nucleo comunista internazionalista
note



ELEZIONI REGIONALI:
VINCE IL MARASMA

Noi non siamo certo afflitti dalla febbre elettorale, ma possiamo ben ammettere che essa esista e costituisca un utile elemento d’indagine ove si disponga del termometro giusto.

Le recenti regionali e comunali hanno certamente apportato degli elementi di novità nel quadro politico, assai movimentato e destinato a movimenti ancor più parossistici in futuro, in atto. Andiamo sommariamente a vederli.

Non è una novità, ma il suo trend si è vieppiù rafforzato, quella dell’astensionismo dilagante. Un “avente diritto” su due ne fa provocatoriamente a meno, il che significa, tra le altre cose, che quando si fanno i conti delle percentuali dei voti espressi si deve sempre tenere bene a mente che “astraiamo” da una buona metà dell’elettorato potenziale. E con ciò i grandi numeri di certe forze politiche dimagriscono automaticamente di fatto, a meno di considerare “ininfluente” il tasso crescente di astensione.

Vi preghiamo di credere che questo 50% di astensionisti non si è recato alle urne in conformità alla linea anti-elettorale del nostro infinitesimo nucleo comunista, non si rifà all’alternativa (che fu di un momento storico, e ritornerà) “o elezioni o rivoluzione” ed, anzi, non rappresenta affatto la punta di diamante di una contestazione antagonista al sistema, anche se – c’è da giurarci – certi superfessi abituali che si dichiarano ipercomunisti tenteranno di teorizzarlo, se non altro come “potenzialità” che spetterebbe ad essi e consoci di cogliere. Questo dilagare dell’astensionismo costituisce un problema per il sistema? Ammettiamolo pure: per esso meglio sarebbe un totale intruppamento convinto nell’agone elettorale (destra-sinistr, poco importa visti i contenuti “contrapposti” parimenti a garanzia del sistema stesso). La stessa cosa può dirsi per manifestazioni che in certi casi “trascendono” lo steccato elettoralesco e scendono in piazza. Vi ricordate i famosi “forconi” su cui certi “compagni” da strapazzo si sono industriati a cogliere come “occasione”, sempre potenzialmente, d’accodo, “rivoluzionaria”. E’ vero: ogni movimento sismico che si avverta nel sistema ci interessa e ci coinvolge, ma a patto di non mettersi alla loro coda ed esserne conseguentemente travolti. E ciò significa non lisciare il pelo ai “movimenti” in quanto tali, ma tener ben fissa la propria bandiera, di sicuro senza “astenersi” dall’intervento; al contrario.

L’attuale ondata astensionista manifesta indubbiamente una ripulsa dell’attuale politica dominante, in tutti i suoi contrastanti settori, ma con un sottofondo apertamente reazionario, di attesa di qualcosa e qualcuno di “forte” in grado di cambiare radicalmente la situazione nel senso di un “provvidenziale” intervento di qualcosa di più energico per fuoriuscire in modo più capitalisticamente energico dal marasma in corso. Ed è, al fondo, la stessa cosa che si registra per certi fenomeni presenti e ben attivi sul piano elettorale, dalla Lega al M5S (fatte salve tutte le distinzioni del caso: la prima lo dichiara apertamente, i “grillini” fingono il contrario – anche qui sorretti da certe analisi di “compagni” andati a male –, senza che vi sia traccia alcuna di un antagonismo reale per contenuti e modalità di mobilitazione di massa sul terreno reale dello scontro di classe – orrore!, cosa stiamo mai dicendo? –).Una fetta di astensione ha tutt’altro segno, di attesa di prospettive radicalmente antagoniste? Lo possiamo ammettere, ma si tratta allora di un settore cui va energicamente data la sveglia: il proletariato non si astiene dall’organizzazione e dalla lotta; a condizione, sempre, che gli vengano dati dei segnali perspicui.

E veniamo allora all’analisi dei risultati... dell’altro 50%.

