nucleo comunista internazionalista
note




LO “ZAR” PUTIN
E I SERVITORI DELLA CORTE IMPERIALISTICA NOSTRANA

Per chi non lo sapesse: non nutriamo alcuno speciale amore per Putin, in quanto esponente borghese di un paese capitalista assolutamente non in grado di commuovere i nostri precordi. “La Russia che amiamo” c’era una volta –quella di Lenin e di una straordinaria rivoluzione con le masse proletarie e sfruttate sul campo a tentar di fare la propria storia come tassello di un percorso rivoluzionario internazionale; quella Russia non c’è più per noi sin dal tempo dell’affermarsi della teoria e della pratica staliniane del “socialismo in un solo paese”, non già “eguali” ed omologate in partenza al capitalismo “normale” d’Occidente, ma sull’irresistibile percorso in questa direzione (a meno di un rovesciamento proletario –che non c’è stato– dello stalinismo da parte del proletariato russo ed internazionale. Il terremoto del 1989 ha sancito la conclusione di quel percorso in senso controrivoluzionario dando fiato, in un primo tempo, alla peggior variante di esso: quella di un arraffa arraffa delle risorse economiche russe da parte di oligarchie di potere borghesissime nella loro contrapposizione agli interessi proletari, ma assai poco attrezzate a rappresentarsi come moderna borghesia nazionale, tanto da spartirsi il malloppo in un vergognoso tentativo di svendita di tali risorse ai pescecani imperialisti occidentali. L’“era Putin” rappresenta, sotto questo aspetto, un deciso cambiamento di rotta, senza in nulla mutare il suo carattere antiproletario. Fatto non da poco anche dal punto di vista nostro, di classe (e ci torneremo sopra in seguito), sempre fatta salva la nostra posizione antagonista: “la Russia che amiamo” tornerà quando saprà, dovrà, farsi risentire la nostra voce... “ottobrista”.

E veniamo alle elezioni del 2 dicembre. Esse hanno segnato un trionfo indiscutibile per Putin e le forze a lui alleate.

L’opposizione “comunista” è rimasta ancora in piedi, ma ha visto ridursi di moltissimo i propri coefficienti numerici. Forse che i proletari, disertando Zuganov, hanno votato contro i propri interessi che quel terribile “comunista” avrebbe rappresentato? La nostra risposta è negativa: l’”alternativa comunista” in questione si è dimostrata per essi, in tutti questi anni post–’89 una pura bufala, basata su vaghe rivendicazioni welfariste nostalgiche incapaci di approdare ad alcunché e su una pratica assai compromissoria coi vari poteri effettivi affermatisi nel corso del tempo (El’tzin compreso). Nessuna reale opposizione di classe secondo un ben definito piano programmatico e strategico è stata messa in atto da simili “comunisti”, che, anzi, in più di una occasione, si sono addirittura contrapposti ad azioni proletarie “troppo spinte”, in particolare laddove il potere locale stava nelle loro mani. Se una ricaduta immediata in termini di “ricupero” economico era ipotizzabile per i proletari russi questa stava nella “normalizzazione” (borghese) putiniana, nel rilancio “nazionale” (borghese) dell’economia russa da essa messa in atto. Se ne rendano ben conto i residui “compagni” di qui che continuano a flirtare, molto da lontano, con Zuganov in nome di una comune “nostalgia” per una “tradizione” meritatamente andata a pallino (e costoro, d’altra parte, recitano qui la stessa parte della farsa erigendosi a fieri “comunisti” appesi ad un centro–“sinistra” ultraborghese!).

D’altra parte, le forze “liberali” più spinte (sinonimo delle vecchie gang disposte a barattare il proprio potere di rapina con l’”apertura” senza condizioni al capitalismo imperialista occidentale) sono andate letteralmente in frantumi, con grandissimo dolore per i loro “democratici” tutori di qui. La sirena dell’Occidente buono che viene in Russia per fare “i nostri interessi”, promettendo pane e maggior democrazia non incanta più nessuno nel paese, se non una residua cricca di affaristi pro domo loro. Ottimo risultato, tanto per incominciare! Ed è un po’ la stessa musica che s’incomincia a sentir suonare all’Est in generale smaltita la sbornia pro–occidentale e i corrispettivi spiriti di rivalsa contro lo “strapotere russo” che avrebbe impedito, esso solo!, di conseguire le magnifiche sorti e progressive ventilate da “disinteressati amici” di qui.

