nucleo comunista internazionalista
note




Guerra di classe/Italia

CONTO ALLA ROVESCIA PER LA RATIFICA DEL PIANO-FIAT

LA CLASSE OPERAIA CI ARRIVA CON LE MANI LEGATE DIETRO LA SCHIENA

EVENTI TRAUMATICI BUSSANO ALLE NOSTRE PORTE

nuovo corporativismo

La quiete prima della tempesta ci viene da dire. Parliamo del conto alla rovescia ormai agli sgoccioli per la ratifica del “Piano Fiat” presentato il 21 aprile scorso che dovrebbe fare da spina dorsale, dopo aver spezzato la spina dorsale della classe operaia, al progetto “fabbrica Italia”.

Può essere che stiamo prendendo un granchio, ma se la strategia politica su cui si muove la direzione del capitale Fiat rimane decisa, come tutto lascia pensare, ad affondare il coltello ciò non significa solo la decisione di muovere un passo, e che passo!, di guerra di classe ma significa anche decidere di gettare un tizzone ardente sulle sostanze infiammabili di cui è impregnato lo stivale italiano, significa muovere un passo a scompaginare, a esasperare il bailamme in questo ventre molle dell’Europa. Ancora una volta: guerra di classe e attacco all’Europa. Cercheremo ora di spiegarci.


Prima però vogliamo un momento fermarci sul significato, sul messaggio che promana dalla illustrazione che qui, in testa, riproduciamo. E’ una delle paginate di “lancio pubblicitario” del progetto stesso da cui traluce il carattere che lo ispira che è il carattere del moderno modo di essere del capitalismo: collaborazione di classe per il bene superiore “della produzione” e della Nazione, concertazione fra “le parti sociali”, sostanziale applicazione del principio corporativo. In sintesi: moderna e democratica applicazione del metodo fascista di gestione del Capitale.

L’abbiamo tratta dal quotidiano degli arancione/viola Il Manifesto, data 23 aprile. Per i deboli di reni appuntiamo che “il guaio”, “l’inganno”, il carattere realmente fascista del messaggio (e della realtà che gli sta dietro) non risiede affatto nel fasullo “e appartiene a tutti noi” che vi campeggia. Perché se anche davvero ne fossero compartecipi anche gli operai degli utili e della proprietà stessa della fabbrica, se davvero “tutti noi” ne fossimo compartecipi e, nel caso estremo, la fabbrica-Fiat e la fabbrica-Italia appartenesse allo Stato capitalista collettivo, ciò significherebbe non “ più democrazia reale” ma uguale se non maggiore soggezione dei salariati al dominio totalitario e impersonale del Capitale che si esercita benissimo anche senza la sorpassata figura del padrone X o Y.

Ed ancora: questa réclame riprodotta dal “quotidiano comunista” Il Manifesto (apposta lo ripetiamo!) per noi esprime lo stesso contenuto, aggiornato al nostro tempo della democrazia imperialista, che promana dalle illustrazioni n. 2 e n. 3: repubblica sociale! Non diverso a sua volta da quello esplicitato nella illustrazione n. 4 che è una pagina dell’Unità, giugno 1936 a firma di Giuseppe Di Vittorio cioè quello che dieci anni più tardi sarà il gran capo della Cgil “rossa” –tricolore di cui gli Epifani attuali sono legittimi, seppur pallidi ed esangui, discendenti. Detto questo che ci premeva, a noi!



rsi Il piano del Capitale/Fiat consiste nello stanziamento di una notevole quantità di miliardi al fine dichiarato di rafforzare e rilanciare la produzione negli stabilimenti nazionali, stabilito che quello di Termini Imerese deve chiudere i battenti (ed azienda e Stato qui si incaricheranno di trovare una qualche più o meno provvisoria e aleatoria sistemazione per quei lavoratori che certo non verranno lasciati brutalmente sulla strada). Sul piatto il Capitale/Fiat preventiva negli stabilimenti nazionali il raddoppio della produzione d’auto in cinque anni, la possibilità di nuova occupazione, forse qualche migliaio di nuovi schiavi salariati potranno essere messi all’opera in particolare nello stabilimento che dentro il progetto rimane centrale ossia Mirafiori. Inoltre dal buon esito dell’investimento potrà venirci fuori qualcosa per i lavoratori anche in termini di recupero salariale.

Come Brenno, il Capitale/Fiat mette insomma sul piatto della bilancia un mucchio di quattrini che chiedono perentoriamente di essere valorizzati, a certe determinate e ferree condizioni. Nella prosa del Capitale si dice “massimizzare l’utilizzo degli impianti sfruttando al massimo ogni euro investito” cioè la classe operaia Fiat è chiamata brutalmente, in tutti gli stabilimenti, a piegare la schiena sotto cadenze di lavoro più intense e con il taglio delle pause: ogni euro investito deve e può fruttificare grazie al sudore e al sangue degli operai.

Il Capitale/Fiat detta la condizione: se le nuove regole di lavoro e normative non verranno approvate e sottoscritte dalle organizzazioni sindacali, avvocati e “legali rappresentanti” dei lavoratori, non se ne farà niente, esso troverà fuori dall’Italia altri luoghi di produzione, altre galere di lavoro salariato dove può, alle sue condizioni, valorizzarsi. Prendere o lasciare!