ANCHE RENZI ZOPPICA

Cominciamo da “sinistra”. Per Renzi non si è trattato certo di una vittoria, nonostante il 5 a 2 ottenuto. Mancano all’appello, e qui sta il punto, 2 milioni circa di elettori venuti meno. La stretta renziana per rilanciare il sistema Italia ha prodotto necessariamente molte vittime e per esse è stato logico ritirare il credito precedentemente accordato al “rottamatore” in quanto esse per prime ne hanno fatto le spese. Un elemento utile per una nostra ripartenza, ma da non affidare a succedanei peggiori del male cui s’intenderebbe reagire. Di cosa parliamo? Di certa opposizione alla linea renziana che ci si immagina prodotta dall’interno del PD grazie ai suoi sfigatissimi “oppositori” in attesa di libera uscita o/e dagli attuali cascami della cosiddetta “sinistra alternativa”. I “sinistri” antirenziani non sanno intravedere altre vie che queste: da un lato acconciarsi a ruota di scorta del PD “dove merita” e “con gli uomini giusti” al comando, ovviamente per “bloccare la destra” (vedi le tante “liste di appoggio” locale), dall’altro guardare ad un’“alternativa” a venire, beninteso come futura “forza di governo” – Pastorino dixit –, che pur sarà da fare con qualcun altro (ed abbiamo detto tutto!) in grado di “recuperare” (!!) le “tradizioni smarrite”... del PD “ante marcia” renziana. Al limite del ridicolo, ed anche oltre: a SEL è bastata la fuoriuscita in solitaria di Civati, già a suo tempo rottamatore di conserva con Renzi, per dichiararsi pronta a “sciogliersi” (già fatto, “compagni”!) per inventarsi assieme ai pippi un “altro” PD non più “partito in senso tradizionale” (ottocentesco, cioè marxista), “libera espressione di cittadini autonomi federati” in cui valga la regola “ogni testa un voto,ogni testa un’idea”. Un partito “possibile”, come recita Civati (in attesa di altri possibilisti); noi diremmo un altro partito “compatibile” (nei due sensi del termine).

Dopo le fallimentari esperienze “lista Tsipras” o “lista Ingroia” (al peggio non c’è mai fondo!) tutto quel che passa per la testa di costoro è raccogliere la “dissidenza” PD, come ormai raccomanda persino la Camusso. Un PD vecchio stile ed in formato ridotto. E qui Renzi ha ben ragione, secondo una certa logica di economia elettoralesca, nel dire: alla prova dei fatti non state che partorendo l’ennesimo topolino di pochi punti percentuali,ma semmai sufficienti a “fare il gioco della destra” come avvenuto in Liguria. Un’organizzazione antagonista di classe controbatterebbe: ce ne fotte della vittoria che vi abbiamo fatto mancare perché altra è la nostra strada, non segnata da esiti elettoraleschi, che sarà anche contro di voi, “sinistra” del capitale o non sarà. Ma così non è e la reprimenda di Renzi avrà buon gioco anche tra di voi se non vorrete farvi “complici della destra”. Parrebbe che Landini, col suo aborto di “coalizione sociale”, ove si presentasse alle elezioni (cosa che lui esclude non volendo un partito) otterrebbe un 10%. Ebbene: che ne fareste di questi voti per non sprecarli inutilmente se non rieditare i vecchi traffici bertinottiani per “battere la destra”?

Il “renzismo” resta saldamente al comando del PD e di una buona fetta di “società” che si aspetta misure drastiche per “il bene del paese” (alla faccia del proletariato ed anzi alle sue spalle) e già ora può registrare alcuni mini-successi marchionnisti in materia, semmai messi in pericolo da vecchie strutture mafiose del tipo magistratura, corte costituzionale etc. con cui fare i conti nonché da un’“opposizione interna” che non ha trovato nulla di meglio per demarcarsi dalla “linea generale” dettata da Renzi che la legge elettorale – doverosamente, dal punto di vista capitalista, ultracentralista ed “antidemocratica” – e la confusa ribellione alla riforma semipadronale della scuola, che tende a balcanizzare il mondo del lavoro. Ribellione intesa a proteggere il proprio spazio corporativo senza essere in grado in alcun modo di proporre un vero e proprio cambiamento antagonista nel campo della scuola stessa (programma della massima urgenza per cui noi ci battiamo), con una difesa della scuola di stato – gabellata per “sociale” – contro quella privata esclusivamente come “posto di lavoro garantito” nella chiavica dell’attuale struttura statale.

Si è da più parti notato che molti dei punti di forza dell’attuale PD in queste elezioni sono da attribuirsi prima che al partito a “potentati locali” (tipo Emiliano e De Luca, ammettiamoli pure come “buoni amministratori”) che, in qualche modo, rappresentano dei ras che giocano in proprio, il che ci fa ritornare ad esempi del passato presenti nel PSI del periodo prefascista, con tutto quel di tragico che poi ne è conseguito. I blocchi di potere personali-locali comportano quanto meno una rete di interessi in concorrenza con un piano generale (addio allora al “partito della Nazione”!) che risulta d’ostacolo alla stessa “ottimizzazione” del sistema e, come è facile constatare, un proliferare di clientele, intrallazzi, ruberie aggiuntive. Questa schifezza non è propria del solo PD, che anzi non vi eccelle come protagonista, ma di tutto l’arco costituzionale (con l’eccezione, in parte, del M5S) con la destra che vi marcia alla grande.