Qualcuno, a partire dai famosi “osservatori OCSE” (che si sono limitati ad osservare di fatto le direttive ad essi impartite, dagli USA in primis, per mettere qualche bastone di traverso alla ripresa russa nazional–indipendente in corso), hanno obiettato che non si è trattato di elezioni “regolari”, secondo i “nostri standard democratici”. Perché? Perché ci sarebbero stati dei brogli –che nessuna delle forze antiputiniane russe ha mai saputo documentare–, tali, magari, da spostare qualche zero virgola qualcosa nei risultati reali. Ma poi soprattutto perché Putin avrebbe “monopolizzato” i mezzi di informazione, i mass media. Cosa che, notoriamente, non accade dalle nostre parti, dove il pluralismo regna sovrano. Per rimanere in Italia, guardatevi un po’ attorno e fateci sapere in cosa effettivamente consista questo pluralismo (per non dire dell’attenta verifica di presunti brogli su cui si è accuratamente steso un opportuno silenzio ufficiale!). Un bell’esempio della nostra perfetta democrazia lo avete sotto gli occhi, elezioni a parte, col referendum sindacale chiamato a plebiscitare le scelte antiproletarie governative nei modi che sappiamo!

Girando per Internet siamo, in realtà, invasi da valanghe antiputiniane russe ben orchestrate e foraggiate da governi ed ONG occidentali. Semmai, mancano voci autenticamente comuniste (cui non crediamo interessato alcun “osservatore OCSE” se non per fare gli scongiuri). L’assenza o flebilità di tali voci non dipende, però, dal monopolio massmediatico putiniano più di quanto essa fosse dipesa, per un lungo ciclo storico prima dell’Ottobre, dal monopolio zarista nel ramo. Quando l’ora dello scontro arriva, il proletariato può ben contrapporre a tale “controllo” il monopolio della propria decisiva forza antagonista. Così fu per l’Ottobre trascorso; così sarà per quello a venire (in qualsiasi mese segnato dalla storia). Non ci aspettiamo alcun mutamento da pretese “democratizzazioni” previe, tanto meno da boutique occidentale, né sapremmo a chi chiederlo se non a noi stessi, alla nostra capacità di ritrovare la nostra autonomia teorica, programmatica, politica organizzata per noi stessi.

Ciò che ci “stupisce” (si fa per dire!) è che tra i campioni di una campagna anti–Putin (che è in realtà mirata contro la Russia) si ritrovino presunti “comunisti”, tipo Manifesto, Liberazione e soci, in accoppiata con la campagna anticinese. Costoro, nelle vecchie leve, sono gli stessi che ardevano di un amore sviscerato per la Russia stalinista o la Cina maoista quando esse inalberavano lo stendardo di un “comunismo” espropriatore degli interessi rivoluzionari di classe sulla via del... capitalismo ed ai pochi comunisti tuttora in piedi erano riservati i lager od i plotoni di esecuzione ed allorché la “patria del socialismo” di turno non aveva vergogna di mettere sotto il proprio giogo interi paesi “fratelli” non col semplice monopolio massmediatico, ma con quello delle più eloquenti armi di guerra. Un bagno di sangue, miseria e schiavitù politica di cui si è fatto bene in fretta a lavarsi le mani per tirarsene elegantemente fuori. Ravvedimento tardivo? Tutto è possibile. Solo che questo ravvedimento si trasforma, oggi, nell’apoteosi del modello occidentale cui si pretenderebbe di schiavizzare questi colossi (borghesi) che “ci fanno paura”. All’uopo va bene la manfrina della “mancanza di democrazia politica e sindacale” in questi paesi. Ma quale democrazia in difetto? E che cosa ne fareste del suo reclamato trionfo? Una rivoluzione socialista? Non sia mai! E che cosa ci dite a proposito dell’assenza (in buona parte reale) dei diritti, ad esempio, sindacali? A noi risulta, solo per fare un esempio, che l’occidentalissima Walmart ha tentato in Cina semplicemente di esportare il proprio modello di divieto di attività sindacali autonome, e proprio qui ha incontrato una risposta che l’ha costretta al dietrofront (cosa ancora non registratasi proprio nei democraticissimi paesi di qui, USA ben compresi!). Ve la prendete col lavoro deregolato e le paghe da fame? Bene: e qual è la buona regola che il capitale di qui cerca di introdurvi? Starebbero davvero freschi i proletari cinesi e russi se dovessero attendersi da ciò un miglioramento delle proprie condizioni di vita! Se una via d’uscita per essi c’è essa consiste proprio nel rilancio delle loro “economie nazionali” da non svendere ai tentativi di (ri)colonizzazione occidentali accompagnandolo col rilancio della propria forza antagonista. Che è precisamente ciò che sta cominciando faticosamente a profilarsi. Quanto alla “ciotola di riso assicurata” (dal... “socialismo” defunto), crediamo che i proletari di questi paesi, dopo essersela, soprattutto nella Russia del “buon amico El’tzin”, vista sottrarre se la stiano riprendendo con gli interessi. Lavorando troppo, bambini compresi (e qui in Occidente si vorrebbe rimanere a vita!)? Certo! Ma non più e peggio che per il passato. Questo, piaccia o non piaccia, è lo scotto che queste popolazioni devono pagare nel gioco di una concorrenza capitalista spietata per uscire dal proprio sottosviluppo, che non ha nulla di “nazionale” e indipendente dalle regole del capitalismo globalizzato. O vi starebbe bene condannare questi paesi ad uno stato permanente di sottosviluppo e dipendenza? Ditelo chiaramente!

