nucleo comunista internazionalista
riceviamo e pubblichiamo/segnalazioni





LO SURDO, OVVERO L’ASSURDO

Un simpatico compagno che stava con noi nell’OCI, poi con i nostri dissidenti dall’impronunciabile sigla yankee ed oggi si trova impegnato –sempre da compagno– in altro campo da noi assai lontano, intrattiene spesso con noi un’utile corrispondenza in vista di un (sempre di per sé proficuo) scambio di “opinioni”. Probabilmente le rispettive posizioni politiche, sue e nostre, non sono oggi più distanti di quanto stavamo estemporaneamente assieme sotto una stessa sigla, ma noi, di regola, siamo sempre per un certo tipo ed una certa metodica di “discussione” e salutiamo con favore lo scambio di cui sopra. Da ultimo, questo compagno ci ha trasmesso un testo di Lo Surdo sulle differenze tra marxismo occidentale e marxismo orientale (siamo alla geopolitica marxista!) chiamandoci a prendere sul tema un’articolata posizione. Nessun problema per noi.

Già in un recente passato il Lo Surdo (personaggio non sprovveduto, ma, ahinoi!, provveduto a contrario) se ne è uscito con una rivalutazione di Stalin –salve le critiche alla mancanza da parte sua della “democrazia formale” (l’ultima cosa che ci interessa)– e, puntualmente, Contropiano, cui il nostro compagno in oggetto collabora, gli ha fatto eco in positivo. In fondo, abbiamo letto sulle pagine di questa rivista, i famosi “crimini” di Stalin vanno ridimensionati di brutto. Un po’ come dice la Chiesa Cattolica rispetto alla Santa Inquisizione e ai roghi delle “streghe”: cifre esagerate e sempre in nome di buone intenzioni per la salvaguardia della fede. Vi abbiamo anche appreso che il buon Stalin metteva sì sotto processo dei “singoli” compagni (in pratica tutto il “vecchio apparato” bolscevico), ma i solerti giudici chiamati a difesa del “socialismo in un solo paese” si rivolgevano agli imputati destinati alla forca chiamandoli amorosamente “compagni”; e che volete di più? Anche il Termidoro, d’altronde, si rivolgeva ai giacobini da destinare alla ghigliottina chiamandoli “cittadini”, e siamo pari. Tutto molto bello e commovente: farsi mozzare la testa da concittadini o compagni è una bella soddisfazione, non ne dubitiamo (ma preferiremmo comunque non farne l’esperienza).

Nel recentissimo “studio”del Lo Surdo il discorso di cui sopra si articola ulteriormente. Cerchiamo di riassumere: il “marxismo orientale” (successivo agli esordi teorici “astratti” di Marx ed Engels, non precisamente orientali od orientaleggianti) ha avuto il merito di voler misurarsi col problema concreto della conquista e della gestione del potere, inevitabilmente pagando qualche piccolo scotto in termini di metodi e situatati operativi, mentre quello “occidentale” sembrerebbe essersene disinteressato, accontentandosi di proclamazioni di principio infischiandosi di “fare” la rivoluzione e farsi carico della transizione... E un’ulteriore riprova della superiorità del “marxismo orientale” consisterebbe nell’aver, da un lato, affrontato le questioni dell’”edificazione del socialismo” e, dall’altro, di aver impulsato la lotta di liberazione nazional–coloniale, dall’Africa all’Asia ed, oggi, all’...orientale America Latina.

La summa cui arriva Lo Surdo è, naturalmente, che il “socialismo reale” è andato in pezzi in “patria” (termine quanto mai appropriato!) per le mene e i tradimenti di certi “personaggi” (da Chruscev a Gorbaciov –cui, per altro, fessi suoi pari guardavano come “via rigenerativa” per un socialismo da XXI secolo prima di accorgersi di venirne fottuti). Ci risparmiamo i commenti quanto ad “analisi” del genere. Se una formazione sociale a pretese “socialiste” mette capo al trionfo endogeno(ovviamente entro un quadro internazionale in grado di determinarlo) del capitalismo puro e semplice ciò non può, evidentemente, dipendere da “casi” personali del tipo sovradescritto. Una “trama” può rovesciare un trono, ma non far fuori un sistema sociale dato né tantomeno sostituirvi un altro a proprio piacimento. E’ precisamente quanto noi(e non parliamo del nostro infimo gruppo, ma di una precisa tendenza marxista ortodossa) abbiamo da tempi immemorabili –a nostre spese– segnalato in opposizione alla china storicamente segnata nei suoi esiti, se non efficacemente contrastati, dello stalinismo

Se può far piacere a Lo Surdo, noi riconosciamo che Stalin ha vinto democraticamente sull’opposizione di sinistra, “orientale” ed “occidentale” assieme, sfruttando appieno le tendenze “spontanee” (cioè materialmente pesanti) delle “basi sociali” interne all’URSS e del rinculo della rivoluzione in Occidente. Sì, noi siamo stati democraticamente sconfitti (e poi legalmente massacrati in nome di una “legalità socialista” sottoscritta “liberamente” dal “popolo”): ulteriore argomento d’appoggio per la rivendicazione di Stalin come espressione della “libera volontà delle masse” contro le “fantasie” internazionaliste. Mai abbiamo opposto al trionfo dello stalinismo la rivendicazione della democrazia formale destinata a fregarci. Resta appena la questione degli opposti indirizzi in campo su cui posizionarsi in quanto comunisti.

