nucleo comunista internazionalista
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Nuovo attacco alla Siria... e tramite essa...

Il bombardamento aereo sulla Siria del 14 aprile è un’ulteriore passo nel confronto tra “fronte atlantista” e “asse della resistenza” con la Russia in testa. Mai come in questa occasione si è andati tanto vicino al confronto militare diretto, sventato mirabilmente dalla potenza delle armi e dalla diplomazia russe.

Fallimento dunque della prova di forza cercata dal fronte dei “Crociati di Wall Street”, che si preparano a tornare alla carica più furibondi che mai non solo sul teatro siriano, ma, per esempio, come i russi temono, sul fronte del Donbass. Una crisi simultanea Siria/Donbass, cioè un attacco alla Russia su due fronti contemporaneamente, sarebbe per davvero uno scenario da brividi: messa all’angolo, il contatto militare diretto sarebbe davvero vicino.

C’è chi parla, per il braccio di ferro in Siria, di sostanziale gioco delle parti, di due giganti che si abbaiano a vicenda ma che alla fine non si mordono.

Non è così. Ma c’è del vero, nel senso che le due parti in contrasto sono entrambe legate “allo stesso mondo”, cioè al capitalismo mondiale in cui la borghesia russa così come quella cinese vive e vegeta, e vuole continuare a vivere e vegetare chiedendo di farlo “paritariamente”, in condominio con l’egemone Usa/Wall Street, che invece non accetta di condividere il suo status di potenza egemone.

La situazione è tesa, nervosa. Da tutti i lati.

La scaturigine bruciante di questa crisi militare/diplomatica è una situazione di crisi economico/finanziaria con epicentro Wall Street, la quale non potrà essere a lungo gestita con mezzi “normali” per evitare la catastrofe: in particolare, i dati sull’oceano di debiti sui quali poggiano le Borse mondiali a cominciare da Wall Street sono spaventosi e tale situazione non può più essere gestibile “pacificamente” a tempo indeterminato.

I passaggi dello scontro in Siria: 2011 scoppio delle rivolte popolari nate su istanze reali subito “incanalate” dagli agenti pro-Occidente tempestivamente presenti in loco in direzione di una guerra di aggressione presa convintamente in carico dalle opposizioni anti-Assad; 2013 bombardamento evitato all’ultimo momento grazie a Putin e alla pressione della Chiesa cattolica su Obama; 2015 intervento russo che ribalta la situazione militare sul campo evitando il collasso finale del governo di Damasco, sostenuto nella riconquista del territorio contro lo Stato islamico e le milizie islamiste; 2016 escalation di settembre (in una situazione che ricorda molto quella attuale), con la defezione al momento decisivo di una parte importante dell’apparato militare/statale Usa contrario allo scontro diretto con la Russia. Sconfitta della Clinton nelle elezioni. Trump. 2017 aprile, bombardamento di sfogo concesso a Trump, pressato al suo interno da chi lo vuole “al soldo di Putin”.

Oggi si ripete in sostanza quello che è avvenuto nel settembre 2016: una parte dell’apparato Usa si ritrova impotente nello sfidare direttamente le armi russe, quindi questa volta all’ultimo momento si tira indietro. Chiede tempo, è l’ala che vorrebbe “il dialogo” ed è ferocemente attaccata sul piano interno ed esterno (Israele) da chi vorrebbe andare fino in fondo. E’ questo lo specchio di un paese, gli Usa, profondamente lacerato (si pensi anche ai dati spaventosi della percentuale di popolazione vittima di droghe/psicofarmaci...) non compatto dietro un governo di guerra. L’ala “patriottica”, “sovranista” vuole perciò guadagnare tempo per prepararsi davvero allo scontro decisivo.

Anche all’interno della Russia crescono correnti che contestano sottotraccia a Putin e ai suoi una conduzione troppo concessiva verso l’occidente. Dicono: “Noi non saremo mai accettati dalla 'buona società' occidentale, Presidente, facciamocene una ragione e comportiamoci di conseguenza già da ora su tutta la linea. E’ inutile continuare a chiamare partners i nostri nemici dichiarati che vogliono spezzarci la schiena!”

La Chiesa romana stessa in questa occasione, a differenza di quanto accaduto nel 2013, se ne è stata alquanto zitta, avallando in pratica, con il suo silenzio, l’attacco militare. Ciò ha suscitato le aspre critiche di quella parte (tradizionalista, anti-mondialista) che chiedeva e chiede uno schieramento anti-americano (corrispondendo fra l’altro alle richieste che vengono dalla Chiesa cristiana di Siria).

