nucleo comunista internazionalista
note




DAL PARTITO CON “UN UOMO SOLO AL COMANDO”
AI CONTROPARTITINI IN CUI COMANDANO TUTTI
SALVA LA MANCANZA DI TRUPPE

Un suggerimento di Rossana Rossanda alle “nuove
sinistre” in corso d’opera:
“E che fine ha fatto Marx? Vorrei si rimettesse negli
impianti teorici della sinistra almeno un poco di Marx
e, perché no, anche un poco di Lenin. Ma la sola cosa
di Lenin che non mi sentirei di riproporre è la necessità
della violenza e della dittatura del proletariato.”
(Il Manifesto, 16 febbraio 2017)

Una breve nota aggiuntiva alle vicende del PD in relazione alle varie scissioni in atto, tutte rigorosamente in fila con le raccomandazioni della Rossanda quanto alla non riproposizione di quel “poco” che costituisce l’essenziale di Lenin e, se ci permettete, di Marx dei cui “impianti teorici” non comprendiamo bene l’impianto che andrebbe salvato, a meno che non si intenda l’“attenzione” umanitaria alle sorte degli “svantaggiati” in stile riformista su cui tutti gli scissionisti si trovano d’accordo in quanto petizione morale all’interno dell’attuale sistema da ammorbidire senza tentazione alcuna, dio ce ne scampi!, di rotture violente e dittatoriali di esso. La Rossanda, nel suo intervento, chiede “un po’” di attenzione per Marx per poi rimpiangere Togliatti. Evidentemente ha fatto “un po’” di confusione tra i due, ma coglie nel segno quando lascia intendere che con gli attuali scissionisti dal PD siamo ancora in arretrato allo stesso Palmiro.

Sulla strada del buon senso riformista contro il “liberalismo” renziano si sono mossi in anticipo sugli ultimi arrivati i vari Fassina e Pippo Civati col progetto di una nuova formazione “a sinistra” che tenesse conto degli interessi del “popolo” tradito dal renzismo, ovviamente secondo una visione al massimo “keynesiana” di un bilanciamento equo (!!) tra esigenze del “nostro capitalismo” e ricadute welfaristiche a favore di chi lavora (od è senza lavoro) e soffre di iniqui scompensi “redistributivi”. Secondo quali armamentari? Nessuno di costoro saprà mai dirlo dato che le leggi dell’attuale capitalismo in crisi non lasciano di fatto margine alcuno al ripristino dl vecchio sistema welfaristico proprio di una fase ascendente e, se proprio vogliamo, il renzismo non rappresenta altro che un massimo di “mediazione” possibile tra capitale e lavoro nel tentativo di salvare capra e cavoli (cavoli nostri!, questo certo).

Due ipotesi sono attualmente in campo per quel che riguarda la “nuova sinistra” in gestazione: quella dei Democratici e Progressisti e quella di Sinistra Italiana.

Gli scissionisti dal PD di oggi, dopo aver tranquillamente sottoscritto tutti i passaggi dell’attacco al proletariato necessario al capitale (da Prodi in poi, passando per Monti e lo stesso “renzismo”), abbozzano un tentativo di smarcarsene, ma su che cosa? Sul rifiuto di “un solo uomo al comando” con nessuna seria alternativa di sistema, visto che ciò significherebbe né più né meno che un attacco ad esso non precisamente all’acqua di rose (il “poco” di Marx e Lenin che andrebbe salvato sul serio). Tante chiacchiere sulle “regole interne”, i tempi e i modi del confronto congressuale e della lotteria delle primarie e nient’altro. Giustamente il simpatico Civati gli ha obiettato: ma come?, vi apprestate a lanciare un nuovo partito e non vi rivolgete neppure alla “vostra gente” chiamandola a mobilitarsi per un programma di lotta e sbandierate solo un calendario contro cui opporvi? Non c’è nient’altro contro cui combattere? Già: per sentir evocato il termine capitalismo come realtà da rimettere in causa tocca rivolgersi proprio a papa Francesco (ovviamente entro i termini corporativi della dottrina sociale cristiana) più che a quelli dell’Articolo Uno e dello stesso Civati, che non può fingersi troppo diverso da quel che è.