Un altro aspetto che risalta dalle attuali elezioni è quello, in qualche modo connesso al precedente, dell’emergere di protagonismi individuali, sempre a negazione di un progetto esclusivo di partito. Il fatto è, per l’appunto, che i partiti nazionali (della borghesia, sempre) si sono squagliati sotto il segno dell’“americanizzazione” (che però negli USA non significano la stessa cosa): si corre verso leadership individuali senza più riferimenti a proprie basi sociali, ma quali semplici riferimenti di potere cui il “cittadino” deve delegarsi in un voto da cui sempre più è assente come protagonista. E non sarebbe niente di male, per il capitale, se queste leadership rappresentassero, come avviene negli USA, un concentrato capitalista collettivo. In Italia è un’altra cosa, non buona per il capitale e pessima per noi qualora non fossimo capaci di contrapporvi le nostre ragioni di partito. Per complesse ragioni storico-strutturali il renzismo ne è lontano ed allo squagliamento, infine conseguito, del partito in quanto tale mancano gli opportuni contrappesi di blocchi di potere omogenei su cui far conto.

CINQUE STELLE CADENTI

Tra chi canta vittoria c’è il M5S: siamo il primo partito e, in caso di ballottaggio alle politiche, saremo noi gli sfidanti diretti di Renzi (sperando che la destra ci voti per far dispetto al PD, magari intuendo la possibilità di dirottare successivamente una massa di “onorevoli” 5S verso altri lidi, come già abbondantemente successo nel corso della presente legislatura). Orbene: il risultato conseguito è certamente eccellente e sembra apparentemente smentire il nostro pronostico di un rapido venir meno dell’elettorato verso questo partito. Ma vanno, in proposito, segnalate alcune cose. Primo: in ogni caso anche i grillini perdono pezzi, e non secondari. Secondo: la loro relativa tenuta (provvisoria) si spiega perfettamente con la presenza di una sotterranea spinta alla contestazione delle cose così come stanno che intercetta malumori (in gran parte qualunquistici) che nessuna altra forza parlamentare ha saputo intercettare e indirizzare, in particolare da parte della pretesa sinistra “alternativa” quando ce ne sarebbero state tutte le condizioni e qui assistiamo alla versione “rappresentativa” dei mal di pancia astensionisti secondo una comune logica. Terzo: l’adesione elettoralesca al M5S segue una precisa parabola: quanto più il “richiamo” è lontano tanto più esso lucra. Le consultazioni “generali”, da quelle europee a quelle politiche nazionali, danno al movimento un massimo. Scendendo al “concreto” immediato tutto si raggrinzisce. In molte situazioni regionali l’arretramento del movimento è già marcato. Scendendo ancora alle comunali il fenomeno assume contorni impressionanti. Ciò significa uno scarto evidente tra “simbolo della protesta” nella stratosfera della politica “generalista” e mancato radicamento a livello di realtà locali dove, spesso, il movimento neppure esiste. Abbiamo sottomano un esempio, per quanto piccolo, di questo. In un comune dove il M5S era risultato alle europee il primo partito esso non è stato nemmeno in grado di presentare una sua lista e l’hanno fatto alcuni suoi “dissidenti”, acconciatisi a promuovere un candidato PD, ottenendo poco più dell’1%. Questo sta a significare che non esiste alcun radicamento di massa nel “concreto”, nessuna autentica azione sul “terreno” materiale dello scontro. Alle politiche ci potrà anche essere un relativo “ribaltamento”, ma su basi del tutto friabili, “immateriali”. E quindi, anche in caso di buoni risultati elettorali alle politiche (grazie alle assenze di cui sopra) ci sarà da chiederci: Varo,Varo, dove sono le tue legioni? E perché mai tanti tuoi legionari sono pronti a passare dall’altra parte, dove “si fanno realmente le cose”? Con buona pace di quei “compagni” disposti a salire (o comunque applaudire) a quel carro. Anche nel caso in cui, grazie al discredito di tutte le altre forze concorrenti, il M5S possa (provvisoriamente) insediarsi al vertice di alcuni enti locali, a partire dai comuni – ed anche Roma è lì ad aspettare –, si aprirebbe un gap pressoché immediato tra le mirabolanti promesse siderali di “rinnovamento globale della politica” e le basse esigenze territoriali strette nella morsa del sistema (che il M5S non si sogna affatto di attaccare, ma “rigenerare”) ed allora l’“ideale” naufragherebbe di necessità di fronte al “concreto” con alleanze inedite coi reprobi quo ante e cambi di casacca a non finire o quanto meno alla verifica dei fatti: questo capitalismo ha delle sue leggi imperative cui attenersi e di qui non si scappa, a meno di dar voce ad un antagonismo anti-sistema (dio ce ne guardi!, vero Grillo?).

