unità, con maggiori possibilità anche di conquiste.


Ma procediamo con ordine.

Negli ultimi anni le lotte degli immigrati sono esplose a volte violente, mettendo a nudo una condizione lavorativa da veri schiavi (tutti i lavoratori sono schiavi del capitale, ma tra loro c’è una gerarchia: il lavoratore italiano alla catena di montaggio non si trova, ad es., nelle stesse condizioni dell’immigrato che raccoglie pomodori al Sud) sia durante il lavoro sia durante il “tempo libero” dal lavoro (qui si può dire veramente che il tempo “libero” serve solo a ripristinare le forze per lo sfruttamento del giorno successivo, in un vero girone infernale: tutti ad es. sono venuti a conoscenza delle infami condizioni di vita dei lavoratori immigrati di Rosarno dopo il loro giusto scoppio di rabbia: ma davvero nessuno prima le conosceva? E il sindacato dov’era?)


Ma ora non parliamo degli immigrati che sono sfruttati al sud nei campi; ci portiamo al nord, nel mondo delle cooperative.

Già l’anno scorso a Basiano (vicino a Milano) degli immigrati che lavoravano nell’“Alma Group”(azienda “cooperativa” di facchinaggio del polo logistico Gartico Scarl) erano stati licenziati su due piedi, ed essi avevano reagito giustamente con uno sciopero ed un presidio: sarebbero stati sostituiti da altri immigrati assunti a condizioni e paghe peggiori. Durante il tentativo di fraternizzazione tra i licenziati ed i nuovi operai (essi pure in maggioranza immigrati),

sono partite le cariche della nostra “democratica” Benemerita, con arresti e feriti (tra i lavoratori, beninteso: a volte resta ferito anche qualche benemerito “lavoratore della sicurezza” su cui, all’occorrenza, la “sinistra” versa lacrime pietose). Citiamo questo fatto che ha avuto scarsissima risonanza sui mezzi di informazione “democratici” (tranne che su “il manifesto”) e al solo scopo di dimostrare “la degenerazione della protesta ... in vere e proprie scene di guerriglia urbana” (“Il Giorno.it – Milano Martesana”, 11.6.2012): si è trattato di una lotta che non ha dato i risultati sperati, se non quello di saggiare sulla propria pelle l’umanitarismo della democratica Italia nata dalla Resistenza.


La lotta di cui parleremo ora, invece si è sviluppata sempre al Nord, ma con esito ben diverso.

Siamo nel polo logistico di Piacenza, in uno snodo centrale del traffico autostradale e ferroviario, ove operano i principali marchi globali e molte imprese. Il “manifesto” (11.01.13) ricorda che la sua posizione di fulcro degli scambi verso l’est ed il sud del Mediterraneo verrà rafforzata dall’agognata costruzione del corridoio 5 da Kiev a Lisbona, il famigerato TAV. Qui le lotte sono iniziate nell’estate del 2011: i lavoratori della TNT (al 90% immigrati) si sono rivoltati contro le inumane condizioni di lavoro; i sindacati “ufficiali” (tutti!) erano “assenti o, peggio, complici del padrone”. “In Emilia – Romagna, regione tradizionalmente «rossa» le «cooperative» costituiscono un blocco di potere economico-politico, spesso sovrapposto ed indistinguibile rispetto alla CGIL ed al PD.”

L’intervista de “il manifesto” viene fatta all’immigrato “motore” di queste lotte, Mohamed Arafat, egiziano, che, prima in Italia del Sud, poi a Piacenza, ha conosciuto il vero volto del capitalismo democratico italiano: “Al Sud ho conosciuto lo sfruttamento brutale e la fame. Il padrone fa quello che vuole... Non è diverso al Nord, come alla TNT: vieni per lavorare 8 ore e dopo due ti mandano via, alla fine ti ritrovi con uno stipendio di 200-300 euro.”

“Il primo problema era unire tutti i lavoratori all’interno dell’azienda e sconfiggere compatti la paura, il ricatto di un salario basso o di perdere il posto, una pressione continua che ha fatto ammalare tanti lavoratori. Per comandare ci hanno messo uno contro l’altro, italiani contro stranieri (che sono il 90%), egiziani contro marocchini”.

