nucleo comunista internazionalista
note




ZASTAVA-KRAGUJEVAC O MIRAFIORI?
ZASTAVA E MIRAFIORI (... E DETROIT E TICHY)


detroit


Auto a Torino o a Belgrado? Dal PD alla Lega l’invocazione è unanime: la FIAT in Italia! “Noi” l’abbiamo più volte sovvenzionata, e... quindi. E gli operai che ci votano sono, dopotutto, nostri e non possiamo lasciarli col culo a terra.

Tutto molto bello. Ci permettiamo, intanto e prima di ritornarci come si deve, di aggiungere qualcosa di nostro.

Il “nostro paese” è stato quello che in prima persona ha aggredito la Jugoslavia e, si ricordi, con tanto di art. 11 della Costituzione ancora vigente nel 1999. O no? (Ah già: “è stato violato” dice il Bertoldo di “estrema sinistra”, filisteo, leguleio).

Il “nostro paese” ha bombardato e distrutto la Zastava, con a capo dei fedeli “cooperatori” NATO non la destra, ma D’Alema, tanto per intenderci. Beninteso, ci fosse stato Berlusconi al suo posto nulla avrebbe fatto di diverso. Fracassare la Zastava serviva a qualcosa: alla messa all’incanto della maggior azienda metalmeccanica serba di cui “noi” in seguito abbiamo potuto proporci come ottimi acquirenti. Ottimo affare, davvero un ottimo lavoro per la rete del nostro business: siamo sì o no una repubblica “fondata sul lavoro”! Hanno fatto sì o no un ottimo lavoro i nostri militari, i nostri politici, i nostri imprenditori, i nostri finanzieri, o sono solo i poveri operai a lavorare “per il bene del paese”? (Okei, va bene – parla sempre il Bertoldo, il filisteo di sopra – : “ci vuole un poco di redistribuzione, un poco di lungimirante cura per l’interesse sociale nazionale nel far profitti, un poco magari di compartecipazione agli utili e poi ci sono i principi dell’Europa sociale cui restare ancorati...” Va bene, va bene Bertoldo, dibattiamone pure... ma intanto glielo abbiamo messo in culo “agli altri”)

Tutto questo ottimo lavoro dell’Italia borghese e imperialista senza un sussulto da parte del proletariato italiano, ben addestrato a riconoscersi nell’azione “democratica” del “governo di sinistra”, implacabile nemico del “dittatore Milosevic”.

Oggi la Zastava ridotta a zero, e coi sindacati d’azienda semplicemente scaraventati nella spazzatura (evviva i nuovi leader “democratici” di Serbia!), si offre alla FIAT alle migliori condizioni di mercato.

Non ci piangano i lavoratori di Mirafiori assenti dal gioco che si è fatto. E’ sacrosanta la loro lotta per non perdere un solo posto di lavoro ma da questa lotta deve emergere finalmente non la rivendicazione di “Italia contro Serbia” (massacrata) bensì quella di classe, di proletari italiani e serbi (e polacchi, e americani) contro la schiavitù del capitale.

Al di fuori di ciò, cari lavoratori, ben vi starà l’insegna del capitalismo (e non c’è Costituzione, Statuto o altra scartoffia istituzionale e avvocatesca che tenga): si va a produrre dove le condizioni per il Capitale sono migliori, e addio Mirafiori!, eventualmente. Contro le regole inflessibili del capitalismo globalizzato vi rivolgerete ai grand commis del “nostro” capitalismo che dovrebbe produrre in patria e patriotticamente riversare in loco i propri profitti, o intendere che i nostri fratelli di classe verso cui cominciare a gettare un ponte sono quelli che in Serbia (e in Polonia e negli Stati Uniti...) “ci rubano il lavoro”?

Intanto mentre i Bertoldo, filistei, legulei attaccano i manager Fiat perché “non hanno capito l’Italia, non hanno capito che siamo in Europa, quella della Costituzione e dei diritti” (Cremaschi, sul Manifesto del 4 luglio) e minacciano il lancio di sua selva di azioni e ricorsi legali contro l’azione cingolata di Marchionne, dalla Serbia – nonostante tutto, nonostante la situazione drammatica della classe lavoratrice e del Paese – il Sindacato Unitario della Zastava scrive, con una grande prova se non altro di dignità, in un suo comunicato del 23 luglio: “Il Sindacato della Zastava vede in questo girotondo di annunci il tentativo di dividere i lavoratori dei nostri due paesi e invita all’unità di tutti i lavoratori del gruppo Fiat”.

Un lavoratore di Pomigliano che, nei giorni del referendum, giustamente fischiava e contestava il dirigente Cgil che intendeva convincerlo a mangiare la minestra rancida proposta gli ha urlato addosso: “non siamo polacchi, siamo lavoratori italiani!” cioè siamo o meglio ci riteniamo di essere “lavoratori di serie A” che lo Stato ed il complesso delle sue istituzioni deve, dovrebbe proteggere. Questo è il sentimento (atroce) prevalente fra l’altro in proletari combattivi: così è, così in effetti non potrebbe che essere per tutta la pluridecennale storia che abbiamo alle spalle.

Noi ai lavoratori di Pomigliano, di Mirafiori, ai lavoratori d’Italia intanto diciamo: lasciamo ai costituzionalisti, agli avvocati fare il loro mestiere, vediamo invece di metterci all’altezza dei fratelli di classe che, magari incarnati (oggi!) da infime avanguardie ci tendono una mano da Kragujevac, da Tichy...

3 agosto 2010