nucleo comunista internazionalista
note





ANNOTAZIONI A MARGINE DELLA MANIFESTAZIONE DEL 16 GENNAIO CONTRO LA GUERRA

La manifestazione del 16 gennaio 2016, venticinquesimo anniversario dell’inizio della prima Guerra del Golfo scatenata dall’Occidente contro l’Iraq di Saddam Hussein reo dell’occupazione del Kuwait (tentativo di ricongiungere quella provincia al suo storico retroterra e alla città di Baghdad cancellando un artificioso confine creato dall’imperialismo), è stata un ulteriore passo sulla strada, tanto difficile quanto necessaria, della ripresa della mobilitazione contro le guerre scatenate dagli imperialisti occidentali nel Medio Oriente, in Nord-Africa e nel mondo intero, dovunque i loro interessi di rapina hanno trovato e trovano ostacoli che li fanno scattare a intonare le fanfare di guerra, con le quali questi criminali si dispongono a piegare sotto un mare di bombe quanti, governi e popolazioni, non sono totalmente inginocchiati e proni ai loro diktat. Oggi, 2016, le cancellerie e i comandi militari dell’Occidente imperialista, senza allentare la presa su Siria e Ucraina, preparano una nuova aggressione alla Libia, dopo quella devastante del 2011, e i bombardieri della democrazia ancora una volta lustrano gli ordigni e scaldano impazienti i motori.

PREMESSA

Passaggi preparatori della manifestazione del 16 gennaio 2016 sono stati la manifestazione del 2 giugno 2015 a Roma e quella del 24 ottobre 2015 a Napoli, entrambe indette contro la nuova aggressione militare alla Libia, che vedrebbe il centro di comando delle operazioni nell’ex aeroporto di Centocelle, ai cui cancelli si è diretta la manifestazione del 2 giugno, e che ha fatto le sue prove generali nelle esercitazioni militari della Nato denominate Trident Juncture con centro di coordinamento delle esercitazioni in Napoli. In tutti questi passaggi la mobilitazione ha coinvolto non più di poche migliaia di partecipanti e anche il 16 gennaio ad esser generosi non si è andati oltre i 5.000: numeri modesti, ma nondimeno significativi in relazione al contesto generale e specifico della ripartenza della mobilitazione contro la guerra imperialista dopo anni di riflusso e paralisi. Altri momenti di discussione e di denuncia ci sono stati in questi mesi. Richiamiamo 2 giugno e 24 ottobre non solo perché abbiamo potuto parteciparvi, ma anche perché in quei momenti di piazza abbiamo visto il tentativo serio di mettere sui giusti binari la ripresa potenziale di un vero movimento di lotta. Come già abbiamo scritto, ad animare questi passaggi sono state forze che in questi ultimi travagliati anni non hanno perso la testa a osannare inesistenti rivoluzioni popolari (e finanche proletarie) in Libia e in Siria (né si sono nascosti dietro una reticenza indifferentista su quegli eventi), così inibendosi – e depotenziando in generale – ogni credibile capacità di denuncia e mobilitazione contro la guerra imperialista, quando le “rivoluzioni” cirenaica e anti-Assad hanno lasciato ben presto il campo alla realtà dell’aggressione imperialista invocata e plaudita dagli “insorti”. Per capirci non c’erano e non potevano esserci, ad esempio, quanti dalle colonne del Manifesto ebbero a titolare “Benedetta Nato” che finalmente ’ci’ liberava dalla ’tirannia’ di Gheddafi. A riprendere la piazza sono state forze che hanno chiamato sin da subito alla mobilitazione contro l’ennesima aggressione imperialista avvalsasi in quei due paesi dell’ “insorgenza” di cavalli di Troia presenti in loco e accorsi da fuori alla bisogna. E’ questo un punto fermo da valorizzare e dal quale ripartire.