Inoltre, altra micidiale e subdola mossa di guerra, le dure condizioni poste se valgono per tutti gli stabilimenti sono ancora più draconiane e stringenti per uno in particolare: Pomigliano. Guarda caso al Sud, guarda caso nella prateria del mezzogiorno d’Italia che forse non attende altro per prendere fuoco, in scenari che ricordano Reggio Calabria 1970 (“episodio” drammatico e dimenticato sul quale si farebbe bene invece a ritornare. Noi, a suo tempo e nel nostro piccolo, lo abbiamo fatto vedi su queste pagine “ Spazzare le strade, spazzare la stalla”). Dice la Fiat (salvo all’ultimo momento allentare la presa): se anche solo su Pomigliano non c’è l’accordo con i sindacati, salta l’insieme del piano. (1) Dice, quasi entusiasta, il superbonzo Bonanni/Cisl: “A Pomigliano Marchionne può investire sicuro”. (Il Giornale, 23/4) Sarà proprio così?

Se la Fiat, a cui lo Stato spiana in ogni modo la strada, ci mette il mette il Capitale, gli operai sulle linee ci mettono il sudato lavoro, le organizzazioni sindacali che cosa sono chiamate a metterci? Tanta e tanta vasellina ci viene da dire, ma è soltanto una battuta.

In realtà ci mettono, ci stanno mettendo, una oltre ogni limite vergognosa opera di disarmo preventivo della classe operaia la quale è condotta ed arriva a questo svolto importantissimo con le mani legate dietro lo schiena. Ad un passo di guerra di una tale portata che coinvolge immediatamente la classe operaia Fiat ma che si riverbera, del tutto evidentemente, sull’insieme del proletariato d’Italia si sarebbe dovuto come minimo rispondere con l’apertura di una campagna di massa, con una aperta discussione e coinvolgimento di massa attorno alle questioni fondamentali poste dal diktat di Marchionne che lascia ben poche vie di fuga. Stretta nell’angolo la classe operaia Fiat può replicare ed uscirne in positivo in una sola maniera: gettare essa sul piatto della bilancia il peso della sua forza unita e centralizzata attorno alla difesa dei suoi interessi di classe in urto contro il capitale/Fiat e in urto agli interessi della Nazione, dello Stato del capitale. Forza organizzata del lavoro contro la forza del Capitale! altre vie non ve ne sono, se non la via di fuga di una disperata resistenza locale e territoriale il cui sbocco finale, nel contesto sociale e politico generale del Paese, è la ulteriore disgregazione del proletariato italiano.

Ed invece, ignobilmente come degli scassinatori che agiscono nell’ombra, questi “legali rappresentanti” dei lavoratori questi autentici sindacalisti-di-Stato hanno trattato e continuano a trattare febbrilmente la pelle e sulla pelle della classe operaia d’Italia nel silenzio e nel vuoto di ogni serio e reale coinvolgimento della classe stessa. (Lavoratori che come per beffa poi qualcuno, vedi Fiom ed altri, senza dubbio “chiamerà a votare” per dire “l’ultima parola” sugli accordi. Ma votare cosa, se ci troviamo totalmente impreparati, disorganizzati? Un Sì o un No, senza alcuna reale alternativa, a che cosa? se ci avete e ci volete disarmati dell’unica arma reale che abbiamo nelle nostre mani cioè la lotta di classe. E’ questo un modo “furbo” e subdolo, usato classicamente dalla “sinistra sindacale” per salvarsi l’anima. Una foglia di fico per coprire la propria vergogna. Ma come tutte le “furbizie” esse alla fine vengono in scadenza. E, cara “sinistra sindacale”, si pagano caro!)

Quando il Piano Fiat è stato presentato, il 21 aprile, esso ha spiazzato completamente le organizzazioni sindacali mettendo letteralmente in un angolo in particolare la Fiom e la Cgil. Quale era infatti la critica essenziale rivolta all’azienda (e al governo) e la rivendicazione centrale del sindacato? Quella di non difendere abbastanza o per niente la produzione nazionale a differenza, dicevano questi immondi sindacalisti tricolori, di altri paesi dove le quote di produzione nazionale sono tutelate e rafforzate.

La Stampa 1936Eccovi serviti signori! Un sacco di Capitale e di lavoro per “l’Italia”, per la “fabbrica Italia”. Qualcuno forse si azzarda, a suo rischio e pericolo, a dire di no? Infatti nessuno si azzarda, nessuna forza borghese può azzardarsi: lasciando stare quelli della Cisl e della Uil che a stento trattengono l’entusiasmo per la proposta Fiat e la “sinistra” politica che con Bersani parla di “piano coraggioso e ambizioso” (seppur con “qualche zona d’ombra”) è la stessa Cgil – che ne uscirà più di ogni altra struttura con le ossa rotte – ad accoglierlo positivamente, a fare buon viso a cattiva sorte si potrebbe dire ma l’esito non cambia. Dice il segretario generale Epifani: “è sicuramente un piano di svolta, si tratta di una sfida nella quale il sindacato deve provare a stare”, “il problema vero è trovare una mediazione...”. (Il Sole 24 Ore, 23/4)

