nucleo comunista internazionalista
note




CONTRO LA RIFORMA E CONTRO LA CONTRORIFORMA COSTITUZIONALE
DI TUTTI GLI SCHIERAMENTI BORGHESI

L’“occasione” del referendum costituzionale ha messo le ali al sedere di un’infinità di soggetti più o meno politici che si apprestano alla battaglia per il No. Soggetti molto dispari tra di loro ed anzi in reciproca concorrenza visto che si va da sinistrissimi di ogni risma e pentastellati ad un Brunetta, dall’ANPI a Casa Pound e non saremo noi a dire che si tratta di una sola e stessa cosa, anche se, come vedremo, una linea di congiunzione esiste tra le varie ed opposte sponde: tutti contro Renzi, costi quel che costi (ed ognuno spera di istallarsi al suo posto), e tutti “in difesa della costituzione violata”.

Cominciamo da quest’ultimo punto. A partire dalla superballa d’obbligo sulla nostra costituzione che sarebbe la più bella del mondo e ci consentirebbe ogni tipo di garanzia in solido a tutela dei “nostri diritti di cittadini” (sia pure allocati in classi separate, ma poco importa...) e che solo ora un perfido Renzi vorrebbe calpestare. Una costituzione che ci dice che l’Italia è una repubblica “fondata sul lavoro”... salariato, a pro del capitale, e che “ripudia la guerra”, come stiamo vedendo in questi tempi ultrainterventisti, ma... a fin di bene (col tacito assenso dell’ANPI; o forse si tratta di una continuazione della Resistenza?). Ci vogliamo fermare al testo letterario di essa? Ma allora, se volete, fate il raffronto con la costituzione staliniana dell’URSS che in quanto giro stilistico la sopravanza di mille miglia parlando ad arte, e con le ricadute pratiche ben note, di conquistato diritto ad una società senza classi (lo suggeriamo come tema da svolgere ai residui m-l nostrani). O vogliamo, invece, scendere nel concreto? A questo proposito, senza troppo scomodare il marxismo, ci basterà ricordare che persino degli onesti riformisti od anche semplicemente progressisti democratici, da Parri a Pietro Calamandrei sottolinearono a suo, lontanissimo tempo, nei primi anni del secondo dopoguerra, questa semplice verità: sì (a loro dire) questa costituzione può anche dire un sacco di belle cose in astratto, ma rimane un pezzo di carta che non modifica in nulla un presente di ingiustizie e vergogne e se proprio si volesse tradurne in atto i famosi “principi generali” iperstellari scendendo nella pratica occorrerebbe un’azione sul terreno, un movimento reale di trasformazione che, questo sì, potremmo definire “costitutivo”. Sulle pagine del socialistoide Il Ponte a poco dal varo della costituzione si può leggere un bellissimo articolo di amara riflessione: tanto speravamo e nulla nella struttura della società (e non dimentichiamo che qui parlano dei riformisti puri!) è cambiato, proclami cartacei a parte; dalla prospettiva del “rinnovamento” (non è il nostro linguaggio) siamo passati alla “restaurazione”. Oggi, tra quelli del No, nessuno arriva a questo minimo di orizzonte ideale: è la carta che va difesa. Sì, carta igienica, e pulitevi pure la bocca! In realtà l’unico e vero principio costituzionale statuito per cui ci si appresta a battersi è quello per una “democratica” distribuzione elettoralesca degli scranni parlamentari ed il mantenimento del loro numero e relative prebende: no all’“uomo solo al comando”, ma equa spartizione degli onorevoli poteri. Se, ben a ragione, non siamo scesi in piazza contro la Legge Fornero ed il Jobs Act – potrebbero dire costoro – in nome di un costituzione che non c’entra con queste miserevoli piccolezze eccoci pronti a difendere i nostri scranni parlamentari e sottoparlamentari “nati dalla Resistenza”. Come icasticamente e correttamente scrive un compagno che si firma Pino il ferroviere in un intervento che qui sotto alleghiamo dietro la diatriba nominale per il No c’è la realtà di «“opposizioni” antiRenzi diversamente colorate (alle quali partecipano, purtroppo, consistenti propaggini di cosiddetto “movimento antagonista” coalizzate in una sorta di partitone della spesa pubblica, sudista ed euroscettico (regioni-provincie-amministrazioni etc.) interessato al rubinetto di solidi (e relativa corruttela) che dallo stato centrale va alle autonomie locali”

