nucleo comunista internazionalista
note



UNGHERIA, POLONIA: ANCHE L’EST EUROPA SI MUOVE

SUINI “SOVRANISTI”,
SUINI LIBERAL-SOROSIANI
E LA VIA DEL PROLETARIATO ESTEUROPEO

Avvenimenti di grande portata si stanno producendo all’Est, dalla Polonia all’Ungheria. Essi sono il “pendant” in qualche modo di quelli che scuotono la Francia (e di quelli che maturano nella disgraziata Italia). I sommovimenti sociali dell’Est Europa scuotono paesi “fiori all’occhiello” dei suini “sovranisti” – l’arco delle destre dal nazional-leghismo di Salvini fino ai neofascisti di Casapaund per restare a quelli di casa nostra – i quali presentano e vantano gli attuali governi “patriottici” di Varsavia e Budapest come alternativa non solo possibile e concreta, ma “vincente” per gli interessi popolari rispetto al tritacarne liberal-capitalista.

Potremmo dire ai suini “sovranisti” di casa nostra: i vostri neri e puzzolenti “fiori all’occhiello” si stanno appassendo. I fatti di Polonia e Ungheria preannunciano che… la vostra “pacchia” è finita. E non saranno i suini alla Soros, che attualmente egemonizzano le piazze di opposizione a Varsavia e Budapest, a spazzarvi via. Sarà il proletariato, trascinato sulla scena come soggetto attivo e fulcro determinante dalla dinamica storica dell’antagonismo di classe, a fare giustizia di voi nelle vostre “roccaforti” polacche e ungheresi!

In Polonia l’assassinio del sindaco liberal di Danzica per opera di uno squilibrato ha rinfocolato la (mai sopita) opposizione di piazza ad un governo caratterizzato dal più greve e gretto nazionalismo. Governo “sovranista” che sino ad ora è riuscito a mantenere e persino a consolidare la sua presa “sul popolo” e su una parte consistente se non maggioritaria del proletariato, mantenendo fede alle sue promesse di “riforma sociale”. Vedremo qui in breve come l’operazione (di conservazione borghese) sia potuta riuscire in via del tutto transitoria.

L’opposizione di piazza, ragguardevole ed attiva soprattutto nelle grandi città, coinvolge una massa consistente di popolazione, ceto medio e piccola-borghesia largamente predominanti, disgustati dal carattere “illiberale” del governo ispirato dal tenebroso Kaczynski capo del partito maggioritario Pis, acronimo che sta per “Legge e Giustizia” e, nel nome, è tutto un programma. I patrioti di “Legge e Giustizia” al governo, disgustano certamente anche noi che non sogniamo uno Stato di “democrazia liberale” come la stragrande maggioranza dell’attuale opposizione sogna, ispirata dall’altro genere di patrioti e servi del Capitale come Donald Tusk, per noi altrettanto disgustosi.

La grande maggioranza del proletariato polacco osserva nell’ombra la lotta politica in corso, accordando tuttora una fiducia passiva e molto condizionata ai “patrioti” del governo. Una somma di fattori però lo stanno reclamando in scena come prim’attore. Noi puntiamo tutto su questa sua, ormai prossima, entrata in scena. L’avvenire non appartiene agli opposti “patrioti”, alla coppia suinesca Kaczynski-Tusk che oggi si contendono la scena ed il potere. Appartiene al grande proletariato polacco che dovrà riprendere, e riprenderà!, il posto d’onore che gli compete nel fronte di classe internazionale e che compete ad una Polonia finalmente e per davvero Libera e non schiava della potenza del Capitale. Grande proletariato polacco, ponte fra il proletariato russo e quello tedesco dal quale passerà la Forza travolgente della nostra Rivoluzione ferocemente classista ed antiborghese. La strada è aspra, in salita ed assomiglia al Golgota ma è l’unica che conduce alla redenzione, di classe ed insieme del territorio, della cultura, delle tradizioni di una Polonia finalmente e per davvero – lo ripetiamo – realmente Libera.