Qui viene affrontato il primo punto essenziale per iniziare una lotta: la creazione della maggiore unità possibile tra i lavoratori. Notiamo subito che ci si muove su una linea che è l’esatto opposto di quella seguita non solo dai padroni (razzismo e conseguente divisione tra lavoratori italiani e stranieri, che spesso sono oggettivamente “giocati” contro gli italiani in quanto maggiormente ricattabili; ma anche regionalismo, localismo ed aziendalismo in una discesa senza fine verso la massima divisione tra i lavoratori) ma anche dei “partiti di sinistra”e dei sindacati (e non solo di quelli “complici”) che hanno ormai introiettato le esigenze del capitale nazionale. Serve quindi unità, perché si tratta di una lotta, di una guerra di classe, e, davanti ai padroni uniti ed alla forza repressiva dello Stato, solo l’unità può tendere a bilanciare l’enorme disparità di forze.

“La sfiducia (tra lavoratori di diversa “estrazione” ed origine nn) che il padrone ha costruito negli anni, noi l’abbiamo distrutta in pochi mesi di lotta”. Sì, è proprio così: la lotta, anche quando non risulta vincente, neutralizza le divisioni e crea fraternità di classe (“Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l’unione degli operai si estende sempre più” Il Manifesto del Partito Comunista).

Il singolo operaio non può nulla contro il padrone, è spinto a lavorare sempre di più in concorrenza con i suoi compagni. “E’ un metodo schiavistico. Quando incitavo qualcuno a dire di no, mi rispondeva che non poteva, altrimenti lo cacciavano”.

E qui questo sistema schiavistico è gestito da cooperative che si rinnovano e si trasformano, ma sempre riescono a fregare gli operai: “Vogliamo innanzitutto eliminare il sistema delle cooperative. E’ meglio avere a che fare direttamente con l’impresa”. (Ed è ben noto come i “soci”, che in realtà sono dei dipendenti, non godano di riposi, ferie, malattia, etc.).

La lotta parte da un piccolo gruppo di lavoratori, i più determinati, pur fra le minacce dei padroni e dei loro scagnozzi. Ma la loro determinazione ha pagato ed il gruppo si è allargato, con la contemporanea crescita della consapevolezza della propria forza potenziale.

“Ma per fare sciopero siete andati alla ricerca di un sindacato”, chiede l’intervistatore (eh già, per fare sciopero serve proprio un sindacato, magari riconosciuto ed in grado di effettuare trattative, meglio ancora uno di quelli che hanno aderito via via alla limitazione del “diritto” di sciopero – sull’argomento si veda il nostro articolo “Continua l’affondo contro i lavoratori: nuova regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici” –, in quanto è meglio discutere con il padrone certe questioni ed addivenire ad un accordo senza danneggiare la produttività e la capacità concorrenziale della Patria nel mercato internazionale.)

Ma ecco quale opinione hanno questi lavoratori dei sindacati: “Noi non sapevamo neanche che cosa volesse dire sindacato: lo conoscevamo solo per il rinnovo del permesso di soggiorno, per i ricongiungimenti familiari o per compilare un modulo, come un’agenzia di servizi. Non ci siamo

mai rivolti a loro per rivendicare diritti, perché quando qualcuno si lamenta, dicono ’lavora e zitto’, hanno dimenticato la lotta. Allora sono andato in giro a cercare un sindacato disponibile a sostenerci nelle lotte, intese come diciamo noi, facendo scioperi e picchetti, che colpiscano gli interessi del padrone. Infatti, non deve essere il sindacato ad utilizzare i lavoratori, ma devono essere i lavoratori ad utilizzare il sindacato. Nel luglio 2011 abbiamo incontrato il S.I.Cobas... sono stati disponibili, abbiamo iniziato ed abbiamo vinto”. In poche parole ecco una asciutta e realistica descrizione dello stato attuale dei sindacati: agenzie di servizi, collusi con il “sistema Italia” e, nel migliore dei casi, “distratti” circa le reali esigenze dei lavoratori, capaci di incitarli a produrre di più e meglio in collaborazione con i propri padroni nella guerra (per ora commerciale) contro altri lavoratori che si trovano più o meno nelle loro stesse condizioni. Sì, questi lavoratori cercavano un sindacato che realmente li sostenesse nelle lotte, con le armi proprie della lotta operaia: scioperi e picchetti e non già innocue processioni di finanche migliaia e migliaia di persone (cittadini?) che chiedono al capitale di fare meglio il proprio mestiere, oppure sindacati che, nei casi di lotta, sono spinti (a malincuore) dalla reale pressione della classe operaia.

La lotta ha ottenuto “il riconoscimento del contratto nazionale, aumenti salariali (prima la paga base era di 6 euro all’ora), tredicesima, quattordicesima, ferie e permessi. E abbiamo ottenuto la dignità, che è ancora più importante dei soldi. Prima si andava a lavorare come in galera, ogni giorno era peggiore del precedente, ora abbiamo vinto la paura che era usata dal padrone per far morire ogni lotta. Adesso sappiamo che se non lottiamo per cambiare la nostra vita, nessuno lo farà per noi: siamo noi a fare il nostro futuro.”