E chi ci sta in questa bella compagnia? Un manipolo di politicanti della vecchia guardia tra cui spicca addirittura il nome di D’Alema, proprio quello della guerra contro la Jugoslavia che, stando ad alcune recenti statistiche diramate da personaggi del “nostro esercito”, ha causato 340 morti e 3000 ammalati “patrii” grazie all’uranio impoverito (le cifre riferibili alle popolazioni jugoslave non sono disponibili, eppoi chi se ne frega trattandosi di “importazione della democrazia”!). Il tutto in omaggio al buon Napolitano che ci ha aggiunto la guerra contro la Libia. E senza vergogna quelli “più a sinistra” tendono una mano collaborativa a queste mani grondanti sangue. E per giunta un ulteriore tocco grottesco: uno degli aspiranti alla scissione, il neo-Borbone Emiliano governatore di una delle Sicilie, dopo essersi immortalato in una foto di gruppo con gli scissionisti, ha improvvisamente cambiato casacca candidandosi alla guida del PD in attesa di farsi Re d’Italia e riservandosi altre sue mosse scissionistiche allorché ne risulterà deprivato (e con il suo stesso feudo locale a rischio). Un Renzi forte del potere che meritatamente si è conquistato quale rappresentante di un “moderno” capitalismo entro il quale farsi anche carico dei bisogni elementari degli “svantaggiati” nei limiti del “possibile” (discesa frenata!) non troverà soverchie difficoltà a sbarazzarsi di queste “opposizioni” senza capo né coda e può stare ben sicuro che esse non gli porteranno via valanghe di consensi salvo il fatto che un PD comunque elettoralmente indebolito sarà costretto ad ulteriori virate a destra in tema di governabilità (l’esatto opposto delle “spinte a sinistra” su di esso invocate dagli scissionisti). Sempre, beninteso, che non intervengano di frammezzo “opportune” manovre della Magistratura per favorire soluzioni di ricambio più favorevoli alla propria e ad altre caste ad essa consociate.

Troviamo perfettamente comprensibili le tendenze di una parte dei critici di Renzi di evitare questa deriva a destra del tipo Pisapia o dell’ala dell’ex Sel, oggi SI, con a capo Scotto ed una nutrita schiera di parlamentari ex –"radicali”, per un’ipotesi di “compattamento delle sinistre” plurali in grado di impedire un sorpasso a destra. Il buon Migliore ne è l’antesignano. Perciò il governo Gentiloni (sino a ieri “fotocopia di Renzi”) va assolutamente salvaguardato. Lo schema potabile è quello tipo Labour Party: stiamo tutti assieme con le nostre “autonome diversità” di opinioni (e là c’è anche spazio per i “trotzkisti” che lo vogliano), ma contro il pericolo della destra facciamo quadrato tutti assieme appassionatamente. E’ la via, tanto per dire, che il “socialista” Sanders (una sorta di Fassina USA secondo Friedmann) ha rispettato rispetto al Partito Democratico di appartenenza in un sistema, come quello USA, che non lascia spazi ai “centofiori” proporzionalisti italiani, in funzione “progressista” obbligata anti-Trump (e parimenti in funzione reazionaria rispetto a certe istanze radicali della propria base che premono per un serio no capitalism). Entro questo quadro non mancheranno parziali compensazioni per le ali più “radicali” quali paracadute di atterraggio... al suolo.


E I SINISTRATI ITALIANI?