Lo scenario del Medio Oriente e del Nord Africa è particolarmente complesso. L’assenza in questa fase di ogni sussulto di vitalità e figuriamoci poi di protagonismo politici del proletariato occidentale indebolisce e azzera (transitoriamente noi crediamo) le potenzialità della nostra classe internazionale, ridotta oggi a scomposto dato sociologico e non soggetto politico. Questo si riflette nella debolezza delle forze di classe nei paesi dominati dall’imperialismo, che non trovano alcuna sponda di lotta e di solidarietà nei paesi occidentali. In queste condizioni ogni più sporca manovra è concessa agli imperialisti e a una schiera infinita di sanguinari sicari di media stazza che operano al loro seguito (i vari Erdogan, Al Sisi, Al Saud... con i quali il governo Renzi e gli industriali italiani intrattengono serrate relazioni di amicizia, alleanza e affari). Proprio in relazione a questa complessità di scenario la ripresa possibile passa per la chiarezza della denuncia, facendo strame di ogni ambiguità. Anche le più recenti notizie che ci giungono dalla Tunisia e dall’Egitto ci parlano dei tentativi di masse e settori popolari e proletari che prendono e riprendono la via della mobilitazione contro condizioni di vita insopportabili in Tunisia, e quella dell’organizzazione sindacale indipendente per affermare gli interessi collettivi della classe lavoratrice contro la morsa repressiva e assassina del generale Al Sisi in Egitto. E’ stato questo il segno delle sollevazioni che hanno defenestrato Ben Ali e Mubarak (senza per questo esagerare e inventarci un’inesistente centralità assoluta del protagonismo proletario in quelle straordinarie proteste di piazza). Tutt’altro copione è andato in scena in Libia e in Siria. Lo diciamo perché questa è stata ed è la realtà dei fatti, e perché la questione diventa di capitale rilevanza.

Chi ci conosce sa perfettamente che tutto siamo meno che “campisti”. L’unico campo cui apparteniamo è quello della classe proletaria internazionale, contrapposto al campo della nemica classe borghese a cominciare dal “nostro” imperialismo che si chiama imperialismo italiano. Nulla è più lontano da noi dell’idea che le aspettative proletarie possano trovare presa in carico e soddisfazione nell’ambito di alleanze con borghesie, Stati e fronti di Stati borghesi ma “progressisti” in quanto e purché contrapposti al “nemico principale” identificato in genere negli Stati Uniti. Il nostro esclusivo campismo di classe, per capirci, ci ha fatto sostenere con entusiasmo la grande sollevazione operaia polacca del 1980-81 (quando l’URSS era in piedi e il campismo esisteva veramente, riflettendosi nel reticente silenzio di un grandissimo numero di pseudo – “rivoluzionari” su quel poderoso ciclo di lotte proletarie in un paese dell’Est europeo). Francamente non è neanche molto chiaro in che senso altri sarebbero oggi “campisti”, se il “campo socialista” non c’è più, né pare che i tardo stalinisti abbiano sostituito tal quale la Russia di Putin all’Urss di baffone, orientandosi piuttosto – secondo il corretto dogma staliniano – sull’esclusivo zenith degli “interessi della propria nazione” e relativi “ponti” nel contesto attualmente dato verso corrispondenti zone di “nostro interesse” a questa stregua. E se non mancano ex-stalinisti (invero anche ex –"trotskisti”...) in via di trasmigrazione verso lidi rosso-bruni dove riscoprono la Russia di Putin come “faro della vera civiltà cristiana e occidentale”, resta pur sempre il fatto che la generalizzazione “anti-campista” viene tirata in ballo da certuni (ci riferiamo al Partito Comunista dei Lavoratori di cui appresso) per confondere le acque e nascondere le proprie magagne.

Noi non abbiamo mai lavato la faccia a nessuna fetida borghesia nazionale al potere nei paesi dominati, sempre sostenendo contro di esse e contro i burattinai imperialisti le istanze e le lotte indipendenti del proletariato e delle masse doppiamente oppresse. Ciò non toglie che possiamo riconoscere a un Gheddafi o Assad i meriti di soluzioni (più spesso di mere aspirazioni) borghesemente più moderne e avanzate ai problemi non piccoli di quelle società rispetto alla barbarie imposta e reintrodotta dall’imperialismo (il che non ha niente a che vedere con “specifici e originali socialismi locali” di cui qualche pazzoide ha pur farneticato). Soprattutto non toglie che da sempre denunciamo i veri crimini delle borghesie nazionali già al potere in Libia e Siria. Ce ne sono e tantissimi, ma non certo quello di essersi difesi e di difendersi dall’aggressione imperialista in corso dal 2011 e da quanti rivoltosi, autoctoni o importati, gli hanno steso il tappeto sotto i piedi invocandone l’ingresso. A proposito di veri crimini di classe – e l’elenco sarebbe ben più lungo, sia per li leader libico che per la “dinastia” alawita – non abbiamo mai dimenticato nella via crucis dei palestinesi né tanto meno omesso di denunciare il massacro di Tal El Zatar, anno 1976, marchio di infamia indelebile del preteso e inesistente “socialismo siriano”; come anche, a proposito di 16 gennaio 1991, la partecipazione di Assad padre alla coalizione imperialista che riconquistò l’ “indipendenza” e la “sovranità” agli sceicchi del Kuwait (e ricordiamo un cornutissimo foglio ben patinato della cosiddetta “sinistra di classe” che argomentava sull’ “astuzia” della “volpe del deserto” che con la sua “tutto sommato formale” partecipazione alla coalizione pro-Kuwait allontanava da sé – per quanto? – l’insofferenza e la minaccia imperialista!).