Facciamo conto, o meglio finta, che non esista questo “sottofondo” in solido per una spartizione “democratica” del potere (borghese, diciamolo pure) ed il No “da sinistra” dipenda unicamente dalla ripulsa di una concentrazione del potere politico incompatibile con le buone regole dettate dalla costituzione in termine di “poteri diffusi” a larga partecipazione popolare e con controllo permanente dal basso. Dovremmo spiegare innanzitutto che qui siamo nel regno delle favole, mai emerso nella realtà concreta. La “ricostruzione nazionale” avvenuta sotto il segno della continuità della dittatura borghese (trasmessa dal fascismo alla democrazia) null’altro ci ha regalato al di là di essa ed il risultato ultimo della “democrazia progressiva” di togliattiana memoria è esattamente la ricucitura della scissione “antagonista” tra PCI e DC degli anni freddi in quello che attualmente si definisce il renzismo. Spiegatecene un po’ le ragioni! Dai sogni resistenzialisti di una “nuova Italia” da costruire entro il sistema attraverso una “sana dialettica parlamentare” sulla base del “libero voto popolare” si arriva oggi a celebrare un funerale di terza classe per le cosiddette “conquiste” del ciclo del boom che ci sta alle spalle che c’eravamo messi nel portafoglio grazie alla combinazione di elargizioni sui margini crescenti di profitto da parte della borghesia come assicurazione anti-incendio (di classe) e di autentiche lotte tradeunionistiche mai sapute, però, elevarsi al livello di scontro antagonista. Tutte le forze politiche di questo sistema, ognuna con propri specifici maquillage, non hanno saputo e potuto far altro che sottoscrivere sotto dettatura il principio dell’indiscutibilità del sistema capitalista, salvo che la lotta tra le varie forze politiche per garantirsi fette di potere ha inceppato l’ingranaggio politico con ovvie ricadute negative sulla macchina produttiva (vedi l’ipertrofia crescente del debito pubblico fuori da ogni regola di “sano investimento”).

Ma arriviamo al dunque. Marx, scrivendo dei “determinati rapporti, necessari e indipendenti dalla loro volontà”, cioè dei rapporti di produzione (provvisti di una loro propria costituzione non scritta e che non si fa legare le mani da “volontà” elettoralistiche), spiega: “L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, la base reale sulla quale si aderge una sovrastruttura giuridica e politica, ed alla quale corrispondono determinate forme di coscienza”.

Non male! Ciò che qui chiamiamo esattamente “sovrastruttura giuridica e politica” non agisce liberamente di suo, ma è espressione della base e vincolata ad essa per quante e quali possano essere le libere, democratiche “volontà” della “gente”, a meno che il proletariato non giunga ad aggredire la base stessa del sistema sotterrando con essa i suoi sovra-impiegati

Questione semplicissima per chi ha digerito la lezionicina qui sopra: qual è la fase e quali sono le caratteristiche della struttura economica entro cui stiamo? Non serve neppure il Lenin dell’Imperialismo per arrivare a comprendere che ci troviamo nella fase “più recente” (e prossima al dunque, scrive Lenin) del capitalismo, contrassegnata da un supermassimo di concentrazione e centralizzazione del capitale con tutti i suoi aspetti spiacevoli, ma imprescindibili (e “progressivi”, ancora Lenin) dal moto storico determinato del capitale. E che farà allora la sovrastruttura politica che vi presiede a custode e garante? Nient’altro che concentrarsi e centralizzarsi a sua volta per impedire ostacoli e ritardi a questo moto del capitale per evitare che esso salti in aria anzitempo. Più che mai contro le remore impotenti delle forze microbiche del capitalismo pre-imperialista che sognano dei passi all’indietro per evitare gli spiacevoli effetti della dittatura del grande capitale (effetti che anche un Keynes o perfino un Luttwak ammettono, ma per concludere: di qui non si scappa ed al più possiamo studiare dei “correttivi” di tipo “sociale”, legati però proprio ai risultati del gigantismo imperialista).

