nucleo comunista internazionalista
note





IL DERNIER CRI DELL’“ULTRASINISTRA” FRANCESE:
UN MODELLO–ESPORTAZIONE ANCHE PER L’ITALIA

L’“ultrasinistra” francese presenta molte particolarità rispetto all’omologa italiana su cui sarà utile fornire le necessarie informazioni prima di arrivare alla conclusione cui arriveremo: tali particolarità non impediscono affatto una stessa linea antimarxista di fondo, il che non si limita ai due paesi in oggetto, ma rappresenta, in qualche misura, lo specchio di una comune deriva “universalista” comune a tutto un certo ambiente politico, in primo luogo euro–occidentale, ma non solo. Si tratta, in breve, di un punto d’arrivo di decomposizione di tradizioni pseudo–marxiste anche molto diverse formalmente quanto a punti di partenza, stalinisti in molti casi (a cominciare dall’Italia), “trotzkisti” in altri (come, prevalentemente, in Francia).

A differenza dell’Italia, dove l’attuale “ultrasinistra” si è prevalentemente enucleata dalla tradizione stalinista post–PCI (dalle esperienze tipo Manifesto delle origini a quelle “operaiste” o maoiste, per finire con la scissione–riscatto dal PCI di autoliquidazione di Rifondazione), in Francia è stata e rimane sin qui preminente quella “trotzkista” –le virgolette stanno ad indicare la distanza di essa dal trotzkismo di Trotzkij – da sempre presente con posizioni sue, distinte e, a parole, antagoniste, rivoluzionarie”, nell’ambito della “lotta elettorale”.

Questa tradizione si è concretizzata essenzialmente attorno a due organizzazioni: la LCR, sezione ufficiale –e certamente di maggior peso rispetto alle concorrenze “quartinternazionaliste” dissidenti– della IV Internazionale – e Lutte Ouvrière.

Il contrassegno principale della LCR è l’attitudine tattica di “fronte unico operaio”, che, per lungo tempo, ha significato essenzialmente una sorta di manovrismo rispetto al prevalente PCF stalinista in vista della “conquista delle masse”. Inizialmente, questa “tattica” (virgolette, qui, per dire che si è grazie ad essa costantemente debordato sul piano dei programmi e degli stessi principii) è andata sino alla pratica dell’entrismo nel PCF (entrismo profondo o sui generis, a seconda delle varianti... linguistiche delle varie correnti quartinternazionaliste), per arrivare poi, anche in ragione del restringersi dell’influenza reale del PCF e dell’emergere di movimenti spontanei “alternativi”, a cominciare dal ’68, ad un’esplicita azione in proprio, slegata dagli obblighi “tattici” entristi, ma, ahinoi!, non dalla sostanza degli indirizzi politico–programmatici. Il risultato massimo di questo lavoro è, oggi, quello del buon successo elettorale “in proprio” della LCR nelle recenti elezioni presidenziali sotto l’egida del “simpatico” Besancenot: vedremo poi come e per farne che cosa.