Il ridicolo di Lo Surdo sta nell’ipotizzare che il discrimine tra noi e loro consistesse nella tendenza del “marxismo occidentale” ad astrarsi dal problema “concreto” del potere, scartato fondamentalmente come proprio orizzonte d’azione. Per suffragare questa bufala Lo Surdo si riferisce ad un presunto contro–marxismo occidentale che andrebbe da... Sartre a Negri. Ci si dimentica allegramente sia della vecchia guardia bolscevica (declassata a forza ed a somma del ridicolo come “extra–orientale”, quindi fasulla a livello dei Bertinotti) e del possente movimento di partito e classe datosi in tutta Europa, con epicentro in Germania, ma con robuste, anche se scomode a nominarsi, propaggini in Italia. Ci si dimentica della Luxemburg e, non vi dispiaccia, di Bordiga (per gli stalinisti: la prima una gallina, l’altro un agente della Gestapo) e ci si dimentica, guarda caso!, di considerare quanto le giravolte “tattiche” staliniste hanno giocato nell’affossamento di questo movimento. Sino al ’33 in Germania rimaneva in piedi una forza segata dallo stalinismo (tutto agli atti, ma ciò poco importa ai cultori del “piccolo padre” dai... figli dissipatori, naturalmente per puro caso di deviazione genetica). Il neo–orientalista Lo Surdo, ahinoi!, ha fatto parte e fa parte della banda... “occidentale” (noi diremmo universale) dei dissipatori di questa eredità, dietro ai Gorbaciov, ai Bertinotti ed ai successivi racimolatori di briciole elettoralistiche di “estrema sinistra” prossime a unirsi in cartelli CLN con i Ferrero e i Diliberto alla coda di Di Pietro. Tutto qui.

Resterebbe in piedi la grossa e vera questione dell’impulso alle lotte di liberazione nazionale su cui noi “occidentali”, con Bordiga, ci siamo affannati per decenni a lavorare (ma non fatelo sapere al nostro Santo Inquisitore!). Ebbene, consideriamo da vicino la questione. Marx ed Engels per primi, pur sprovvisti di occhi a mandorla, analizzarono da par loro la prospettiva della sollevazione dei colonizzati (rileggetevi la raccolta di scritti “India Russia Cina”). Lo fecero a partire dalla considerazione che il capitalismo colonizzatore e poi imperialista costringeva materialmente questi paesi a ribellarsi all’oppressione “occidentale”, ma non in nome di supposte “vie nazionali”, bensì in un intreccio determinato dall’incipiente globalizzazione capitalista tra lotte di liberazione nazionale e socialismo internazionale: l’”inedita” scritta liberté egalité fraternité sulla Muraglia Cinese di ciò era il prodromo, e lo era grazie alla selvaggia incursione del capitalismo occidentale in questi paesi bruscamente risvegliati, per dirla con Lenin, dal “torpore asiatico”. Baku (settembre 1920, Congresso dei Popoli dell’Oriente indetto dalla III Internazionale), il massimo dello sforzo nostro in questa direzione, non alludeva a Castri e Chavez “nazionalsocialisti”, ma alla rivoluzione mondiale. La posta in gioco era: o il movimento di liberazione nazionale resta chiuso in sé stesso, limitato entro impotenti confini democratico–borghesi inconcludenti, o può metter capo al raccordo tra esso (fenomeno oggettivo, non “creato” da nessun centro politico esterno) ed il generale movimento comunista rivoluzionario internazionale (prospettiva più che mai attuale a 90 anni di distanza da Baku, salvo il venir meno del punto di raccordo allora incarnato dalla Terza Internazionale).