L’appello per la manifestazione del 24 ottobre a Napoli ha detto poche chiare parole in proposito. La NATO vi è denunciata per aver “seminato morte e distruzione dalla ex Jugoslavia all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, passando per il sostegno ai cosiddetti “rivoltosi” di Ucraina e Siria”, e dalla piazza napoletana è stato giustissimamente allontanato un drappello che in quella manifestazione voleva provocatoriamente tributare il proprio sostegno alla “rivoluzione siriana”. Su questo punto vogliamo rivolgerci soprattutto a quanti chiedono in ottima fede di non porre discriminanti, di non creare spaccature e di unificare tutte le forze, avendo sinceramente a cuore la ripresa della mobilitazione. Ci riferiamo in particolare a talune componenti religiose di base che vanno riattivizzandosi contro la guerra con posizioni spesso molto più a sinistra di quelle di certi istrioni super – “rivoluzionari” innamorati delle proprie farneticazioni (che non abbandonano neanche quando la realtà ne ha mostrato la fallacia anche ai ciechi). Ad essi e in generale vogliamo dire che le “discriminanti” presenti nell’appello napoletano e il conseguente comportamento degli organizzatori non solo sono corretti, ma sono necessari proprio per la ripresa di una credibile mobilitazione e ancor di più per la sua tenuta. La ripresa della mobilitazione non dipende dalla sommatoria degli zero virgola di micro forze che si potrebbero mettere insieme annacquando ogni appello, ma dalle scosse profonde che l’avvilupparsi delle contraddizioni del capitalismo non potranno fare a meno di trasmettere all’intero corpo sociale rimettendolo in movimento. A riportare in piazza le masse non sarà la scesa in campo di Arci e Tavole della pace varie (invocate in un’interessante iniziativa sul tema della guerra tenutasi pochi giorni prima presso la sede della comunità di base di don Franzoni, anche se poi non abbiamo incontrato nella piazza del 16 i “Sinistri Anticapitalisti” presenti a quella discussione...). Saranno piuttosto l’Arci e i “pacifinti” di quella fatta a decidere di cogliere le proprie opportunità politiche (contrapposte al programma di classe e alle necessità di una vera lotta contro la guerra imperialista) in relazione a un ritorno in piazza delle masse per le scosse di cui sopra, senza che nessunissima Arci/Tavola della pace lo abbia potuto impulsare. Oggi per forza di cose si riparte da piccoli numeri, ma possiamo contribuire e andare incontro al risveglio di una partecipazione più ampia solo se la discussione collettiva e l’iniziativa sapranno fare tesoro di un vero bilancio delle passate tornate della mobilitazione contro la guerra imperialista e procedere lungo assi di serietà ai quali riuscire a conquistare un nocciolo credibile e coeso di forze (il nostro contributo al bilancio collettivo sul “movimento no war” di fine secolo e primi anni 2000 è condensato nell’articolo “Bilanci e scelte da fare: ’altermondialismo’ o comunismo?” del 18/04/2013).

