nucleo comunista internazionalista
note





SUL “CASO REGENI”

Com’è del tutto naturale anche noi siamo rimasti amaramente scossi per l’orrenda fine consumata ai danni di Giulio Regeni. Di ciò non è neppure il caso di discutere.

Tuttavia (e questo non sminuisce d’una virgola quanto sopra e la nostra vicinanza a quanti debbono farsi carico del lutto) la nostra posizione politica di fondo si discosta nettamente da quello che potremmo definire il senso comune del cordoglio manifestato per l’occasione un po’ da tutte le parti della “società civile” (il che possiamo anche benissimo comprendere) e della politica, compresa quella di certa “estrema” (e su questo vanno dette alcune cose).

Noi non inveiamo contro i boja egiziani né perché hanno osato toccare “uno dei nostri”, “un italiano” che, in quanto tale, apparterrebbe al “nostro paese” (leggi: al nostro stato borghese) né in quanto hanno colpito uno “studioso”, un “ricercatore”, che, per questo semplice motivo, dovrebbe essere ope legis tenuto fuori dalla mischia.

Per noi certamente vale, e molto, la vita di questo ragazzo. Ma vale assieme a quella delle centinaia di incarcerati, torturati e scomparsi nel nulla (cioè: assassinati) egiziani oppositori del regime di al-Sisi che, qui da noi, non fanno notizia e la cui battaglia, al di là delle stesse sorti personali, ci lascia indifferenti. Noi, da internazionalisti, ci sentiamo in obbligo rispetto a questi nostri fratelli di classe e se non possiamo far molto materialmente in concreto per essi per lo meno ci sentiamo in dovere di apportare delle parole chiarificatrici sul tema dello scontro di classe in quel paese che direttamente ci tocca e dovremmo a nostra volta toccare in nome della prospettiva socialista. E qui non possiamo dimenticare che, sull’onda di un’ubriacatura malaccorta per le “primavere arabe”, si è fin troppo steso un velo pudico sulla defenestrazione di Morsi e della sua compagine da parte di al-Sisi come operazione, tutto sommato, positiva “contro la reazione”. Addirittura sul Manifesto (che pure non può essere in alcun modo imputato di sudditanza verso al-Sisi) si sono lette delle frasi senza commenti (il giornale “comunista” dev’essere per forza open) di esponenti di qualche presunta sinistra egiziana in appoggio ai golpisti di al-Sisi, addirittura fatto passare per una sorta di Nasser redivivo in nome del laicismo, della modernità e balle varie. Per converso un altro e ben diverso “compagno” egiziano, sempre sullo stesso giornale, sottolineava le debolezze “strutturali” dell’attuale sinistra egiziana, capace sì di insorgenze di tutto rispetto, come s’è visto in occasione della rivolta anti-Mubarak, ma tuttora priva di un proprio programma a più ampia prospettiva e, quindi, ancora ricattabile da più solide e sperimentate forze borghesi come quella di al-Sisi. E’ su questo punto che occorre focalizzarsi anche qui da noi, dismettendo una buona volta di flirtare col “movimento così com’è” perché indicare ad esso un “più in là” sarebbe “ultimatismo estremista” (qualcuno ha usato questo metodo anche per la “primavera greca”di Tsipras!).

E ritorniamo al delitto Regeni. Non sembra davvero sussistano dubbi sul fatto che esso vada addebitato alle forze di sicurezza egiziane, e sta solo da vedere se regolari o informali “parallele”. Il messaggio inviatoci è chiaro: non mettete il naso nelle nostre faccende interne. Forse c’entrano poco anche i tentativi di estorcere informazioni tramite tortura non essendoci, nella fattispecie, gran che da scoprire vista la quantità e la qualità dei controlli di polizia e si tratta piuttosto di un macabro avvertimento a chi osasse disturbare il manovratore, specie trattandosi di “soci in affari” che non debbono disturbarsi a vicenda, o altrimenti salta il banco (e qualche commentatore nostrano lo ha fatto ben notare, sottoscrivendone il senso). Sembra proprio che, al di là delle frasi ad effetto di circostanza, il governo italiano abbia ben colto il messaggio, tanto più che anche “noi” abbiamo più di uno scheletro nell’armadio di cui si potrebbe chiederci il conto, dal caso Ocalan (il papà degli attualmente amatissimi curdi) a quello Abu Omar per non parlare di guerre e guerricciole in cui ci troviamo impegnati con tanto di innocenti “regeni” extracasalinghi a rimetterci la pelle.

Un regime come quello di al-Sisi non può prescindere dalle manette e dalle forche e, quindi, riconosciamogli pure il “merito” di andar dritto per la sua strada infischiandosene di passaporti stranieri e titoli di studio. Non lo farà indietreggiare da ciò l’“indignazione” a breve termine dei titolari statali di una qualche vittima straniera, ma solo potrà farlo una militanza di classe in Egitto e qui di cui anche il caso delle sfortunato Regeni segnala l’urgenza sempre più stringente. Lacrime per la vittima a parte.

Quanto sopra va tenuto presente del pari per quanto riguarda i nostri rapporti con l’attuale Turchia di Erdogan, altro frutto avvelenato delle “nostre” politiche europee e, come al-Sisi, campionissimo in materia di “pubblica sicurezza” di stato criminale. In questo caso, sotto i nostri occhi, quante già sono le vittime di un tale governo a noi amico, addirittura candidato all’ingresso in Europa e, nel frattempo, pagato dall’Europa per controllare i flussi migratori dalle zone di guerra in cui, assieme (compari e concorrenti, se serve) Turchia ed Europa sono coinvolti come responsabili primi?

Nessun altro Regeni ci metta piedi indifeso, ma lavoriamo qui e là a far saltare in aria il macellaio “nostro amico”.

12 marzo 2016