Prendete ad esempio la recente fusione Bayern-Monsanto. Nelle “segrete stanze” extraparlamentari del capitale due aziende si fondono per spartirsi il destino mondiale del mercato delle sementi e, assieme ad un’altra, finiscono per detenerne una quota globale dell’80%. E che faranno i governi interessati, a cominciare da quello bi-partisan tedesco, se non promuovere e sottoscrivere un’operazione del genere alla faccia dei “diritti” delle popolazioni interessate (e non precisamente gratificate) dalla cosa? Sarà pur scritto da qualche parte costituzionale che il piccolo contadino ha diritto ad una sua produzione “indipendente” a garanzia di un sano consumo alimentare da parte dei “consumatori”, ma chi se ne frega? Per chi ha “buon gusto” e soldi in tasca per soddisfarlo rimarranno sempre i “prodotti di nicchia” e gli slow del caso, ma intanto le leggi del profitto fanno strame del “piccolo e bello” e ci impongono le merci in grado di offrire utili. E non ci saranno federconsumatori o federonorevoli ad invertire la rotta.

Questo per gli avvelenamenti da pace. Ma quelli di guerra, la famosa guerra che la nostra costituzione “ripudia”? Allorché gli interessi del capitale lo impongono la chiamata alle armi non registra diserzioni di sorta. Care giovani marmotte dell’ANPI che oggi tanto vi agitate per qualche sedia in pericolo come vi siete mosse quando un governo “di sinistra”, presieduto dal sinistro D’Alema, ha partecipato al bombardamento della Jugoslavia (un paese, quello sì, nato da una resistenza a pieno titolo)? E tutti gli altri fronti di guerra su cui siamo impegnati?

E sempre più le decisioni di peso, da quelle di “pace” in cui nel giro di qualche secondo si movimentano masse enormi di capitali, a quelle di guerra (più o meno fredda), esigono un potere forte di tipo diciamo così presidenzialista (solo in apparenza personale, in quanto espressione del capitale anonimo), senza complicazioni di partitini dell’1% proporzionalmente rappresentati, di “autonomi” consigli regionali, provinciali, comunali, di TAR e Consigli di stato inaffidabili, magistrature mafiose etc. etc. O si procederà attraverso “consultazioni dei cittadini on line” come secondo i programmi di certi balordi?

La realtà è che mentre quelli del sì sono per un adeguamento della sovrastruttura politica alle esigenze del capitale imperialista quelli del no, senza discostarsi di un passo da queste stesse esigenze, vorrebbero ritagliarsi il proprio spazio “democratico” per continuare nel gioco delle transazioni affaristiche attraverso e su cui campare. Sembrerà a qualcuno un paradosso, ma noi diciamo: cari elettori, se (attenti al condizionale!) volete tenervi stretto al seno il capitalismo nella speranza che esso riprenda a correre e voi a succhiare qualcosa dalle sue mammelle, sarà bene che vi decidiate per la scelta più accentratrice in quanto necessariamente più efficiente; l’unica alternativa “pagante”, fuori e contro questa logica, sarà: no a riforme e controriforme costituzionali, no al capitalismo, ma lotta a morte sul terreno (extraschedaiolo) di classe contro questo sistema.

Quelli del no del “movimento” sono semplicemente degli emeriti fessi che magari possono anche scrivere che “non conviene schierarci con questa o quella forma del potere nemico” (prendiamo da un pezzullo di un certo Partito Operaio), ma poi decidono che una vittoria del no metterebbe in difficoltà Renzi (e poi chi vivrà vedrà... il peggio, se possibile), per quanto questo con ci restituisca alcuna “rappresentanza politica”, epperciò si va al voto: “Non è un gran che, ma è quello che oggi possiamo concretamente fare, per vendetta” (testuale!). Nell’impossibilità e persino nella rinuncia di rappresentarsi come comunisti sul terreno dello scontro di classe si va a fare il gioco di frazioni borghesi antirenziane da cui, semmai, c’è da aspettarsi solo il peggio.