SI sarebbe dovuta nascere come la risultanza di un assembramento di tante esperienze “dal basso” e raggruppamenti politici di fatto ormai marginali (vedi Rifondazione) chiamati a “sciogliersi” nel nuovo contenitore mantenendo (manco a dirlo!) ciascuno la propria “autonoma personalità” secondo la regola “una testa un’idea, una testa un voto”. Niente di tutto questo è accaduto per la semplice ragione che non c’era uno straccio di programma reale su cui convergere e l’assenza di un reale movimento di classe che andasse al di là di rivendicazionismi parziali, spesso localmente parcellizzati, certamente non spingeva in tale direzione. E’ rimasto in piedi così solo il vecchio fronte SEL del rifiuto formale di accomodamento al governo, ai governi, in carica cui si rifiuta la fiducia con la perdita di una fetta rilevante del suo bagaglio iniziale sedotta dal “migliorismo” secondo una certa logica “realprogressista” e la pattuglia fassiniana dei fuoriusciti a tempo dal PD in attesa di futuri sviluppi contestatori affidati al caso. Il programma di SI? La solita petizione ideale a favore degli “svantaggiati” e dei lavoratori “traditi dal renzismo” senza alcun serio richiamo ad una effettiva lotta di classe (avete mai visto qualcuno di questa truppa alla testa di lotte antagoniste di classe?), ma sulla base di proposte di legge parlamentari e referendum (tipo l’ultimo che ci ha ulteriormente fregati); una “politica dell’accoglienza” degli immigrati (di per sé “umanamente” lodevole), ma senza una prospettiva di accoglienza ed unità di classe, in assenza della quale restano solo i ghetti per gli immigrati ed il malaffare dei trafficanti di stato; il “pacifismo” senza scesa in campo contro il crescente interventismo militare del “nostro paese” e persino con una totale amnesia su certi propri “interlocutori” ; l’impegno ambientale (che forse è il tema su cui costoro più si muovono con una certa efficacia, ma pur sempre in maniera settorializzata da legambiente et similia); le rivendicazioni del “movimento delle donne” spesso però ridotte a questione di genere e non di classe con tanto di sfilate folcloristiche; la questione dei “diritti civili”, idem come sopra, con un vistoso sbilanciamento verso le letali tematiche “gender” entro le quali può trovar spazio anche quello, come nel caso del buon Vendola, dell’acquisto sul mercato di un utero in affitto per la produzione di una merce bambino di proprietà privata; il diritto di spinellarsi liberamente etc. etc. Un mix di istanze piccolo-borghesi e di aleatori richiami a tematiche giuste cui manca però l’organicità di un insieme programmatico e pratico cui connettere i “frammenti” dei vari problemi reali in chiave antagonista, com’è nella natura stessa di una congrega di “perbenisti progressisti” desiosi, al massimo, di un capitalismo ripulito e corretto.

Non è un caso che Il Manifesto, che pure tanto aveva puntato su questo “nuovo soggetto”, non si sia sentito in grado di esultare troppo per il parto che ne è uscito. Un suo redattore, Tonino Perna, se n’è uscito così: alla “cosa” manca un leader. E’ curioso: proprio quelli che sostengono a spada tratta il valore del “collettivo”, dell’“azione dal basso”, scoprono che quel che manca non è esattamente tutto ciò (e noi in qualche modo saremmo anche d’accordo giacché un partito di classe è inimmaginabile in assenza di una tale spinta), ma un catalizzatore personale del tipo Tsipras e, perché no?, un Renzi o un Tramp se “di sinistra” per surrogarne la mancanza. Ovvio per noi, come s’è detto qui sopra, che quel che manca è proprio quel tantino di Marx e Lenin che la Rossanda raccomanda di scartare.

Ma questo è precisamente il compito che spetterà alle sparse membra dei non pochissimi compagni che si attestano su posizioni di classe chiamati ad intraprendere un percorso di chiarificazione teorico-programmatica e politica in grado di superarne la frammentazione oltre il percorso attuale di microragruppamenti autoreferenziali e, spessissimo, di “posizioni personali” da esibire, più o meno brillantemente sul web (ne abbiamo già di tante belle teste disgraziatamente autoconfinate entro questo recinto). Vero è che siamo lontani dal momento della pedata, cioè dalla rimessa in moto dell’esercito proletario, e che, come scriveva la Luxemburg, “certamente le rivoluzioni non si lasciano fare su comando ed altrettanto certamente ciò non è compito di un partito socialista”; ma “suo compito è semplicemente dire ciò che è coraggiosamente in ogni momento, vale a dire presentare chiaramente ed esplicitamente alle masse i loro compiti in un dato momento storico, proclamare il programma politico e le parole d’ordine che una data situazione esige. Il problema di sapere se e quando avrà luogo il sollevamento delle masse il socialismo deve affidarlo alla storia stessa”, ma “se esso completa in questo senso il suo compito esso agirà come un potente fattore nella liberazione degli elementi rivoluzionari della situazione” (per dirla con Bordiga: le rivoluzioni non si fanno, si dirigono; e si potranno dirigere solo a patto di averne assolto i compiti preliminari che competono ai comunisti, che sul “ciò che è” devono sentirsi impegnati a tessere un minimo almeno, oggi, di rete

4 marzo 2017