nucleo comunista internazionalista
note




JUGOSLAVIA.
Per non dimenticare.

1

Col ’91 si aprì la tragedia jugoslava, ben fomentata dall’Occidente. Una massa di gente fu costretta allora ad abbandonare la propria “patria” per sfuggire alle conseguenze di una guerra “intestina” che l’aveva trovata attonita ed indifesa. Un certo numero di costoro trovò “asilo” in Friuli, ammassato in “centri di accoglienza” (in particolare caserme dimesse), e sottoposto ad un’accorta regia di “mobilitazione spontanea” contro l’immancabile Milosevic, assurto qui a causa della guerra stessa. I rifugiati venivano opportunamente raggruppati per partecipare a manifestazioni contro il “mostro” presentate come “manifestazioni contro la guerra inter–etnica”. Si raggruppava una certa folla di esuli, ignari di ciò che si giocava sulle loro teste, assicurandola che ci si muoveva per la pace (e chi più di loro poteva desiderarla?) e si faceva propaganda di guerra. (Ne sappiamo qualcosa de visu).

Contemporaneamente, però, una certa fetta di costoro si muoveva autonomamente, contro la guerra davvero. Varie manifestazioni vere, di jugoslavi veri, ebbero luogo, chiedendo espressamente a noi italiani una presa di posizione di reale schieramento a favore della, mai dimessa, fraternità jugoslava cui essi facevano riferimento (sia pure sotto l’emblema illusorio di un titoismo da “riscattare”). Qui stava una possibilità, per noi, di incidere su questo movimento, realmente spontaneo e, in certa misura, di massa e con potenzialità classiste internazionaliste. Per uno “strano paradosso”, le sinistre “estreme” se ne dissociarono, nella loro orgia anti–Milosevic assimilata dalla propaganda imperialista (si ricordino gli articoli di una certa Longo su Liberazione!), e sul campo à la Messaggero: con i proletari jugoslavi rimanemmo noi soli, comunisti internazionalisti, coi nostri poveri numeri, mentre una più pesante (in apparenza) solidarietà veniva ad essi (non certo in quanto proletari!) dalla Lega di allora (quella che tuonava contro USA, NATO e militarismo italiano “succubo degli Stati Uniti”) o persino da formazioni dell’ultradestra. Si giocò sporco, perché era del tutto “logico” che i sinceri jugoslavisti, proletari per definizione, abboccassero all’amo –come si fa a rifiutare chi ti tende la mano?–, salvo poi ad essere sacrificati a ben precisi giochi imperialisti italiani, compartecipi in prima persona della spoliazione e del massacro jugoslavi. Noi partecipammo, in tutta coerenza, alle manifestazioni contro l’aggressione alla Jugoslavia, anche quando indetta, o con presenza determinante, dalla Lega per toccare il sentimento forte della massa dei lavoratori jugoslavi ed anche quello di proletari sani illusi dalla retorica anti–imperialista leghista, naturalmente attirandoci i fulmini dei “puristi” di “estrema sinistra” (e persino di certi internazionalisti andati a male), che ci accusavano di “marciare con la Lega” e... Milosevic. Certamente non abbiamo vinto la nostra battaglia, che i nostri nemici di classe hanno potuto capitalizzare nel loro senso, con il risultato di una feroce epurazione dei sentimenti “buoni” da essi sfruttati nella propria base (non senza contraccolpi: conosciamo una bella schiera di “leghisti” epurati per la loro fedeltà all’impostazione di partenza e che tuttora, anche se ben lontani da una prospettiva nostra, se ne sentono vincolati) e con il riflusso totale della mobilitazione jugoslavista dal basso, tradita e riconsegnata al “senso di appartenenza nazionale” in mancanza di una risposta nostra alla loro petizione iniziale.