Il fronte degli Stati europei pro Usa è compatto solo sulla carta, e, quando la situazione precipita, il cosiddetto fronte europeo tende a sgretolarsi, non avendo un “perno di potenza” unico attorno al quale legarsi.

Che dire delle varie forze politiche? I partiti della “sinistra parlamentare” sono schierati da quel dì su posizioni filo-atlantiche (ricordate il ruolo svolto da questa “sinistra “nel massacro della Jugoslavia? Fino a giungere alla Libia con Napolitano ed ora alla Siria...). Abbiamo assistito all’ennesima prova di ipocrisia: tutti ad accreditare l’attacco chimico del governo siriano, mentre la mattanza va avanti da sette anni e l’ipocrisia anti-chimica serve solo a giustificare il raddoppio della dose quotidiana di morte e distruzione vomitate sulla Siria.

Un massacro che prosegue su tutti fronti della Siria e del Medioriente: dal Nord della Siria invaso dall’esercito turco, con i curdi che ancora una volta pagano amaramente l’alleanza offerta agli Stati Uniti; alle sacche di resistenza e alle provocazioni delle milizie islamiste che continuano a seminare distruzione nelle città siriane e a offrire pretesti agli attacchi diretti dell’Occidente; alle aggressioni a 360 gradi di Israele con i raid in territorio siriano e con le esecuzioni di decine di manifestanti palestinesi disarmati al confine – serrato!;– della prigione di Gaza. Per non dire dello Yemen, dove le armi delle “nostre” industrie di guerra vendute ai principi sauditi seminano morte nella guerra contro gli Houti.

E il proletariato di qui? completamente assente dalle piazze, avvolto dalla crisi, atomizzato all'estremo, con rare lotte sostenute da sindacati di base nell'ostilità dei sindacati ufficiali sempre più integrati nel meccanismo statale, con il rischio sostanziale di trovarsi al traino della propria borghesia nelle guerre di aggressione ed essere poi usato come carne da macello!

Per non dire del “movimento no war” che fu, e della “sinistra estrema”, finanche “internazionalista e di classe”, che da troppo tempo decampa, salvo poche meritevoli voci, da un coerente schieramento contro l’ennesima aggressione imperialista dell’Occidente inciampando nelle proprie contraddizioni: se Assad è il fetido rappresentante della borghesia nazionale siriana (delle sue fazioni centrali tradizionalmente meno prone all’Occidente), ciò non trasforma in schiere di “rivoluzionari” le “opposizioni” scese in campo per favorire l’aggressione occidentale.

Per iniziare a uscire da questa “morta gora” è necessaria la ripresa di un movimento di classe, guidato da una politica rivoluzionaria, qui, nelle metropoli capitalistiche, in una lotta che affratelli proletari autoctoni ed immigrati: il compito è durissimo, ma non vi è altra strada... ed è su questa che noi operiamo con le nostre forze modeste.

24 aprile 2018




Pubblichiamo il comunicato della Rete No War di Napoli, come segnale di ricezione e di incoraggiamento per la ripresa della mobilitazione che ponga fine all’assenza di qualsiasi protesta significativa qui da noi (non così negli USA e in Gran Bretagna, dove ci sono state sia pur modeste iniziative contro i bombardamenti), nonostante le nefandezze quasi quotidiane degli imperialisti occidentali e con la potenza russa sulla difensiva a tutela dei propri capitalistissimi interessi nazionali.

GIÙ LE MANI DALLA SIRIA! DICIAMO NO AI PERICOLI DI UN CONFLITTO TRA GRANDI POTENZE!

Negli ultimi sette anni Stati Uniti, Europa ed i loro alleati medio orientali hanno provato a smembrare la Siria in tutti i modi possibili, alimentando una guerra civile che ha provocato milioni di profughi e centinaia di migliaia di morti, oltre che la distruzione dell’intero paese. Essi hanno finanziato, armato e sostenuto militarmente quell’islamismo radicale che a casa loro denunciano come il nemico assoluto, eppure evidentemente utilissimo quando serve a destabilizzare altri paesi. Ma nonostante questo enorme dispendio di energie, il governo siriano, con il supporto delle milizie libanesi, iraniane e soprattutto della Russia che non intendeva subire ancora una volta passivamente la messa in discussione di un proprio prezioso alleato nell’area, ha sconfitto i cosiddetti ribelli, composti in buona parte da combattenti provenienti dall’estero facendo fallire i loro piani.