Il povero ex segretario Fiom Rinaldini che fino al giorno prima, 20 aprile, “attaccava” la Fiat “per la marginalizzazione del nostro Paese”, il 22 d’aprile dichiara per la sua organizzazione: “prendiamo atto positivamente delle novità del piano industriale” e che: “la Fiom è disponibile alla trattativa che, in quanto tale, non prevede la firma apposta dai sindacati in calce a testi scritti sotto dettatura. Nulla impedisce alla Fiat di procedere nei suoi piani di investimento. Per quanto ci riguarda, il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori interessati agli accordi è vincolante rispetto ai nostri comportamenti”.

In sostanza la Cgil/Fiom che non può azzardarsi a rovesciare il tavolo – pena venire azzannata per essere quello che in effetti non è cioè forza anti-nazionale, sabotatrice del superiore interesse “della produzione” da cui far derivare il benessere anche per gli operai – disperatamente chiede a Marchionne di consentirgli una via di fuga e di poter continuare a mettere in scena un gioco delle parti. Perché questo è! “Voi andate avanti, trattate pure. Noi vogliamo giocare la nostra partita, fare la nostra parte di fronte agli operai. Dateci, consentiteci uno straccio di apertura, di concessione sulla quale poterci appigliare”.

Questo è, fondamentalmente, il discorso della “sinistra sindacale”.

Ma è proprio questo – una minima via di fuga, un minimo appiglio spendibile per strappare la firma sull’accordo – che il capitale/Fiat sembra, salvo virate all’ultima ora, non voler concedere, stringendo il cappio in particolare su Pomigliano. Quella che la Fiat chiede è la resa (che per i vertici Cgil può avvenire addirittura senza combattere!) è la effettiva capitolazione del “sindacato di classe”, del sindacato “rosso”–tricolore. Solo il tricolore può e deve restare!


Di Vittorio

Siamo dunque arrivati, questione di giorni o settimane, al momento della verifica delle forze reali in campo e del loro urto violento. La classe operaia ci arriva nella peggiore delle maniere, solo uno scatto di lotta, una fiammata spontanea di cui certo il proletariato è capace, ma nelle presenti condizioni appare assai improbabile, può ribaltare l’esito segnato di questa prima battaglia campale che è alle porte.

Sugli operai di Mirafiori e di altri stabilimenti si eserciterà una pressione enorme. Il ricatto del mantenimento del posto di lavoro, pesantissimo più che mai in questi tempi, può essere respinto solo da un’azione unitaria e generale della classe operaia.

Difficile credere invece, checché ne dica Bonanni, che a Pomigliano passi, così come è stato presentato finora, l’aut-aut Fiat, pur con tutta la buona volontà che i vertici nazionali Cgil/Fiom possono metterci. Ed allora, tanto più la resistenza di quella ridotta proletaria sarà tenace, tanto più ci saranno tutte le condizioni perché una lotta operaia se lasciata isolata e compressa nell’ambito territoriale, funga da detonatore di tutto il malessere che “in quel territorio” cova sotto la cenere e metta in moto una serie di reazioni a catena fino a coinvolgere e squadernare il gioco delle forze sociali e politiche a livello nazionale.

Questo è, realisticamente, il quadro che abbiamo davanti. Badate bene e fate attenzione: qui non stiamo descrivendo alcun canto funebre della lotta di classe del proletariato. Stiamo parlando degli eventi traumatici che bussano alle nostre porte che segneranno bensì la fine di una commedia italiana, la fine dei giochi e dei giochetti delle parti, delle fasulle “opposizioni e alternative di classe” sindacali e politiche. Si apprestano ad essere travolte dagli eventi tutta una serie di strutture vuote, morte di ogni reale contenuto di classe. E così sia.

In questa vigilia noi con fiducia e convinzione riaffermiamo: il futuro è nella lotta di classe, il futuro è tutto nelle mani del proletariato, del proletariato internazionale e non del Capitale.

3 giugno 2010



Note
(1) Il diktat cui i lavoratori di Pomigliano dovrebbero sottostare comprende: “Le richieste dell’azienda infatti non si limitano all’aumento dei turni e delle ore di straordinario. ... Ecco cosa chiede la Fiat oltre ai 18 turni e alle 80 ore aggiuntive di straordinario in deroga al contratto nazionale e senza preavviso al consiglio di fabbrica: riduzione delle pause del 25%, spostamento della mensa a fine turno, facoltà di variare il numero di vetture da produrre nella giornata,... nessun pagamento per i primi tre giorni di malattia, formazione dei lavoratori durante il periodo di Cig senza costi aggiuntivi per l’azienda e inserimento di queste norme in un nuovo contratto do sottoporre individualmente a tutti gli operai. Inoltre Marchionne intende sanzionare il sindacato che non rispetterà tali accordi e riformulare il ruolo delle Rsu cioè del consiglio di fabbrica” (Cfr Il Giornale, 20/5)