NUOVI LABORATORI PER LA DESTRA

E veniamo alla destra.

E’ un dato di fatto che Forza Italia si trovi in una posizione moribonda e che Berlusconi, già capace in passato di catalizzarne le forze tra fantasiosi programmi innovativi nel segno del “liberalismo” pur in presenza di performances individuali del tutto vomitevoli, è definitivamente out. In occasione del suo defenestramento dal governo, su cui molto hanno giocato spinte internazionali preoccupate più che delle sorti dell’economia italiana di una relativa autonomia berlusconiana sul terreno dei rapporti “strategici” dell’Italia (in particolare l’“amicizia” con Gheddafi e quella con Putin) da cancellare in nome degli interessi delle grandi potenze egemoni, un Berlusconi “coi coglioni” (politici, il resto non ci interessa) avrebbe potuto e dovuto agire da statista “nazionale”. Il che non è stato e lo si visto soprattutto nel caso della Libia, su cui oggi può recriminare da Giuda. Non essendo propriamente un fesso egli può oggi anche dire una sua “ineccepibile” sulla questione della Russia che un’Europa succube degli USA vorrebbe “isolare”, ma questo al di fuori di qualsiasi visione geopolitica nazionale. Senza parlare dell’assenza di ogni serio programma economico-sociale in contrapposizione a Renzi contro cui non riesce che a ripetere il solito rosario di promesse miracolose fondate sul nulla (meno tasse, sussidii per gli indigenti etc.etc.: ma come far quadrare i conti salvaguardando, tra l’altro, l’insieme degli abbienti intoccabili? Lo abbiamo già sperimentato quand’era al governo: zero in prestidigitazione!). Il povero Berlusconi, ormai ridotto ad innocua macchietta, è riuscito ad escogitare la necessità di un nuovo rassemblement della destra attorno ad un partito “repubblicano” e con ciò pone un problema serio ai “suoi”; salvo che la sua realizzazione potrà darsi solo sulla tomba (metaforica, in attesa d’altro) del “berlusconismo”. Compito arduo per delle forze prive di nerbo ed idee che continuano a prosternarsi di fronte al “padre fondatore” (ed oggi affondatore) di questa destra.

Per converso assistiamo all’essor della Lega, unica vera vincitrice di queste elezioni anche in termini di voti complessivi portati a casa.

Il fatto è tanto più interessante in quanto Salvini non ci sembra proprio un personaggio dalla statura eccelsa e che possiamo, al massimo, valutare quale precursore di un certo disegno di “ricomposizione della destra” in termini aggressivi e vincenti.

E’ ridicolo che il successo di Salvini venga ridotto dalla “sinistra” a pura e semplice demagogia a sfondo razzista (che non manca, sia chiaro!). Salvini, a questa stregua, sarebbe quello che “specula” sulla questione degli immigrati e dei rom per appellarsi ad “oscuri istinti” della massa (e se anche fosse vero che la questione sta tutta lì ci sarebbe da chiedersi come mai altri non sanno parlare a questa massa, a meno di ammettere che il “popolo bue” questo è per definizione).Le cose non stanno così. Rimaniamo alla questione degli immigrati e dei rom: non c’è chi non veda che, come ben risulta dalle vicende romane, e non solo, essa rappresenta un problema reale per il “paese”. La questione degli immigrati non può essere risolta a suon di invocazioni al “diritto all’accoglienza” e quella dei rom a quella della “difesa della loro cultura” (?!). O vi è una politica, di cui solo i comunisti possono farsi protagonisti, di integrazione di classe o forzatamente di assiste allo scandalo dello sfruttamento di queste due realtà a favore di bassi interessi monetari da parte di determinati “addetti ai lavori” pronti a lucrare sui fondi assegnati dallo stato per l’“assistenza” (la famosa mucca da mungere!) e, nel caso degli immigrati, di imprese semi-schiavistiche che ne fanno un elemento di concorrenza al ribasso rispetto ai lavoratori nostrani senza trascurare l’ovvio ricorso di un parte di costoro, per motivi assai semplici, ad espedienti “fuorilegge” per sopravvivere. Tutte cose che realmente pesano sulla “gente” di qui sotto tutti gli aspetti (lavoro, salario e condizioni normative del lavoro, stretta contributiva pro-mucca e, diciamolo pure, sicurezza). Mancando la prima alternativa, ed imperversando il “malaffare” organizzato e tutto il resto sotto la copertura dello stato, ne vengon fuori problemi reali che non si esorcizzano coi richiami moralistici al “dovere dell’accoglienza” (traduci: pappatoia ed “esclusione” di fatto) . La “soluzione” salviniana a suon di respingimenti e ruspe va certamente battuta, ma si tratta di vedere in che modo: quello presuntamene “umanitario” cui si richiama l’attuale sinistra non può che portarne in abbondanza alla destra salviniana. L’alternativa è altra e non sta neppure nelle Caritas e nell’opera di molti bravi volontari realmente no profit alla cui moralità possiamo anche rendere omaggio (infischiandocene sul piano del progetto politico: non ci interessa una Caritas rossa, ma uno strumento di organizzazione e battaglia di classe).