Di fronte a questo smacco delle proprie mire neocoloniali, le potenze occidentali non si arrendono e decidono di alzare la posta, minacciando un intervento militare diretto. Ancora una volta essi hanno imbastito una provocazione, accusando il governo siriano di avere usato armi chimiche contro i civili tenuti in ostaggio a Goutha dai cosiddetti ribelli. Si tratta di una palese menzogna elaborata proprio da quei ribelli che essi finanziano e sostenuta a piè sospinto da quegli organismi “umanitari” altrettanto lautamente finanziati da quelle potenze. Non a caso gli USA ed i suoi alleati si rifiutano anche di aspettare l’esito di una commissione imparziale per verificare la veridicità dei fatti. Esattamente come avvenne con le inesistenti armi di distruzioni di massa di Saddam, le false stragi fatte dall’esercito serbo o con le fosse comuni di Gheddafi, si usa la scusa dei crimini contro i civili per farci accettare questa nuova aggressione alla Siria.

Questo presunto spirito umanitario del tutto strabico è manifestamente uno strumento per sostenere la politica di rapina e di oppressione verso chi non si piega ai diktat dell’alleanza Nato. Nella stessa Siria i bombardamenti effettuati dalla Turchia sulle popolazioni curde non hanno fatto scattare nessuna condanna nei confronti di Erdogan. Così come nessuna critica viene rivolta all’alleato Arabia Saudita, abbondantemente rifornito, in particolare dall’Italia, di micidiali armi di distruzione di massa, per i bombardamenti quotidiani sulla popolazione dello Yemen ormai ridotta alla fame ed in balia del colera. Meno ancora si sollevano proteste per quei veri e propri campi di concentramento in cui il pupillo occidentale Israele tiene rinchiuso ed opprime il popolo palestinese dopo averlo privato della sua terra. Le esecuzioni dei palestinesi che protestano a mani nude da parte dei cecchini dell’esercito israeliano a Gaza viene anzi considerato un atto di legittima difesa.

L’interminabile offensiva, iniziata con l’aggressione all’Iraq, passata per lo smembramento della ex-Jugoslavia, riaffermata con l’occupazione oramai ventennale dell’Afghanistan e con l’intervento in Libia, per ricordarne solo alcuni, ha il solo scopo di riaffermare il completo controllo dei Paesi occidentali sui popoli che nel secondo dopoguerra avevano provato a liberarsi dall’insostenibile dominio coloniale.

Essa è alimentata da quella stessa sete di profitto che in questi anni ha prodotto un forte arretramento anche delle nostre condizioni di vita e di lavoro.

Quando i nostri governanti ci parlano della difesa della “nostra” civiltà, della “nostra” democrazia per chiedere il nostro consenso alle politiche imperialiste, essi intendono la difesa dei “loro” profitti, dei “loro” privilegi come classe dominante, ed utilizzano quelle stesse politiche per aumentare il “nostro” sfruttamento, la “nostra” precarietà e la possibilità di reprimerci in nome dei supremi interessi della nazione e dei valori occidentali.

Diventa quindi sempre più urgente non solo dissociarsi da questa politica guerrafondaia e neocoloniale, ma anche tentare di contrastarla in ogni modo. Il militarismo e l’interventismo incontenibile della Nato va a scontrarsi oramai con gli interessi vitali di altre potenze mondiali come Cina e Russia, che non sono più disposte a giocare un ruolo di secondo piano nello scenario mondiale. Tutto ciò aumenta i rischi di trasformazione dei conflitti a scala regionale in un vero conflitto mondiale dagli esiti catastrofici per tutta l’umanità.

Il nostro governo, per quanto dimissionario, si è affrettato ad associarsi alla campagna di criminalizzazione fondata sulla bufala del bombardamento chimico, con il sostegno di tutta la grande stampa nazionale. E anche se per il momento non si associa alla nuova missione militare ha già dichiarato che non farà mancare il proprio supporto con le tante basi militari del nostro territorio.

Scendiamo in campo immediatamente per fermare questa ulteriore aggressione alla Siria e per impedire una partecipazione italiana a qualsiasi livello a questa nuova avventura imperialista.

Rete contro la guerra e il militarismo

Napoli, 12/04/18

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