Noi crediamo di aver altro concretamente da fare, e sta nella «rottura di ogni continuità la scelta di campo nell’epoca del “tutto o niente”», come ottimamente scrive il Pino di cui alleghiamo un testo che ci evita di ripeterci con omologhe parole nostre e che dimostra che la voce di classe trova sin d’ora qualche eco e che si tratta di tessere dei fili tra compagni a quest’altezza per meglio megafonare il programma rivoluzionario comunista ed organizzare attorno ad esso le premesse del partito.

1 ottobre 2016




UN NUOVO INIZIO.
.....sul referendum d’autunno ed altre cosette.

(7 Settembre 2016)

Ci sono fasi storico-politiche in cui non c’è nulla da rifondare, rilanciare, continuare.

Questa, è una di quelle.

Dato per invariabile il metodo dell’indagine materialista, l’astrazione dei rapporti di produzione, la reiterazione e l’agglomeramento dei fenomeni nello spazio-tempo del movimento reale, si impone una nuova strategia per l’azione diretta, cosi’ come nuovi modelli organizzativi e nuove forme di combattimento.

TEORIA STRATEGIA ORGANIZZAZIONE
UN NUOVO INIZIO
per una scelta di campo del movimento rivoluzionario.

La teoria, forte dell’assimilazione di sconfitte e vittorie, prosegue nella critica della democrazia, prende atto della contraddizione tra tendenza storica alla socializzazione della produzione e l’accumulazione privata del prodotto, lotta per la futura società funzionale senza classi.

La strategia non può prescindere dal movimento reale, è parte del suo svolgimento, non vi si oppone, ma trova nella contraddizone gli elementi dell’opportunità rivoluzionaria, rendendoli incompatibili ad ogni soluzione opportunista, e li scioglie nella trasformazione sociale.

L’organizzazione autonoma e di classe, distinta e separata da quelle di tutte le altre classi e frazioni di classe, rifiuta il confusionarismo assemblearista, lotta per concentrare ed unificare politicamente le avanguardie operaie dei passati cicli di lotta e di riflusso che si pongono sul terreno di una scelta di campo rivoluzionaria internazionalista, antiistituzionale, astensionista.

L’integrazione progressiva di questi tre nodi fondanti la ripresa di classe può generare un “nuovo inizio”, che sappia trarre definitivamente tutti gli insegnamenti dai movimenti del passato, ponendo le basi per la prospettiva futura.

NEL MOVIMENTO REALE
OLTRE LA CROSTA INGANNEVOLE DELL’ APPARENZA

Proprio perché  “il movimento reale supera lo stato di cose presenti” il suo riflesso apparente cerca di nasconderlo.

Spetta al movimento rivoluzionario, con una chiara scelta di campo, disvelarlo, intravvedendo nella produzione e riproduzione della vita reale la contraddizione che spinge verso la socializzazione delle forze produttive, verso il comunismo.

Scelta di campo vuol dire fare i conti, stare dentro, capire e facilitare, approfittare delle “convenienze di classe” che offre il movimento reale, rifuggendo (ma analizzandone e comprendendone le giravolte) l’apparenza ingannatoria del riflesso sovrastrutturale, del praticismo politicante, del condizionamento ideologico, degli usi, dei costumi e delle psicologie sociali e morali deminanti.

La scelta di campo consiste nell’impostare la strategia politica di classe sui tempi lunghi del movimento reale avendo la forza ed il coraggio di impegnarsi su una prospettiva di militanza plurigenerazionale, senza trascurare l’intervento nella quotidianità della contraddizione.

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
ESEMPIO DI RIFLESSO INGANNEVOLE DELLA REALTA’
NELL’APPARENZA FALLACE

Il processo di adeguamento della sovrastruttura politico-ideologica al movimento reale è una costante dello sviluppo capitalistico.

A volte questo processo è lineare, a volte sfasato, squilibrato, in ritardo, come spesso è successo nella formazione economico-sociale Italiana, nel suo stato, nel suo apparato legislatore, nella sua scuola, e nella sua costituzione.

La costituzione repubblicana, involucro e cartina di tornasole, architrave ed architettura giuridico-sociale dell’intera sovrastruttura è stata piu’ volte sottoposta a restyling, senza riuscire però a produrre quel “salto modernizzatore” imposto dai tempi della velocizzazione globale e del vincolo continentale.