(Annotiamo che iperdemagogicamente la Lega propone a soluzione del problema migratorio da bloccare – come?, con le cannoniere? – un “aiuto a casa loro” per chi scappa dalla miseria “nera”. Si potrebbe anche sottoscrivere, ad una condizione: lottare contro la schiavizzazione del nuovo colonialismo termo-nuclear-finanziario da parte dell’imperialismo, cominciando da quello di casa propria. E su questo punto sappiamo perfettamente cosa c’è da aspettarsi da simili “cooperatori” nazional-sciovinisti! Alla loro “sinistra” questo tema non è neppure evocato, eppure proprio qui sta il nodo centrale per fermare l’esodo biblico dei disperati.)

Ma sarebbe stupido ridurre il richiamo della Lega a questi due fattori, tutto sommato marginali anche se “emblematici” (proposti nei modi più detestabili possibili). Non dimentichiamo, tanto per cominciare, la battaglia della Lega contro la legge Fornero, sia pure condotta solo in termini referendari (quelli, d’altra parte, che sindacati e “sinistra estrema” hanno evitato e che i bravi magistrati dello stato si sono affrettati a cassare). Su questo tema sono stati coinvolti, comprensibilmente, molti proletari che nella destra salviniana sono stati indotti a scoprire “qualcosa di sinistra” venuto meno altrove). E c’è tutta la grancassa a favore delle PMI soffocate da tasse intollerabili e burocrazia soffocante (ben lungi dall’essere “rottamate” dal renzismo) che ancora una volta una larga fetta di proletariato può intendere come condizione di difesa dei propri interessi, visto che l’imperativo dichiarato di tutti è l’aclassismo e la “solidarietà lavoratori-impresa” in nome dei “comuni interessi della Nazione”. Altrettanto dicasi della contestazione leghista nei confronti dell’“attuale Europa” (che anche Renzi si proponeva di cambiare, rompendovicisi le corna) ed allo stesso euro. Temi, guarda caso, fatti tortuosamente propri anche da parte di molti “ultrasinistri”.

La trasformazione della Lega in partito non più del Nord, ma “della Nazione” è solo un primo passo verso la costituzione di un effettivo partito populista della destra capace di uscire dalle secche dell’ormai decrepito berlusconismo. Un assaggio la cui realizzazione “sino in fondo” non verrà dall’attuale salvinismo, ma è tutta da seguire e che trova già, in molti paesi europei, dei notevoli (anche se difformi) punti di presenza pesante sempre in chiave nazionalpopulista (un’autentica sciagura sulle cui responsabilità sarà bene però riflettere).

Sconfiggere questa linea di deriva tocca ancora una volta ai comunisti, oggi pressoché assenti (a parte il 0,7% del PCL o il 0,30% di Alternativa Comunista da qualche parte: e noi non irridiamo alla povertà dei risultati elettorali conseguiti, del tutto corrispondenti agli attuali rapporti di forze ma ai loro sballatissimi programmi, la cui percentuale di comunismo assomma allo 0,000 e poco più, fatti salvi l’impegno e le “tensioni” di molti loro compagni di tutto rispetto) . Perché una presenza comunista reale si dia occorre più che mai stabilire dei punti fermi teorico-programmatici lontani dal “concretismo” praticone e dalle sparate demagogiche in nome di presunti e ridicolizzati “programmi di transizione”. Ed a ciò chiamiamo i compagni che intendano mettersi su questo terreno.

8 giugno 2015