In Ungheria la modifica del “codice del lavoro” e l’introduzione di leggi “schiaviste” hanno suscitato una vasta opposizione di piazza da parte dei lavoratori ungheresi colpiti nei loro interessi di classe, sulla quale si è da subito innestata la “strumentalizzazione” delle frazioni liberal della borghesia ungherese che ne hanno preso il controllo e la direzione politica. Come in Polonia, la direzione politica liberal-sorosiana mobilita ed indirizza l’opposizione al governo “sovranista” di Orban di una preponderante massa di ceto medio e piccola borghesia. Sulla legislazione che i “sovranisti-schiavisti” hanno imposto, i compagni de “Il Pungolo Rosso” hanno detto quanto c’è da dire con parole chiare e precise nello scritto che sottoscriviamo e riportiamo qui in calce.

Vi aggiungiamo una notazione a margine. I mezzi di informazione liberal che ci martellano hanno presentato la manovra antioperaia a cui il governo Orban ha dovuto ricorrere anche come conseguenza della sua politica di rigorosa chiusura dei confini che impedisce alle aziende di attingere ad una mano d’opera immigrata a buon mercato. Come dire: vedete cosa succede quando i capitalisti non hanno a disposizione una massa di schiavi immigrati. Essendo costretti a colpire più duramente i lavoratori “bianchi” se ne suscita la reazione, si provoca la lotta di classe. Che bella lezioncina da negrieri i nostri suini liberal pretendono di impartire ai suini “sovranisti” ungheresi!

Il punto che ci preme è un altro, sollecitati da una importante dichiarazione del Partito dei Lavoratori ungheresi (erede del partito al potere ai tempi del “real-socialismo” crollato nel 1990). (1) Documento estremamente significativo, nel bene e, purtroppo soprattutto, nel male.

Nel bene, in quanto ci si demarca inequivocabilmente dalla peste delle frazioni liberal della borghesia che egemonizzano la contestazione di piazza e la utilizzano ai loro fini altrettanto antiproletari (ed ovviamente anticomunisti) dei “sovranisti” al governo. Dalle quali frazioni liberal il Partito dei Lavoratori d’Ungheria chiama, in maniera giusta e sacrosanta, i lavoratori a starne bene alla larga: “I partiti dell’opposizione vogliono riconquistare le posizioni perdute attraverso una ‘radicalizzazione’, ma non sono in condizione di farlo. Non sono diventati radicali, copiano soli i metodi occidentali”, “sfortunatamente, i partiti liberali hanno strumentalizzato la protesta fin dal primo momento. Per costoro il codice del lavoro è solo un pretesto. Stanno facendo la campagna per le elezioni europee. E’ anche deplorevole che i dirigenti sindacali lo permettano”.

“Sfortunatamente”, diciamo noi, la borghesia attraverso i suoi tentacoli politici non ci farà mai il piacere di… ”non strumentalizzare” le lotte sociali, il che non deve essere un motivo per disertare la piazza e la lotta in cui i comunisti devono starci piantati sulle loro gambe, sulla base della loro indipendenza organizzativa e politica di classe, quando anche solo una minoranza della classe lavoratrice vi sia coinvolta.

Ed in questa diserzione dalla piazza, dalla lotta politica suscitata nelle piazze in cui si tratta di contrastare e battere la coppia degli “opposti” suini antiproletari di governo e di opposizione, sta, appunto, “il male” espresso nel documento del P.d.L. ungherese: “Il Partito ha sostenuto la protesta dei sindacati l’8 dicembre. Allo stesso tempo, abbiamo sottolineato che questa è la battaglia dei sindacati. I partiti non dovrebbero invadere il campo”. (!!!) Cioè a dire, a immaginarsi, a sognarsi: niente politica in una lotta che deve rimanere puramente sindacale! Ma quando mai la borghesia coi suoi tentacoli politici “non invade il campo”? Quando mai la borghesia può permettersi di “non ingerirsi” con le sue “soluzioni” politiche nei conflitti sociali che dovrebbero perciò, nell’immaginazione dei “comunisti” ungheresi, svilupparsi in un terreno politicamente neutro?