PRIMA ANNOTAZIONE

In effetti, come qualcuno ha denunciato, nell’appello per la manifestazione del 16 gennaio è scomparso ogni riferimento alla Siria, mentre le firme in calce all’appello contano qualche nome e sigla in più. Inoltre a fine manifestazione è stato distribuito un volantone a firma Partito Comunista dei Lavoratori con titolo “I comunisti rivoluzionari e la Siria”. La sensazione che, nel tentativo di “allargare la mobilitazione” (che a tale stregua e come da copione sarebbe stata “allargata” dello zero virgola meno), si sia consentito un ingresso sia pur laterale a chi inneggia contraddittoriamente alla “rivoluzione siriana” c’è tutta (e infatti leggiamo un comunicato del PCL del 21/01 dove ci si lamenta che la piazza del 16 – i “campisti” a sentire il PCL – non ha propriamente apprezzato “gli slogan del PCL contro Assad”..., e meno male! aggiungiamo noi). Leggiamolo allora questo testo su “I comunisti rivoluzionari e la Siria” (con i riferimenti dati è facilmente scaricabile dal web e ci risparmiamo l’obbrobrio di riprodurlo) e vediamo se è un contributo valido per la ripresa della mobilitazione, oppure se è un guazzabuglio di assurdità che potrà far crescere la mobilitazione contro la guerra solo se essa avrà la capacità e la determinazione di ridicolizzare, lasciar cadere nel vuoto ed espungere “contributi” di tal genere.

Vi si legge che il PCL “ha sostenuto le sollevazioni popolari arabe del 2010/2011 contro regimi dispotici, controllati dall’imperialismo (Ben Ali e Mubarak), o già da tempo riallineati all’imperialismo (Gheddafi e Assad)”. Quindi: equiparazione piena e nessun distinguo tra le sollevazioni tunisino-egiziana e quelle libico-siriana. Quanto al “riallineamento già da tempo” di Gheddafi e Assad, parlano i fatti: il primo gli imperialisti l’hanno fatto fuori, con il secondo farebbero volentieri il bis. Vi si legge che la “guerra barbarica del fascismo islamico dell’ISIS è stata inizialmente favorita da Assad”: siamo alla menzogna pura, di peggio ha fatto solo il governo turco quando ha detto che gli attentati di Istanbul sarebbero opera dei curdi e dei russi. Ancora: il sionismo, secondo il PCL, sarebbe “interessato a sostenere Assad contro Iran ed Hezbollah” (noi abbiamo visto il contrario, cioè Israele che ha fatto accordi con formazioni radicali islamiche contro Assad). Insomma, menzogne e palle a profusione, come quella del “regime oppressivo di Hamas a Gaza” o di “Assad e il suo bunker militar poliziesco” (un vero peccato che gli imperialisti non siano ancora riusciti a espugnarlo?).

Continuiamo a leggere che il PCL ha sì sostenuto le sollevazioni popolari in Libia e in Siria, ma “da subito abbiamo contrastato e denunciato il ruolo filo imperialista delle direzioni borghesi di quelle rivoluzioni popolari”, e ancora che l’Esercito Libero Siriano “nato da rotture e diserzioni dall’esercito di Assad nel momento della sollevazione popolare” è stato “pesantemente colpito e smembrato dalla tenaglia militare del regime e delle forze reazionarie fondamentaliste complessivamente intese”. La solita storia della “sollevazione popolare genuina” sulla quale però chissà perché si innesta una direzione borghese, che qui gioca addirittura un aperto ruolo filo imperialista (senza che questo sconvolga minimamente il quadro di analisi nella testa dei nostri). Che un movimento di massa in un paese dominato possa essere guidato allo sbaraglio da direzioni borghesi imbelli e inette nel contrastare l’imperialismo ci può stare, ma che la sollevazione “rivoluzionaria” delle masse oppresse di questi paesi (che, se veramente data, non escluderebbe di indirizzarsi anche contro l’oppressione imperialista) possa farsi guidare dalla borghesia all’abbraccio e all’alleanza con i bombardieri imperialisti che massacrano il proprio popolo e devastano il proprio paese, insomma che si possa fare la “rivoluzione” a braccetto con l’imperialismo questo è decisamente un altro paio di maniche che la dice lunghissima sui connotati e i programmi, sin dall’inizio e non solo “dopo”, delle “forze genuine” messesi in moto “contro il tiranno”. Su The Guardian del 26 ottobre 2011 le dichiarazioni del capo di stato maggiore del Qatar hanno descritto tutt’altra realtà: “Noi qatariani eravamo tra i ribelli libici sul terreno, a centinaia in ogni regione” (vedi il riferimento nella nota di M. Dinucci sul Manifesto del 2/02/16). Riferire questo dato, dato reale e non panzana come quelle del PCL, non significa spiegare il tutto come “un complotto”; significa connotare il tipo di partecipazione e la sostanza di classe niente affatto “popolare e genuina” delle sollevazioni che non a caso si sono date quelle direzioni borghesi filo imperialiste, hanno accettato tra le proprie file i militari del Qatar, hanno invocato i bombardieri occidentali.