In sostanza, l’internazionalizzazione del processo di produzione capitalista e la propria espressione di blocco continentale battono i tempi e i ritmi della competizione planetaria di mercato irradiandosi sulle organizzazioni statuali e sulle loro “carte”, imponendone uno snellimento funzionalizzante ed una sburocratizzazione di sistema insieme ad un nuovo equilibrio tra i poteri esecutivo-legislativo-giudiziario.

Questa è la realtà, base materiale e motivazione profonda la prossima riforma dell’art.V° della costituzione Italiana intorno alla quale si definiscono gli ultra-trasversali schieramenti referendari del NO e del SI.

Un manto di falsa coscienza ideologica copre le vere ragioni alla base della riforma costituzionale come dello “scontro” tra “innovatori del SI” e “resistenti del NO”.

Tra un Renzi che tira a concludere il proprio premeriato giocandosi la cartà della modernità e le “masse critiche di destra sinistra e centro” tifose della “costituzione piu’ bella del mondo”, resta l’esigenza borghese di centralizzazione e velocità d’azione dell’esecutivo, di efficienza istituzionale, giuridica, amministrativa.

La diatriba tra “Si & No” contrappone, oltre le fumisterie politicanti, un governo che scambierebbe la vittoria “semplificatrice” con la possibilità di contrattare termini e pesi del vincolo europeo, e le “opposizioni” antiRenzi variamente colorate (alle quali partecipano, purtroppo, consistenti propaggini di cosiddetto “movimento antagonista”) coalizzate in una sorta di partitone della spesa pubblica, sudista ed euroscettico (regioni-province-amministrazioni etc.) interessato al rubinetto di soldi (e relativa corruttela) che dallo stato centrale va alle autonomie locali.

Una linea di riforme padronali storicamente determinata ma mai portata a compimento che oggi si impone in regime di cessioni di sovranità, di vincoli di bilancio, di costruzione ed adeguamento dello stato-nazione alle nuove relazioni in Europa.

D’altra parte, per fare le riforme di struttura (do you remember P.C.I.?) il governo Renzi non ha certo aspettato il via libera parlamentare né referendario, ma solo gli ordini dei suoi padroni europei (basti pensare alla legge costituzionale 1/2012 che introduce il pareggio di bilancio in carta costituzionale modificando gli art. 81, p7, 117 e 119, o tutte le riforme contro il lavoro salariato e le pensioni.....).

La linea riformista del governo Renzi, corroborata dall’appoggio dei grandi gruppi industriali procede spedita (e senza una reale opposizione di classe!) in questa direzione, a partire dall’abolizione del bicameralismo e dal rafforzamento del potere dell’esecutivo.

Questa la ciccia, intorno al cui riflesso ideologico si fondano e fondono le “strane” alleanze nella competizione referendaria, con un occhio alla costituzione da “riformare” o “difendere” e l’altro alla propria sopravvivenza politica ed elettorale.

Si impone di fronte ai plurimi tentativi di utilizzo politico-elettoral-referendario una posizione autonoma del movimento rivoluzionario, o almeno delle donne e degli uomini che a lui insistono a far riferimento.

Nel tentare di chiarire la reale posta in gioco, va ribadita la critica della democrazia borghese e dei suoi strumenti consultativi truffaldini, cosi’ come l’alterità ad ogni “costituzione” comunque espressione di determinati rapporti sociali tra le classi e per questo, per sua natura, antioperaia.

La costituzione repubblicana, nata dalla mediazione resistenziale, è la costituzione del “lavoro salariato, della legge uguale per tutti e del ripudio della guerra”: un inganno e un imbroglio per gli sfruttati sia nella sua “applicazione integrale” che nella sua possibile, probabile, riforma.

Nell’ASTENSIONE RIVOLUZIONARIA al referendum d’autunno convivono insieme il rifiuto della “corruzione referendaria” e la critica della democrazia borghese sul filo del ritorno al futuro del 1848.