Lutte Ouvrière nasceva, invece, rispetto alla LCR, da un ceppo assai più dignitoso, quello del gruppo Barta che, nel corso della seconda guerra mondiale, seppe mantenersi fedele, sin dove possibile, alle consegne originarie di Trotzkij sul ripudio della guerra imperialista “da ambo i lati”, quello fascista e quello cosiddetto democratico (Stalin accanto a Roosvelt e Churchill, “comunismo” accanto ai predatori internazionali per eccellenza) e del rifiuto dell’union sacrée “resistenzialista”, arrivando sino alla realizzazione di embrionali, ma non per questo meno significativi, episodi di fraternizzazione comunista tra proletari dell’uno e dell’altro fronte (si veda l’azione svolta in campo germanico, con tutti i costi del caso). Purtroppo, nel corso del tempo Lutte Ouvrière si è via via incamminata verso una strada di intervento “operaista”, molto economicista nell’essenziale, cui si incollava una costante dichiarazione di fedeltà ai principi rivoluzionari senza troppi altri punti di sutura tra i due “momenti” al di fuori dell’abituale e stereotipa affermazione della necessità di un vero partito comunista internazionale quale “futura” chiave di volta dei problemi della rivoluzione mancante. Una marcata differenza tra LO e LCR sta nella struttura rigidamente militante “leninista” della prima, poco incline al pot pourri dei dibattiti, delle innovazioni dottrinali a getto continuo e del baillamme frazionista (e, francamente, individualista) della LCR e con pesanti obblighi “disciplinari” anche nel campo della normale vita privata. Una struttura “di ferro”, che noi non definiremmo affatto “leninista”, indubbiamente seducente per una certa tipologia di militanti convinti di essere, grazie al proprio spirito di sacrificio, gli artefici in potenza del partito e della rivoluzione. Ironizzando, ma sino a un certo punto, una nota rivista francese, in un’inchiesta di parecchi anni fa sul “trotzkismo” gallico, così dipingeva il militante–tipo di LO: uno la cui massima soddisfazione è alzarsi alle 4 del mattino in una gelida giornata d’inverno per andare a strillonare il giornale dell’organizzazione di fronte ai cancelli Renault senza riuscire a venderne una sola copia. (Su questa base, annotiamo tra parentesi italiana, i passati contatti tra LO e Lotta Comunista, altra e consimile –ad onta delle diverse origini– formazione “di ferro” di stampo gesuitico costruita su militanti fedeli perinde ac cadaver alle “direttive centrali”). Basta dare una scorsa alle raccolte della stampa di LO per rendersi conto del sostanziale “riduzionismo” del marxismo ad un’arma di lotta di tipo rivendicativo operaio, all’assenza in essa di ogni ampio respiro oltre questa angusta cornice immediatista, mal mascherata dai richiami “finalistici” ad un “collettivismo” contabile. La tetraggine che deriva dalla lettura dei materiali di LO ci dà subito l’idea di quanto poco ci sarebbe di che gioire di un “comunismo” da caserma quale si respira da queste pagine; una replica più o meno consimile a quella del partito e dello stato–guida di staliniana memoria! Per nostra, ed universale, fortuna un tale pericolo davvero non esiste.

Sulla base dei relativi successi riscontrati dall’azione della LCR e della LO (in ambienti essenzialmente piccolo–borghesi nel primo caso ed anche, limitatamente operai/operaisti nel secondo) si è finalmente arrivati all’intervento di entrambe nella competizione elettorale. Come “arena leninista” per il comunismo, va da sé, nelle dichiarazioni ufficiali (ed ammettiamo pure che ci si sia creduto). Le due organizzazioni lo hanno fatto più volte assieme, sulla base della “comune appartenenza al campo trotzkista”, e magari in vista di un processo di fusione in progress. Ma già qui nascevano le prime frizioni. Il sistema elettorale francese a due turni, basato sui risultati secchi dei singoli collegi ed al netto da ogni proporzionalismo, permetteva sì al primo turno ai singoli concorrenti minoritari di spararle grosse e grossissime, ma al secondo li obbligava ad una scelta: che fare dei voti di protesta (e sempre scarsamente significativi quanto ad un effettivo radicamento di essi tra le masse) raccolti al primo turno? Che indicazione dare ad essi al secondo, quando ci si trovava di fronte a due opzioni, generalmente di destra e “sinistra”, in lotta per l’attribuzione definitiva dei seggi? La LCR, conforme alla propria “tattica”, non poteva rispondere che optando per il “meno peggio”, con la scusa che, altrimenti, “ci staccheremmo dai sentimenti delle masse” e dallo stato reale delle cose. Quindi: appoggio critico alla sinistra in campo, sia quel che sia. LO si è a lungo mantenuta su un terreno opposto, rifiutandosi di avallare la “sinistra borghese”, e da ciò non poteva non conseguire una rottura con l’“alleato”. Però, col tempo, questa rigidità si è stemperata di brutto anche in LO, sino al punto di arrivare a sorprendenti escamotage: trattandosi di “scegliere” neppure tra destra e sinistra, ma tra Giscard d’Estaing e Le Pen, ci si è arrampicati sugli specchi dicendo più o meno: noi come organizzazione non partecipiamo alla “scelta”, ma comprendiamo l’opzione dei “nostri elettori” al primo turno in chiave “antifascista”, e quindi “li lasciamo liberi” di agire come meglio credono (anche perché lo farebbero comunque, e mal ce ne incoglierebbe se gli agitassimo contro un indirizzo astensionista!). Nel caso dell’affrontement Segolène Royal–Sarkozy si è andati anche più oltre, lasciando espressamente intendere che anche LO, all’occorrenza, sa scegliere.