Ora invece il PCL sta “dalla parte di tutte le forze e i soggetti che nella regione e in Siria, sui più diversi fronti, esprimono ragioni storiche progressive”. E siamo ancora sul generico, ma poi PCL specifica: “siamo dalla parte di quelle forze della resistenza siriana (comitati popolari, brigate locali...), oggi molto limitate ma reali, che ancora si battono in diverse città e villaggi per gli obiettivi democratici originari della rivoluzione popolare. Al tempo stesso siamo su questi fronti con un programma marxista di rivoluzione, senza nessun adattamento alle loro leadership attuali” e ancora “dalla parte delle forze residue della rivoluzione siriana, ma contro le aperture all’imperialismo e la politica di collaborazione con l’imperialismo della cosiddetta Coalizione nazionale siriana”. Contorcimenti auto-contraddittori che non si reggono in piedi. Ci sarebbero “forze residue che ancora si battono per gli obiettivi democratici originari...”, la cui voce però sarebbe sopraffatta dalle “attuali leadership” che “collaborano con l’imperialismo”! I riscontri reali parlano semmai del tentativo di chi può di proteggere dal marasma generale il proprio ristretto territorio prima di doverlo abbandonare definitivamente, mentre, ammessa e non concessa la favola delle “forze residue che si battono per il programma originario mentre le leadership collaborano con l’imperialismo, prendiamo atto che le “residue forze genuine” continuerebbero a battersi per “gli obbiettivi democratici e per il programma originario” senza avervi minimamente integrato la lotta contro l’aggressione imperialista e contro le leadership che collaborano con l’imperialismo. Questo è il (non –)senso di quel che scrive il PCL!

Per chiudere sul punto tagliando con le ridicole svirgolate del PCL e di molti altri (trotzkisti e non), riportiamo a seguire le parole di Trotzky in un’intervista del 23/09/1938 (apparsa su Socialist Appeal del 5/11/1938): “In Brasile regna oggi un regime semifascista che qualunque rivoluzionario può solo odiare. Supponiamo, però che domani l’Inghilterra entri in conflitto militare con il Brasile. Da che parte si schiererà la classe operaia in questo conflitto? In tal caso, io personalmente, starei con il Brasile “fascista” contro la “democratica” Gran Bretagna. Perché? Perché non si tratterebbe di un conflitto tra democrazia e fascismo. Se l’Inghilterra vincesse si installerebbe un altro fascista a Rio de Janeiro che incatenerebbe doppiamente il Brasile. Se al contrario trionfasse il Brasile, la coscienza nazionale e democratica di questo paese (qui c’è un salto di parole nell’edizione a ns disposizione ma il senso risulta comunque chiaro, n.n.)... e condurre al rovesciamento della dittatura di Vargas. Allo stesso tempo, la sconfitta dell’Inghilterra assesterebbe un colpo all’imperialismo britannico e darebbe impulso al movimento rivoluzionario del proletariato inglese. Bisogna proprio aver la testa vuota per ridurre gli antagonismi e i conflitti militari mondiali alla lotta tra fascismo e democrazia. Bisogna imparare a saper distinguere sotto tutte le loro maschere gli sfruttatori, gli schiavisti e i ladroni!”. Valga per il PCL e per tanti altri “trotzkisti” da operetta adusi a capire e tradurre al contrario la sostanza di classe delle lezioni del grande Leone.

SECONDA ANNOTAZIONE

Come si legge nell’appello di convocazione, la manifestazione è stata lanciata dalla prima assemblea nazionale della Piattaforma Sociale Eurostop che ha firmato lo striscione di apertura “Contro la guerra”. Queste forze promotrici inquadrano la ripresa di iniziativa contro la guerra nell’ambito della propria campagna per l’uscita dell’Italia dall’Euro, stabilendo un collegamento tra la battaglia contro le politiche di austerità e di risanamento del debito che “ci” sarebbero “imposte” dall’Europa e quella contro le guerre “decise dalla Nato e dagli Stati Uniti”. Un collegamento che non è affatto privo di agganci reali quanto a legame effettivo tra guerra interna (attacco alle condizioni di vita del proletariato metropolitano, ora anche con l’offensiva che punta a imporre cure da cavallo per il risanamento del debito pubblico) e guerra esterna (per sottomettere agli interessi dell’imperialismo le popolazioni e la forza lavoro dei paesi dominati attraverso una catena di distruzioni e massacri senza fine). Le classiche due facce della stessa medaglia. Un collegamento che nella piazza del 16 era realmente presente nella partecipazione cospicua di bandiere del sindacato USB e di molti semplici lavoratori e rappresentanti delle organizzazioni degli immigrati. Il punto sul quale non concordiamo è che, mentre da un lato si rimarca (finalmente!) la denuncia del “proprio imperialismo”, curiosamente ci si affretta ad aggiungere che il “proprio imperialismo” è “l’imperialismo europeo”.