NELLA ROTTURA DI OGNI CONTINUITA’
LA SCELTA DI CAMPO
NELL’EPOCA DEL “TUTTO O NIENTE”

SCELTA DI CAMPO vuol dire appartenere alle idee della rivoluzione sociale, alla sua teoria materialista, alla sua strategia funzionale al movimento reale, alla sua organizzazione autonoma, alle sua azione diretta.

SCELTA DI CAMPO vuol dire segnare sul campo la critica ed il superamento della democrazia “migliore involucro capitalistico”, delle sue istituzioni, dei suoi regolamenti e di tutta la sua architettura etica ed ideologica truffaldina.

SCELTA DI CAMPO vuol dire schierarsi nell’unica lotta di liberazione possibile e storicamente attuale oggi: con i proletari di tutto il mondo contro i padroni.

La nostra terza via, in un mondo squassato da squilibri globali e guerre locali, tra il nazionalismo protezionista (e le sue versioni ideologiche euroscettiche) e il blocco imperialista è l’INTERNAZIONALISMO, come lotta di classe innanzitutto contro i padroni Italiani ed Europei.

Di fronte ad un mondo in veloce trasformazione non si può stare fermi a guardare, o a riproporre strumenti e forme del vecchio movimento operaio.

Le forme e gli strumenti della lotta li decide la realtà dei rapporti di forza in cui essi si danno, e in una realtà profondamente mutata occorre chiudere con i cicli di lotta passati, pur facendo tesoro dell’esperienza trascorsa.

Insieme all’abbandono definitivo di ogni illusione spondista legata alle topografie di destra e sinistra parlamentare, vanno messe in soffitta icone, miti colori e bandiere legate ad una ex democrazia “progressiva” oggi divenuta reazionaria ed imperialista insieme ai particolarismi dei “movimenti delle nicchie”, tanto autoreferenziali ed autoriproducenti quanto incapaci di spostare minimamente i rapporti di forza ra le classi.

Il movimento storico ha una sola direzione di marcia in avanti, non indietro, e le società umane del futuro sono il frutto delle attuali contraddizioni, non delle nostalgie per il passato, per le “piccole patrie” o per le sovranità nazionali e monetarie.

Essere capaci di intravvedere nello svolgimento del movimento reale, per esempio nel processo di formazione, composizione e rafforzamento o relativo indebolimento dei blocchi imperialisti continentali (U.S.A., U.E., aree Indo-Cinese, Brasile, Oceania, medie borghesie medioorientali etc. )i tratti “convenienti” alla rottura rivoluzionaria fa il paio con l’aggiornamento delle forme e degli strumenti della lotta comunista, della sua strategia, della sua organizzazione sul campo.

L’epoca storica del compromesso socialdemocratico, del welfare-state e delle e del “conquiste graduali e progressive” è stata soppiantata dalla presente epoca dela scarnificazione sociale, della fine del welfare e della sfoliazione di diritti, normative e libertà.

Ne consegue che al passato periodo del “poco ma stabile”, del “rosicchiamento sindacale” e del movimento operaio dei “diritti del lavoro” stiamo entrando nel periodo del “tutto o niente”, del definitivo tramonto della concertazione sindacale e di tutti i suoi strumenti di realizzazione.

Siamo al punto in cui l’armamentario di lotta del passato diviene poco incisivo se non inutile, nel senso che viene imbrigliato da mille codicilli che lo rendono superfluo oppure si esprime secondo regole, percorsi ed obiettivi stabiliti dalla legge e dall’ordine dei padroni.

Insomma, oggi le “lotte” sono ininfluenti (scioperi iperprogrammati e poco partecipati, cortei, manifestazioni e “scontri” addomesticati quando non concertati, riflusso nell’autoghettizzazione o nell’”autoreddito” degli “spazi sociali”) o non ci sono, o riguardano particolarismi frammentati che non rispondono ad alcuna visione generale ed offensiva.

Ripensare le forme di una lotta che deve tornare a colpire,

di una strategia che superi la contingenza,

di una organizzazione oltre il particolarismo,

può essere un primo passo verso l’adeguamento

del movimento operaio al movimento reale.


Urge fare qualche passo concreto in questa direzione.

Pena la sparizione, o la pantomima.


Pino ferroviere