Si dice nel documento: “Il partito non ha preso parte alle azioni di strada. Non supporta le azioni delle forze politiche liberali (e ci mancherebbe altro, ndr). Vuole evitare uno scenario in cui i partiti di governo, con il pretesto delle proteste, inizino ad attaccare le vere forze anticapitaliste, come il nostro Partito”. Quindi “i comunisti” ungheresi non chiamano alla lotta i proletari per non dare “il pretesto” al governo di “iniziare” a perseguitarli…

Ancora: “La dirigenza del Partito ha chiesto ai suoi membri che lavorano nelle fabbriche, nelle ferrovie o nelle scuole di parlare con la gente. Dovremmo sapere cosa vogliono veramente i lavoratori. Diciamo ai lavoratori che è il sistema capitalista ciò che devono combattere. Il Partito è di sostegno a questa lotta. Ma il Partito non è in grado ora di guidare la lotta dei lavoratori e dei sindacati. Quando verrà il momento, allora andremo in strada”. Un partito “comunista” che una volta assodato cosa “vogliono veramente” i lavoratori dovrebbe, deve adeguarsi a quello che essi “pensano e vogliono veramente” (in realtà sono forzati a pensare e “volere veramente” dalla pressione materiale e dai complessivi rapporti di forza imposti dal capitale)? Ci sembra molto un giro di parole con cui, registrando il sentimento prevalente fra la massa del proletariato, i “comunisti” ungheresi si adeguano e si accodano ad esso, rifiutando cioè la lotta ed il contrasto aperto contro il governo “sovranista”. Rifugiandosi nella più tranquilla opera di denuncia “del sistema capitalista in generale”, aspettando tempi migliori e “il momento buono” che verrà.

A noi pare di capire dal documento del Partito dei Lavoratori ungheresi che dalla loro sacrosanta preoccupazione di non essere involontari portatori d’acqua al mulino dei borghesi alla Soros, si finisca piuttosto per fungere da involontari “guardiaspalle” dei borghesi alla Orban che in verità non sembra avere alcuna ragione per “attaccare” e perseguitare simili “comunisti”. Col pretesto di ciò che “veramente vogliono i lavoratori” che nella loro maggioranza e nella situazione immediata e contingente ripongono ancora fiducia nel governo “sovranista” e nella sua politica sociale (e ben fiutano che razza di politica attuerebbero gli oppositori borghesi una volta riandati al governo!).

Il proletariato, nella sua parte maggioritaria e tanto in Polonia che in Ungheria, ha accordato la sua fiducia alle frazioni “sovraniste” della borghesia in via del tutto provvisoria e condizionata. Ma le basi materiali (economiche e politiche) su cui ha potuto realizzarsi questo asservimento sono destinate a incrinarsi, si stanno già incrinando. Le norme “schiaviste” a cui è stato costretto il governo Orban sono solo il primo tangibile segno di questo processo.

I “sovranisti” di Varsavia e Budapest hanno potuto irretire sino ad ora il proletariato lucrando su due fattori fondamentalmente. Andiamo con l’accetta. Il primo: contrattando con le centrali del capitalismo una tangente maggiore sullo sfruttamento della “loro” classe operaia (vedi su queste pagine “Dove va la Polonia?” del gennaio 2016), percentuale di tangente in più “trattenuta in patria” che ha consentito la concessione di briciole alle masse. Il secondo: lucrando in solido sulla loro posizione geopolitica ossia mettendosi a disposizione delle trame imperialismo. In particolare la cruciale Polonia messa in vendita ed utilizzata come piattaforma di provocazione e di attacco dall’imperialismo occidentale contro “il totalitarismo russo”. Gli spregevoli patrioti “sovranisti” devono le loro fortune alla prostituzione delle loro patrie agli interessi dei centri di potere imperialisti! Del resto quelle borghesie straccione in tutte le loro frazioni non hanno che una scelta… molto patriottica: a quale potenza capitalistica dare in pasto il paese e vendere la pelle del “proprio” proletariato!

