nucleo comunista internazionalista
note





A PROPOSITO DELL’ABOLIZIONE
DELLA PENA DI MORTE

Anche noi comunisti, e con maggior coerenza di ogni altro, siamo “per principio” a favore dell’abolizione della pena di morte; e non solo, ma anche di quella sorta di condanna a morte differita che è l’ergastolo e, più in generale, di ogni pratica puramente afflittiva rispetto al crimine, anche se ammantata ipocritamente dal “punendo redimere” (che in Farfallon Franco Franchi traduceva sensatamente “punendo deridere”). Questo sia detto, a scandalo di chi si voglia scandalizzare, riconoscendo il diritto-dovere storico della rivoluzione, di ogni vera rivoluzione e, quindi, tanto più della nostra, di esercitare dittatura, terrore, violenza, “sacrificando” delle singole vite per salvare mille altre vite. Ma certamente il socialismo vittorioso saprà andar ben oltre le grandi anticipazioni “umanitarie” di un Thomas More o di un Beccaria (argomento su cui ritorneremo prossimamente in altra sede).

Ci sta bene che gli stati borghesi, assassini per definizione, siano impediti di troncare delle vite a loro piacimento e secondo le proprie convenienze nell’esercizio della loro “normale giustizia”. Ma... e qui ci sono parecchi ma. Primo: il boia licenziato per mancanza di esecuzione dei civili non sembra venga allo stesso modo licenziato per i “crimini militari contro lo stato”. Secondo: la massa decisiva delle morti eseguite dalla mano invisibile del capitalismo resta al di fuori di ogni giurisdizione... antimortifera. Vedi, ad esempio, le morti sul lavoro, che per un buon 90% potrebbero essere tranquillamente evitate “se”. E sarà interessante sapere che misure gli stati borghesi “abolizionisti” intenderanno prendere contro i boia responsabili di ciò. Anticipiamolo: nessuna, oltre l’accusa e una ridicola compensazione alle vittime per “colposità” (traduzione attuale, ed assai più forcaiola, del biblico “occhio per occhio, dente per dente”: qui il colpevole di questi misfatti ci rimette al massimo qualche pelo di ciglia e un po’ di rivestimento dentale). Terzo, ancor più importante: e che ne sarà proprio degli stati borghesi imperialisti che scorazzano per il mondo ad ammazzare civili a tutto spiano per le loro crociate di “libertà”? Quanto ci è risultato disgustoso un D’Alema, cantore del “grande successo umanitario” conseguito all’ONU “grazie in primo luogo all’Italia”, ricordandoci dei morti disseminati in Jugoslavia, Afghanistan, Somalia e tanti altri paesi con esplicito mandato ai boia di massa! Quanto ci fa schifo il Pannella di “non toccate Caino”, per il quale ogni serbo poteva e doveva essere legalmente massacrato!

Non poteva mancare a questa campagna “umanitaria” il risvolto anticinese. Come si sa, nella Cina capitalista di oggi, si usa mandare al muro, in particolare, non i profittatori borghesi (che anzi...), ma i maneggioni parassitari che estorcono tangenti “improduttive”. In questo caso, stando alla nostra visione, il delitto individualmente punito deriva da una struttura delittuosa della società. Il che non c’impedisce d’intendere la necessità di una profilassi sociale dentro il sistema, e per salvare il sistema, dettata da un semplice imperativo: quello di evitare insorgenze sociali mostrando che il potere opera efficacemente contro la “corruzione”. Chi è contro la prospettiva rivoluzionaria di classe dovrebbe sottoscrivere questa via (transitoriamente) obbligata. Se non lo fa, come non lo fa tutta la nostra pubblicistica venduta, è solo per scopi di guerra concorrenziale all’emergente capitalismo cinese. Ben altro, evidentemente, possiamo dire noi, non contro la pena di morte “in sé” inflitta ai “parassiti”, ma contro il parassitismo economico-sociale connesso al sistema (ed allora chiameremmo a far fuori non semplicemente le sanguisughe derivate, ma la Sanguisuga Massima rappresentata dal sistema; coi mezzi, assai poco pacifici, di cui sopra, colpendo il vero Caino).

La preoccupazione “umanitaria” contro la pena di morte (e tutto il resto dove sta?), vale zero se non si eleva alla lotta rivoluzionaria contro la presente società, fonte di tutti i delitti che contano. In termini ancora “utopistici” (ma leviamoci tanto di cappello!), lo aveva già capito Tommaso Campanella (1568-1639), col suo progetto di una Città del Sole senza carceri, perché “la povertà (e non solo di portafoglio, diciamo oggi, n.n.) è la principale cagione che rende gli uomini vili, furfanti, fraudolenti, ladri, intriganti, falsi testimoni e la ricchezza produce superbi, falsari, insolenti”.

E, addirittura in versione religiosa, l’aveva capito Tolstoj: “Nechljudov (il protagonista di Risurrezione, n.) voleva capire perché tutti questi disgraziati venissero messi in prigione mentre altri uomini simili a loro e qualche volta peggiori erano lasciati in libertà e per di più incaricati di giudicarli e condannarli”. Tolta la veste religiosa mistificante, questo è il problema dell’attuale “giustizia” che va rivoluzionarmente risolto. La “pietà” per i “reprobi” senza un odio profondo verso un sistema che produce anomalia, illegalità etc. etc. vale zero. Questo l’aveva capito persino l’avanguardia della rivoluzione borghese, allorché essa poteva pensare di rappresentare l’”ultima parola” liberatrice dell’”umanità”. Che non lo capiscano, oggi, quanti accedono ad una ridicola e vergognosa campagna capitalista per il “diritto alla vita” è veramente il segno di un regresso impressionante. Se il problema fosse semplicemente quello di toccare o meno Caino, diremmo che Caino lo faremmo volentieri a pezzi con le nostre mani. Si tratta, invece, di toccare, e sul serio, la fabbrica sociale dei Caini, anomalie genetiche a parte che può darsi verranno a colpire singoli cervelli anche nel socialismo e saranno tranquillamente affrontate come tali.

21 dicembre 2007