Una conclusione a questo punto. Coloro che tanto tuonano contro Russia e Cina non solo lo fanno senza alcun riferimento ad una prospettiva socialista bensì a favore di una soluzione imperialista contro questi paesi. Ma c’è di più: nel perseguire questo obiettivo non si dimostrano neppure all’altezza di una propria politica borghese “europea” in tal senso. Un’Europa capitalisticamente forte (bandiera che intendiamo da comunisti bruciare) non ha alcun serio interesse a tagliare i ponti con essi, cui è legata, beninteso sempre competitivamente, dalla necessità di trovarvi una sponda contro lo strapotere USA. Un “asse” euro–asiatico rappresenta un passaggio obbligato sotto questo aspetto, come da tempo ha ben capito certa ultradestra “rivoluzionaria” nel suo europeismo (borghese, controrivoluzionario) conseguente. Avevamo bisogno proprio di “comunisti radicali” (radicali alla Bonino!) per posizionarci al di sotto di questo stesso livello per tirare la volata agli appetiti statunitensi! Non di un tapiro , ma di uno stronzo d’oro gigante costoro meriterebbero di esser gratificati.

Diciamolo francamente: non siamo i soli a reagire a questa deriva pro–imperialista sotto vesti “progressiste”. Ricordiamo perfettamente quanto scritto da M. Gemma su L’Ernesto sin dal 2004, con una perfetta denunzia del senso della manovra anti–russa. Non sappiamo se quel testo sia tuttora reperibile su www.resistenze .org. (comunque si può andare al n° 6 della rivista di quell’anno). Ciò che ci distingue comunque da questi compagni è il fatto che essi si trovano continuamente nella necessità di riferirsi ad uno stato (socialista o non–imperialista che sia) a cui porgere i propri buoni uffici. La nostra campagna contro le manovre anti–russe non hanno assolutamente bisogno di ciò. E’ la vecchia tradizione stalinista ad aver bisogno di uno stato forte cui appoggiarsi; la nostra visione è alquanto distante da tutto ciò. Se abbiamo da sempre reagito contro le campagne antiserbe, antirusse, anticinesi da parte del nostro imperialismo e dei suoi servi sciocchi, non ci siamo mai appoggiati, né ci appoggeremo mai, a borghesie “sotto il mirino imperialista”, ma al proletariato di questi paesi, anche perché sappiamo benissimo che la reazione “anti–imperialista” borghese delle direzioni di questi paesi è del tutto, costituzionalmente, inconsistente anche semplicemente sotto questo solo aspetto “autodifensivo”. Ne abbiamo le palle piene di gorbacioviani, miloseviciani, putiniani in veste “comunista”. Possiamo, tranquillamente, discuterne e trarne un bilancio?

21 dicembre 2007