Lo Stato“sovietico”, è vero, ha in qualche modo fatto poi d’appoggio alle lotte di liberazione nazionale, ma come puntello della propria politica statuale, per l’appunto, rompendo con la prospettiva internazionalista di Lenin (e di noi altri poveretti). E lo ha fatto a modo suo. Ad esempio minando alle radici il potenziale della rivoluzione cinese nel ’27 grazie alla realpolitik suggerente rapporti fraterni col Kuomintang (e Mao farà la sua rivoluzione democratico–borghese proprio svincolandosi dai lacci dello stalinismo, troppo stretti anche per questi angusti obiettivi: dopo, come di regola, verranno come eredi i Deng e soci successivi, così come Stalin ha lasciato Putin quale suo ultimo erede). Uno potrebbe dire: comunque sempre appoggio a queste lotte c’è stato. Un attimo: nel corso della seconda guerra mondiale (svolto non secondario, ci sembra) lo stalinismo ha precisamente “proibito” ai movimenti di liberazione nazionale di svolgere i loro compiti contro i propri oppressori occidentali in quanto parte del comune fronte “antifascista”, esponendo al ludibrio i tentativi “autocentranti” delle colonie quali oggettive quinte colonne del nazi–fascismo. Per un solo apparente paradosso, proprio il nazismo e il fascismo (col Duce agitante la “spada dell’Islam”) chiamarono all’insurrezione nazional–popolare i popoli oppressi dal colonialismo imperante, guarda a caso... antifascista (spot evidentemente truffaldino, ma non così la risposta degli oppressi che vi credettero e vi risposero in nome dei propri reali interessi). Ancora a pro–memoria: in America Latina la criminale politica dello stalinismo, sempre in nome dell’alleanza di guerra antifascista, consegnò letteralmente le masse nelle mani dell’”anti–imperialismo” borghese, vedi ad esempio la vicenda di Peron, il repentino e formidabile successo del suo movimento fra i descamisados (vicenda di cui il movimento di classe in Argentina ne paga ancor oggi lo scotto!). Non ci fa specie che persino negli anni del dopoguerra un nazional–rivoluzionario come Nasser si ricordasse con qualche affetto più di Hitler che di Stalin, quest’ultimo garante –tra l’altro– della costituzione dello Stato razzista di Israele proprio in nome degli “ideali” cui si riferisce il Lo Surdo. Che poi nella lotta del periodo della guerra fredda contro gli (ex–alleati) anglo–americani l’URSS abbia trovato utile appoggiare ed appoggiarsi alle lotte di liberazione nazionale, e viceversa (del tutto al di fuori dalla prospettiva internazionalista di classe di Baku) è fin troppo ovvio, così come, per altri versi (non stabiliamo eguaglianze “in generale”), lo era stato per l’Asse. La peculiarità dello stalinismo era di richiamarsi a “principi socialisti” rispondendo da Stato... “socialista nazionale” all’oggettivo grido di battaglia di classe che promanava dalle colonie, ma precisamente ingabbiandone le spinte radicali entro un’impotente cornice democratico–borghese a stretti confini nazionalistici. Col che vere rivoluzioni–che ci furono (noi tra i primi salutammo Cuba)– rimasero ingabbiate entro questa trappola, funzionale alla perpetuazione del dominio imperialista, ed i risultati ultimi oggi ben si vedono. A cominciare dal fatto che chi oggi nel mondo del “colonialismo turbocapitalista” si ribella neppure lo fa più in nome del socialismo – come spessissimo fu agli inizi– o lo fa truccando le carte col “bolivarismoet similia (il che, beninteso, nulla toglie al dovere di ribellarsi da parte delle masse se correttamente impostato).

Ci sarebbe anche qualcosa da dire quanto alla soluzione dei problemi nazionali all’interno dello Stato “sovietico”. A chi non è digiuno di letture marxiste e non affetto da demenza senile suscettibile di colpire anche giovanissime cariatidi, è noto che Lenin ebbe a chiamare alla lotta contro Stalin, “sciovinista grande–russo”, post–zarista in vesti bolsceviche, per le sue patenti violazioni dei “diritti” nazionali all’interno della (già di per sé, viste le condizioni) dubitabile Unione Sovietica. Ed era solo l’inizio. Tutta la politica di stato grande–russa successiva di Stalin non ha fatto altro che creare un fossato tra popolazioni dell’URSS sottoposte a discriminazioni ed oppressione (morti e deportati a milioni, anche se Lo Surdo ci chiarirà che se si è trattato solo di sporadiche influenze suine e spostamenti vacanzieri) ed un centrale proletariato russo estromesso dal potere e snaturato al suo interno come classe. Se nel corso della seconda guerra mondiale pezzi interi di “Unione” Sovietica hanno aderito alla politica dell’Asse, pensandola come un’occasione per sé e se, oggi, mille periferie dell’ex–URSS si offrono all’Occidente, sempre in questa prospettiva (che dichiariamo fasulla e ci fa schifo), qualche interrogativo dovrebbe pur porsi a chi sproloquia in nome del “marxismo orientale” e che poi, magari, ci ritroveremo qui fra poco in vesti molto occidentali a trafficare con pessimi soggetti in nome di “rivoluzioni antiberlusconiane” (come diceva Stalin, gli accordi per la “causa” si possono fare anche col diavolo e sua suocera, quindi con tutti gli “utili idioti”: solo che, qui, gli utili idioti sono quei buoi –alla Lo Surdo– che danno del cornuto all’asino).

Caro compagno che ci hai invitato al “dibattito”, queste sono le nostre molto sommarie posizioni, riottose ad ulteriori articolazioni dialoganti con le bestie. Se proprio vuoi saperlo, noi non consideriamo affatto i tipi alla Lo Surdo come dei “nemici dichiarati”; anzi, gli riconosciamo lo sforzo di ricollegarsi ad una linea di resistenza all’attuale capitombolata generale procapitalista (dalla cima alla base), ma se le buone intenzioni sono nutrite da cattive diete (per quanto inaspettate: ultra borghesi), la bestia rimane bestia, e Lo Surdo l’assurdo.

9 gennaio 2010