nucleo comunista internazionalista
note




POST-REFERENDUM:
TUTTI I NODI VENGONO AL PETTINE

Uno scrittore di “sinistra” stile fantasy potrebbe commentare il risultato del referendum come segue:

“Il referendum ha segnato la vittoria del nostro No al governo Renzi grazie alla straordinaria mobilitazione (elettorale) dell’insieme delle forze di sinistra: SI, Rifondazione, una mezza dozzina di quarte internazionali, bersaniansperanzosi, CRAC (scusate: CARC), sindacati di base, cunei rosé, CGIL (al termine di dure battaglie in piazza per la causa operaia), partigiani dell’ANPI scesi dai monti per confermare con la scheda la propria rivoluzione in armi, governatori delle Due Sicilie più il Masaniello di Napoli, etc.etc. Casualmente, per una distrazione loro, al nostro No si sono aggiunti alcuni pochi ed ininfluenti voti dei vari Grillo, D’Alema (che, però, contiamo di recuperare alla ricostruzione della sinistra), Salvini, Brunetta, Casa Pound, Storcace-Alemanno, che in nulla e per nulla inficiano il valore di sinistra del No, vincitore assoluto della gara. Ora, finalmente, possiamo ripartire dalla riconquista dei valori eterni della nostra bellissima Costituzione che il cattivo Matteo intendeva violare. Come ha scritto un nostro glorioso cattedratico ora possiamo liberamente designare i senatori chiamati a rappresentarci e liberamente tornare a “sceglierci” dei parlamenti “espressione del voto popolare” (come in passato i decenni DC e poi il berlusconismo, vero?), riequilibrare il rapporto legislativo-esecutivo e ripristinare i poteri delle Regioni e, se del caso, delle provincie, ma soprattutto dei comuni – gloriosa nostra tradizione post-medievale e pre-capitalista da rivendicare contro quel che à venuto dopo, visto che le “autonomie locali” ci assicurano tutte le guarentigie relative alla salute, all’ambiente e via dicendo –.”

E’ proprio così? Nutriamo qualche dubbio in materia.

Verissimo che gran parte del “nostro popolo di riferimento” (proletari e settori non sfruttatori della “gente”) ha votato in massa per il No partendo da un sacrosanto odio nei confronti del governo Renzi e, precisiamo noi, solo in sottordine rispetto al tema costituzionalista del referendum, ma – al contrario – in ragione della precarietà della propria posizione sociale, dell’attacco al salario ed ai diritti e via dicendo, restando su un piano molto “materialistico” ed assai poco rodotiano et similia da giuristi costituzionali. Benissimo, salvo che da queste giuste premesse si è scesi per una pessima china. Per due motivi essenzialmente. Primo: l’avversione (ripetiamolo: sacrosanta) verso il governo Renzi si è tenuta ben lungi dalla considerazione fondamentale che le misure antioperaie etc. da esso prese non costituiscono un’anomalia rispetto ad un presunto modello di capitalismo equo da ripristinare (a suon di schede), che non c’è un qualcosa di buono che “si potrebbe fare” passando ad altri di buon cuore il bastone di comando sempre restando nell’ambito delle leggi del capitale nella fase storica presente, che Renzi si è semplicemente limitato a rispettare queste leggi e, se vogliamo, persino in maniera più soft e con qualche – seppur infimo – risultatino in termini di PIL, occupazione (di merda) e mancette per gli scalognati rispetto ad altri parametri (vedi per tutte la Loi Travail del “socialista” Hollande, prossimo ad esser spazzaturato via, ma senza che nessun sostituto si sogni di “restituire il maltolto” ai proletari). Secondo (e in relazione a quanto sopra): l’affidarsi alla scheda per “vendetta” (come ha scritto qualcuno) contro Renzi in assenza di ogni e qualsiasi mobilitazione reale sul piano sociale, senza un proprio indirizzo politico di partito, significa null’altro che affidare il proprio gruzzolo di rancore anti-Renzi a forze (ben strutturate sul terreno che attualmente al proletariato manca sotto i piedi) della peggior risma. Lo stesso ventilato referendum abrogativo del Jobs Act qualora poggiante su una pura e semplice mobilitazione elettoralistica (ed altre sul terreno di classe non ne abbiamo viste da parte dei sindacati di stato) non porterebbe a nulla di buono: potrebbe sì cancellare delle misure legislative particolarmente odiose per i proletari, ma, ovviamente, non creerebbe con ciò alcuna premessa per una maggiore e migliore occupazione lavorativa, aprendo anzi la strada a misure ancor più pesanti per noi da parte del padronato.