Ma… ”la pacchia” che ha permesso di lucrare in solido dal rapporto con l’odiata Europa di Bruxelles quanto con Washington e, per quanto riguarda l’Ungheria di Orban, anche dal buon rapporto con Mosca, è finita. E con la sua fine il venir meno delle condizioni, appunto del tutto provvisorie, che hanno consentito ai “sovranisti” di guadagnarsi un ampio consenso popolare e proletario.

Gli attuali sommovimenti polacchi e ungheresi preannunciano la discesa in campo “sorprendente” del proletariato il quale tanto in Polonia che in Ungheria spariglierà le carte in tavola, come “sorprendentemente” stanno facendo i proletari di Francia.


(1) Cfr. dal sito “L’Antidiplomatico”: “Che cosa sta succedendo in Ungheria, dichiarazione del Partito comunista ungherese”

30 gennaio 2019





Orari di lavoro: il "sovranismo" uccide.
L'europeismo, invece, pure!

Da diversi giorni strade e piazze della bella Budapest sono animate da manifestazioni di protesta (una delle quali ha raccolto quasi ventimila persone) contro la "legge sulla schiavitù", voluta da Orban e dal suo partito, che innalza da 250 a 400 il monte-ore di straordinario che le imprese possono chiedere agli operai e agli impiegati alle loro dipendenze. Non bastasse questo, la legge prevede che il pagamento delle ore extra possa avvenire entro 3 anni (in precedenza il termine era di un anno).

Nella vicina, e molto più ricca, Austria un altro governo "sovranista" ha introdotto dal 1° settembre una nuova disciplina degli orari che prevede quanto segue: in caso di necessità, per "consentire alle imprese di rispondere con maggiore prontezza alla domanda del mercato", le stesse potranno chiedere ai loro dipendenti di lavorare fino a 12 ore al giorno e a 60 ore la settimana (i massimi precedenti erano di 10 e di 50 ore rispettivamente). Le ore in più non saranno pagate come ore di straordinario, saranno compensate in corso d'anno, così almeno sembra – a riguardo, infatti, c'è la più oscura indeterminatezza da parte del governo Kurz. Del resto nella generalità dei casi in cui sono state istituite delle "banche ore" aziendali sono sempre i lavoratori ad attendere compensazioni che non arrivano.

Ricorrere per queste misure al termine schiavitù è, a rigore, improprio, ci ha ricordato Dante Lepore nel suo scritto Schiavitù del terzo millennio (PonSinMor, 2017), dal momento che nel capitalismo siamo in un permanente regime di schiavitù salariata, a prescindere da questo o quello specifico provvedimento. Diciamo allora che queste leggi "sovraniste" ribadiscono e appesantiscono con altri macigni la sovranità del capitale sul lavoro salariato schiavizzato. Non si tratta di casi isolati. Nella scorsa estate lo zar dei "sovranisti" di tutto il mondo (prima dell'avvento di Trump alla Casa Bianca), Vladimir Vladimirovic Putin, ha dato mandato al governo Medvedev di innalzare di colpo l'età della pensione di 5 anni per gli uomini (da 60 a 65 anni, in un paese in cui la speranza di vita media per gli uomini è di 67 anni, per gli operai di alcuni anni in meno), di 8 anni per le donne (da 55 a 63);– un allungamento dell'orario di lavoro sull'arco della vita che neppure la Fornero..., e che in molti casi significherà l'azzeramento del diritto alla pensione per morte sopravvenuta prima della soglia. La vivacità delle proteste nelle piazze, soprattutto da parte delle donne, ha indotto Putin a un mezzo passo indietro: l'età della pensione per le donne è salita "solo" di 5 anni; resta immutata, invece, per "ragioni finanziarie" (sovrane), la soglia dei 65 per gli uomini.