Per chiarire il senso di tutto ciò, riportiamo una lettera di un’esule pubblicata nel Messaggero Veneto del 19 luglio 1992 da cui si potrà bene intendere il sentimento diffuso tra “la gente” di Jugoslavia, che “noi” abbiamo lasciata sola e tradita:

“Io avevo la mia famiglia, i miei amici, la mia patria, la mia bandiera, il mio inno nazionale. Tutto avevo fino al 6 ottobre 19991. In quel giorno ho abbandonato tutto. Siamo andati incontro all’ignoto, all’incertezza nella quale noi viviamo come turisti per motivi umanitari, nel centro di accoglienza della caserma Monte Pasubio. Sono un semplice essere umano che, con la nascita, come molti intorno a me, ha conseguito il diritto alla vita, al lavoro, il diritto a fondare una famiglia, a educare i figli, ad avere diritti e doveri in pace e libertà civili. Sono una madre di un figlio di 15 anni. La notte lo avrebbe mangiato, se fosse rimasto in Croazia. Sono una moglie semplice, in apprensione per la vita di mio marito, che sarebbe diventato carne da cannone se fosse rimasto là, se non avesse disertato. E’ duro sopportare il destino di disertore: non piace a nessuno. Ma a chi sparare? All’amico serbo, al vicino albanese, al macedone, al montenegrino... all’essere umano? Quando scrivo questa lettera non la scrivo come sostenitrice di qualche partito politico, ma come sostenitrice della pace e della tolleranza. Come sostenitori di tale modo di pensare abbiamo abbandonato volentieri il futuro migliore che ci offre il governo croato.”

Niente, “in sé”, di comunismo conseguente, ma tutte le basi su cui esso può e deve lavorare. Un “sentimento”, ma nobile, e più che mai nostro, a misura che ad esso possiamo dare materiale consistenza. Non dimentichiamolo, ed interroghiamoci sul perché un simile tesoro s’è perso, l’abbiamo fatto disperdere.



2

Il ”genocidio del Kosovo” fu la grande menzogna diffusa allora ad arte per giustificare l’intervento militare dell’Occidente, e dell’Italia in particolare. Che la politica di Milosevic sul Kosovo fosse disastrosa, in quanto basata su pure rivendicazioni nazionali “serbiste” (non arrivando all’altezza neppure di un jugoslavismo borghese) è un fatto; che essa fosse soltanto la replica speculare, anche se –tutto sommato– persino più moderata, dell’ipernazionalismo kosovaro lo è altrettanto. Ma intanto, stando alla nostra stampa, i kosovari sparivano a frotte nelle... foibe di Milosevic e la nostra “umanitaria” radicale Bonino, guarda caso presente nell’attuale governo Prodi che mantiene il “nostro intervento di pace” in Kosovo, si affannava nella ricerca di qualche centinaio di migliaia di “inermi” kosovari spariti chissà dove e come per mano del “mostro”, mentre il suo compagno Pannella, vestita la divisa neo–ustascia croata, ispezionava i campi di battaglia croati, sempre in nome della “non violenza ghandiana”, beninteso.

Ebbene, vi offriamo una curiosità tratta da un insospettabile giornale pro–secessionista della minoranza italiana in Croazia, La Voce del Popolo, in data 1 marzo 1993:

“una delegazione del Comitato di Helsinki norvegese si è incontrato nel suo giro di ”perlustrazione” nel Kosovo con i rappresentanti del Comitato regionale per i diritti umani.Gli esponenti di Oslo hanno informato che le autorità norvegesi hanno deciso il rimpatrio di circa 2.000 profughi albanesi. Oslo si è decisa a questo passo in seguito al rapporto della missione di monitoraggio della CSCE secondo il quale la situazione nel Kosovo è “normale””.

Avete letto bene: situazione normale. E non è il “mostro” a dirlo, ma un’autorità occidentale in materia di “diritti umani”. Dopo di che oggi risulta “normale” che i serbi kosovari non possano vivere sulla propria terra, nelle proprie case, salvo a venir regolarmente cecchinati, sotto lo sguardo indifferente dei nostri “portatori di pace” (con l’avallo della “sinistra radicale” che finge d’indignarsi per la caccia amministrativa ai lavavetri di qui perché “squadrista” e non si accorge dello squadrismo assassino che si gioca “altrove”; ma, per fortuna, fuori dai nostri confini!).

16 novembre 2007