Insomma: o si accetta la sfida che il capitale è costretto a lanciarci e si scende in armi contro di esso (non parliamo ancora di rivoluzione, che sappiamo non essere all’odg per l’assoluta inadeguatezza di globuli rossi nelle attuali vene proletarie, ma di un inizio di strutturazione delle forze di classe sul piano sia immediato che politico) oppure si finisce per affidarsi ai primi imbonitori di turno pieni di roboanti promesse di “giustizia sociale” in arrivo (tipo gli ometti qualunque del M5S o persino quelli delle rivoltanti destre confesse le cui facce da sole dovrebbero bastare a far scattare l’allarme tra le nostre fila). Il simpaticissimo Marco Rizzo, sul cui “partito comunista” è meglio stendere un velo pietoso, lo ripete sempre in modo semplice ed efficace: se si accetta di correre su un dato treno e lungo un determinato binario non val nulla cambiare il macchinista; il percorso ed il punto di arrivo saranno invariabilmente gli stessi. Un esempio calzante in proposito: prendete il caso di Syriza montata su quel treno col suo Tsipras al volante. Che cosa è cambiato per la nostra classe? Il solo fatto di esser stata indotta a salire essa stessa su quel treno ed a pagarne di seguito tutte le conseguenze. Anche Tsipras aveva indetto un referendum “per il popolo” ed il popolo vi aveva entusiasticamente aderito (e qualche fesso nostro ex ci aveva qualificai da “estremisti infantili” per non aver intesa la vittoria!). Dopo di che... il cagnolino ribelle è ritornato alla cuccia (con tanti complimenti da parte di Fascina che ne ha lodato il “senso di responsabilità” di cui anche SI saprebbe farsi carico semmai chiamata a gestire uno straccio di “potere”).

Dice ancora, impeccabilmente, il buon Rizzo: un tempo i borghesi attaccavano il dissenso; ora si industriano ad organizzarlo indirizzandolo verso lo spegnitoio. Esemplare il caso del M5S grazie al quale la piazza degli “umiliati ed offesi” si riduce a branchi di spettatori di spettacoli di umorismo nero e si limita poi a plebiscitare nell’urna i ciarlatani di turno. E non parliamo poi di certi ceffi del tipo Salvini che tante parole aveva speso a favore degli esodati promettendo fuoco e fiamme in piazza in loro favore (da raccomandare alla Sciarelli per “chi l’ha visto?”) ed oggi assicura che con la Lega al governo tutti i piccoli risparmiatori bancari “rovinati da Renzi” (cui manca solo di addebitare il crack della Banca Padana) saranno rimborsati sin all’ultima lira. E c’è ancora da risuscitare “il milione di nuovi posti di lavoro” assicurato a suo tempo dal consocio di Arcore. Se la massa proletaria (e in particolare quella giovanile, tra cui il No è stato pressoché plebiscitario) pare aver compreso che nulla c’è da sperare dalle sponde “più a sinistra” dell’attuale schieramento politico date le dimostrazioni di gagliardia sin qui dimostrate resta tutt’altro che immune rispetto ad altre e ben più insidiose sirene e l’andamento di questo No ne ha certificato lo stato comatoso. Sarebbe ora di reagire a questo andazzo riposizionandosi sul nostro terreno di classe per quel poco che oggi dei comunisti conseguenti possano contare senza farsi inghiottire (con le migliori intenzioni del caso se si vuole) da ammucchiate parlamentaristiche in cui si finisce inevitabilmente per restare al traino del nostro nemico.