Se passiamo alle Americhe, registriamo che il governo Temer, quello che ha spianato la strada all'avvento di Bolsonaro, non molto prima di cedergli il passo, ha varato un piano di "modernizzazione" della legislazione sul lavoro che ha reso normale, su scala generale, la giornata lavorativa di 12 ore, la settimana lavorativa di 48, un orario di lavoro mensile di 220 ore, e ha previsto come condizione per una pensione piena i 49 anni ininterrotti di contributi previdenziali (in un paese in cui l'attesa di vita media è di circa 66 anni). Appena eletto, il "sovranista" Bolsonaro ha giurato che non toccherà una mirabile "riforma" del genere, e gli si deve credere.

Fin qui i governi "sovranisti".

Ma lo scenario non cambia se ci volgiamo ai governi europeisti. Prendiamo quello dell'alto funzionario della banca Rotschild, Macron. Costui ha portato a compimento tra il 2015 e il 2017 l'attacco alle 35 ore iniziato con la legge Fillon nel gennaio 2003: i suoi provvedimenti hanno fissato a 12 ore la durata dell'orario giornaliero legale, a 60 ore quella dell'orario settimanale, allargato l'obbligo del lavoro alla domenica abbattendo la maggiorazione salariale prevista, parificato il lavoro notturno al lavoro serale. E la Medef (la Confindustria francese), che gli dà disposizioni, pretende di andare oltre... "se i lavoratori francesi vogliono avere salari più alti, devono lavorare di più". Punto.

Del resto da decenni l'Unione europea piccona con metodo ogni regolamentazione che limiti la famigerata "flessibilità". Anche, e anzitutto, in materia di orari di lavoro. Poco importa se si mette a rischio la stessa incolumità dei lavoratori (e dei cittadini): la Commissione UE, per esempio, ha imposto nel 2013 che per i piloti di aerei siano normali 11 ore di volo notturno, 14 ore consecutive di servizio, 22 ore di veglia prima di compiere un atterraggio: c'è da stupirsi se il 50% di loro si sente sovraffaticato, e molti ricorrano a droga e alcool per resistere?

Ancora una volta la realtà dei fatti dice che sovranismo e europeismo (o globalismo) si muovono nella stessa direzione di fondo: la massima svalorizzazione della forza-lavoro, la massima intensificazione dello sfruttamento del lavoro anche attraverso la liquidazione dell'organizzazione operaia e la massima limitazione possibile del diritto di sciopero. Dunque né sovranismo (fosse pure ammantato di finti panni "rossi"), né europeismo, due varianti, due finte alternative della sempre più spietata dittatura del capitale, nazionale, europeo, globale. Lo dicemmo due anni fa davanti alla alternativa fasulla tra Brexit e Remain: "né Brexit, né Remain"! E già si vede chiaro quanto avevamo ragione.

Che cosa, allora?

Ripresa delle lotte, autonomia di classe, programma di classe: per i lavoratori e le lavoratrici non c'è altra via per fronteggiare l'attacco dei padroni e dei governi e recuperare il terreno perduto. Le piazze di Budapest, di Vienna, di San Paolo, di Pietroburgo, di Parigi, di Bruxelles ancora non l'hanno rimessa in campo. E tuttavia siamo certi che quando lo scontro di farà ancora più duro, ritornerà forte in campo la prospettiva della lotta per la riduzione drastica, generalizzata, incondizionata degli orari di lavoro, per il solo lavoro socialmente necessario, a parità di salario sociale. L'unica prospettiva liberatoria ed effettivamente ecologica, a misura che prevede la soppressione dell'immensa quantità di produzione inutile e dannosa che appesta oggi sia gli umani che la natura.

IL CUNEO ROSSO

19 dicembre 2018