Tramontate le prospettive “unitarie” LCR–LO sul piano “anche solo” elettorale (e ciò grazie soprattutto alla LCR, in questo più seria di LO nell’indicare che gli accordi importanti tra organizzazioni non si possono fondare sul puro escamotage elettoralesco), stavolta la LCR si è buttata a pesce sul proprio naturale serbatoio di voti ed aderenti: la platea piccolo–borghese colpita dall’“austerità” e dall’incombente crisi e reclamante il ristabilimento degli precedenti standard di vita, ad essa “connaturati”, compreso una quota di proletari consentanei allo stesso ordine d’idee welfaristiche, e tutta una variopinta truppa al seguito di verdognoli, vegetariani, animalisti, new age all’occorrenza, difensori dei “diritti umani” (violati in Tibet e dintorni) etc. etc. Una miscela che, evidentemente, mal si accorda col presupposto proletario del comunismo, e la LCR da tempo ne ha tratto la debita lezione: il “vecchio” comunismo è ormai diventato formula desueta, di proletariato e sua centralità non è più il caso di parlare nemmeno e così neanche di comunismo, sia pur nuovo, in senso proprio. Quel che s’ha da mettere in piedi è un “partito anticapitalista di tipo nuovo” in vista del famoso e fantomatico “altro mondo possibile”. Così la LCR ha imbastito per le elezioni e soprattutto per il dopo un movimento arlecchino cui ha saputo attirare una trentina almeno di sigle “particolari” legate a “problemi specifici” e perciò, nella sua logica antimarxista, veri. Riduttivi proletariato e comunismo, siamo all’Umanità. In pratica: “i soldi ci sono”, basta andare a prenderli dove ci sono ed impiegarli bene e questo sistema può essere riformato da cima a fondo (tenendosene strette le sue categorie mercantili e l’esclusivo label francese, ad onta di qualche residua dichiarazione solidaristica “internazionalista”). Questa demagogia populista, grazie anche alla bella presenza oratoria di Besancenot, ha dato i suoi buoni risultati elettorali, e da qui si riparte.

Di fronte a ciò, inevitabili le proteste “teoriche” di LO sull’“inopinato” abbandono dei criteri marxisti di fondo da parte del proprio ex–sodale (anche giuste ed efficaci retoricamente, ma sempre ad di qua di una riflessione sul perché della “sviata” da essa stessa cauzionata per lunga tratta all’ombra dell’alleanza “tra trotzkisti”). (Non sarà difficile tradurre tutto questo in termini italiani: qui da noi si è marciato e si marcia sulla stessa lunghezza d’onda, comprese certe “indubitabili” frange “rivoluzionarie”). E’ interessante notare che all’“irrigidimento” della centrale di LO la sua minoranza interna abbia risposto proponendo, invece, una maggior attenzione verso il “nuovo corso” della LCR e, in pratica, la propria adesione ad esso. Una novità? No, afferma a ragione (ed a rovescio) la “minoranza”: la stessa LO, a partire dal ’68, si era bene esposta alla prospettiva di “allargamento” dei propri angusti confini “marxisti classici” e di organizzazione, proponendo un rassemblement più vasto, di movimento e partito. E allora? Se ne traggano oggi le conseguenze. Tutto perfettamente logico ed in controsenso rispetto alla nostra prospettiva tenacemente “veteromarxista”. Noi auguriamo ai nuovocorsisti di conquistarsi al più presto un proprio spazio anche parlamentare sulle ceneri di un PS allo sbando e di un PCF agonizzante per mettersi e mostrarsi all’opera sul “concreto” testabile e ci auguriamo, nel contempo, che qualche pugno di militanti marxisti sappia trarre da ciò il bilancio del perché e come l’“intermedismo tattico” non abbia funzionato nel senso dichiarato e sperato ed abbia inevitabilmente portato a questi risultati. (E lo stesso vale per l’Italia, ovviamente). La strada della ripresa marxista in Francia, come altrove, solo a questo patto potrà sperare di salvare al momento una piccola quota di militanti sinceri e devoti legati a vecchie formazioni in fallimento e preparare il futuro misurandosi sul serio con l’attuale crisi mondiale del sistema capitalista, che più che mai mette all’ordine del giorno la nostra vecchia ed immutabile prospettiva rivoluzionaria.

Vi aggiorneremo in seguito, ma la trama della vicenda è già tutta scritta!

16 dicembre 2008