Ma che cosa dice questo lavoratore dei partiti di cd estrema sinistra? “A Piacenza Rifondazione faceva una volta all’anno una manifestazione per gli immigrati, che non erano nemmeno tanti; dopo la lotta alla TNT, facciamo una manifestazione ogni due settimane.” Eh già, con il passare del tempo anche i partiti di estrema sinistra si sono “dimenticati” degli immigrati e delle lotte, concentrati come sono sulla “lotta elettorale”, alleanze, contatti con “magistrati democratici”, desistenze e via dicendo: tutto purché nell’ambito del quadro istituzionale e della Costituzione, che viene invocata in ogni occasione, come se fosse la bandiera del riscatto dei lavoratori e non quella dello Stato capitalista italiano.

E che dire dei lavoratori italiani? Da questo lavoratore arriva un secco avvertimento: “Così dovrebbero fare anche gli italiani, perché se va male, un giorno l’immigrato andrà via, mentre gli italiani resteranno qui: la lotta è di tutti.”


“Dopo la TNT, è partita la Gls, il gruppo Antonio Ferrari, ...abbiamo cercato di allargarla il più possibile nel nord Italia, come all’Esselunga, e al centro-sud, ad esempio, all’Sda di Roma”.

“La lotta è un’arma fondamentale: con l’unità, (dimenticando l’origine etnica ) si combatte la paura e si può vincere ogni battaglia.”

Nel giugno 2012 iniziano le lotte contro il consorzio di cooperative del colosso globale Ikea. “Anche qui dopo le prime lotte si ottengono i risultati sperati con l’applicazione del contratto collettivo nazionale” dice il lavoratore intervistato. “Sempre più nella crisi siamo come delle macchine, ci schiacciano per elevare la produttività, però il salario è sempre lo stesso.” All’azienda, che ha risposto alle lotte “cercando dopo pochi mesi di ritornare alla situazione pre-sciopero: aumenti dei ritmi, riposi forzati, richiesta di straordinari, sospensioni”, i lavoratori hanno risposto virilmente con blocchi quotidiani a cui la polizia rispondeva con violenza estrema, con feriti e denunce (e teniamo presente che queste lotte sono state condotte da lavoratori immigrati, che sono la parte più ricattabile della classe lavoratrice). All’Ikea, nel dicembre scorso, è stato organizzato anche un picchetto, ottenendo la solidarietà dei clienti, “perché sono sfruttati come noi”. Quest’ultimo è un punto molto importante: i sindacati “ufficiali” cercano di non “intralciare” con le loro tiepide manifestazioni, spesso organizzate il sabato, il normale fluire della vita del “cittadino utente”, sostenendo che in questo modo da esso non proviene una reazione negativa.

Invece una lotta operaia riesce ad ottenere la solidarietà degli “utenti” (si ricordi ad es. la solidarietà ottenuta dai ferrovieri francesi, in uno sciopero generale prolungato negli anni 90, da parte degli “Utenti”). La classe operaia in lotta riesce a trascinare con sé anche parti di classe “media” in via di proletarizzazione.

Ma per essere efficace, la lotta deve essere “credibile”, cioè “reale”: “Il padrone vede solo il suo interesse: è lì che dobbiamo colpire”: “di fronte alla determinazione dei lavoratori ed alla ricomposizione delle lotte, è stato il padrone ad avere paura. In ognuno dei tanti blocchi a gatto selvaggio, il danno è tanto e difficilmente misurabile, sia per le mancate consegne ed i ritardi che mandano in tilt l’intera catena della circolazione, sia perché colpisce l’immagine, che oggi materialmente significa soldi e profitti. Il fragile just in time dello sfruttamento è stato rovesciato nel potente just in time dei conflitti.”

“Se vai con la bandiera a fare uno sciopero tradizionale o sali sul tetto, puoi stare lì anche tutta la vita, non cambierà niente. Basta con lo sciopero della fame o cose del genere, perché la fame la deve fare il padrone! A noi basta già la sofferenza che viviamo tutti i giorni sul posto di lavoro”.


Quindi, lotta su una giusta linea di classe, senza tener conto delle “compatibilità”: solo così ci si può difendere ed evitare di scendere un gradino al giorno nel girone infernale nel quale il sistema capitalistico vuole cacciarci. Questi lavoratori ed i compagni del SI Cobas che li hanno sostenuti in prima persona hanno dato l’esempio. A tutta la classe l’invito a seguire questa via!

21 gennaio 2013