Come abbiamo scritto in precedenza la riforma renziana, con tutti i suoi abborracciamenti e contraddizioni (prezzo da pagare alle infinite controspinte lobbistiche presenti all’interno della sua stessa compagine) tendeva a risolvere, da un punto di vista inequivocabilmente borghese (e ci mancherebbe altro...) il problema di fondo del capitalismo attuale e di quello del debole ed anchilosato capitalismo italiano nello specifico, di una stretta decisionista nel senso di una concentrazione e centralizzazione di forze ineludibilmente diretta contro gli interessi proletari di classe. Come si disse da noi a suo tempo questa la sfida da raccogliere: non il richiamo ad un preteso “antifascismo” liberal-democratico quando il contenuto fondamentale del capitalismo attuale è, per forza di cose, quello fascista, ma il riposizionamento di classe sul terreno antagonista.

Renzi ha certamente perso questa battaglia per il momento, ma tutto si può dire salvo che il blocco egemone del No miri a qualcosa di diverso dall’imperativo da lui fissato ed anche con minori guarentigie per il “volere del popolo” all’orizzonte. La faida interna antirenziana non sposta di un millimetro la questione. Ma, intanto, il risultato referendario ne complica i passaggi. Da un lato l’imperativo “decisionista” resta più che mai attuale, dall’altro assistiamo ad un incasinamento del quadro politico con la prospettiva di un “intervallo” (di cui si dovranno pagare tutte le conseguenze) di instabilità ed improvvidi inciuci parlamentari destinati a complicare la vita del “nostro” capitalismo (e qui c’entrano poco le “intromissioni” della UE e del FMI come “agenti esterni” sopraffattori: i conti reali cui far fronte stanno integralmente sul “nostro” tavolo e ci starebbero ancor più pesantemente in caso di una Brexit italiota o un ritorno alla lira come “ancora di salvataggio” destinata al naufragio).

A Renzi non resta attualmente che una strada (e sembra che egli voglia coerentemente percorrerla): rilanciare il proprio programma arrivando nel PD alla resa definitiva dei conti con la propria minoranza interna, banalmente definita “di sinistra”, che si è prodigata per questo tipo di No senza alcuna prospettiva alternativa ed ha solo giovato a rilanciare il blocco reazionario di opposizione. Ha sì qui raccolto “solo” un 40% di consensi? Annotiamo innanzitutto che, vista la defezione di circa 1/4 del suo partito ha già raccolto una quota in crescita rispetto alle forze computabili in partenza. Da qui egli può ripartire per affrontare la sfida con la destra, su cui è già in vantaggio, e quella col M5S che oggi lo vede pressoché alla pari, ma con la possibile risorsa di uno spostamento della destra dal terreno per essa suicida dell’appoggio ad eventuali ballottaggi (staremo poi a vedere come si andrà al voto) a favore del M5S e con la certezza che, in ogni caso, un ipotetico governo pentastellato sarebbe destinato nel breve volgere di tempo ad implodere una volta chiamato a reggere le sorti governative (l’esperienza di Syriza insegna qualcosa). Dentro questo quadro c’è anche la prospettiva, lucidamente (o, se volete, piratescamente) disegnata da Pisapia della costituzione di una “sinistra responsabile” pronta a ripetere la via rifondarola di un “appoggio condizionato” al renzismo come punto estremo di salvataggio contro destre e “populismo” spostati “più a destra”. Già a Gentiloni sono venuti in soccorso due di SEL e vorremmo proprio vedere una SI a far blocco anti-PD con la destra o M5S al momento fatidico!

E, intanto, “le stelle (proletarie) stanno a guardare”? Noi non staremo certamente a guardare, e questo è quel poco o tanto che vi possiamo assicurare.

17 dicembre 2016