Capiamoci bene. Non abbiamo alcuna intenzione di derubricare dal novero dei nemici del proletariato l’Europa imperialista, che tale è sicuramente. Osserviamo però che nella giornata che ricorda l’inizio della prima guerra del Golfo, quando l’Europa dell’euro era di là da venire e la cattivissima Germania non partecipava alla coalizione dei giustizieri imperialisti di Saddam Hussein mentre l’Italia vi era ben presente con il rombo dei suoi bombardieri, sarebbe forse più congruo affermare innanzitutto che il “nostro imperialismo” da denunciare e combattere era ed è quello dell’Italia; e che, se esso è oggi integrato – fino alla curva, e vale per tutti i paesi membri – nella compagine super-imperialista europea, certo non deriva da essa i suoi connotati imperialisti, essendo questi da tempo i connotati dell’Italia anche senza Europa, connotati che l’Italia e altri big del vecchio continente trasmettono ai livelli più alti all’intera squadra. Insomma se si volesse dire che l’Italia è diventata oggi e solo oggi “imperialista europea” e che una volta fuori dall’Europa, come propone la Piattaforma Eurostop, questa connotazione verrebbe meno e potremmo goderci un’ “Italia progressista e pacifista” con il suo bellissimo articolo 11 finalmente rispettato, noi non saremmo d’accordo su questo quadretto illusorio! Soprattutto non lo saremmo perché in questo modo, mentre si additano ai lavoratori le minacce reali delle politiche di austerità e dei crescenti pericoli di guerra, quando si va poi a indicare concretamente chi è il nemico che ci minaccia e da combattere, esce fuori la storia dei “piloti automatici” che sarebbero “l’Unione Europea/Eurozona e la Nato”. Sarebbero questi “due apparati sovranazionali” a “trascinare i paesi aderenti dentro scelte pericolose e antisociali”. Insomma il nemico che ci minaccia e attacca non sarebbero la borghesia, i padroni, lo Stato italiani, perché a “trascinare il paese” (che a conti fatti significa l’Italia intera, Squinzi e i suoi operai) sarebbero entità sovranazionali a forte predominanza straniera (tedesca nel primo caso, americana nel secondo).

Nelle fasi di crisi acuta del capitalismo e di recrudescenza dell’attacco alle condizioni di vita e di lavoro di larga parte della società, la borghesia ha sempre trovato comodo tentare di scongiurare la lotta degli sfruttati giustificando le proprie politiche antiproletarie in nome delle “oggettive necessità dell’economia, della crisi, dei mercati”. A nostro avviso si agevola il compito della borghesia italiana e del “nostro imperialismo” se da “sinistra” si sostiene che a imporre politiche di sacrifici e di guerra (agli stessi capitalisti italiani e relativi governi) sono gli organismi sovranazionali (l’Unione Europea, la Nato) che delle “oggettive necessità” del capitale si fanno interpreti ed esecutori ed ai quali “non si può dire di no”. Checché se ne dica, infatti – ed è questo il punto –, gli “apparati sovranazionali” cui l’Italia partecipa non sono stati imposti alla borghesia italiana, la quale invece sceglie di buon grado e anzi ambisce a organizzare i propri interessi di sfruttamento e di profitto sul proletariato interno e internazionale nell’ambito delle più forti concentrazioni – politiche, economiche, militari – capitalistiche situate al top della gerarchia imperialista mondiale. Per questo riteniamo spuntata e fallace una battaglia politica, contro la guerra e contro il pagamento del debito pubblico, che invece di denunciare l’imperialismo italiano e attaccare i gangli del potere borghese interno della propria nazione (che poi è l’unico modo per attaccare veramente le stesse concentrazioni capitalistiche sovranazionali), si inventa la storia dei “piloti automatici” ovvero di centri esterni che imporrebbero al “nostro paese” le politiche antiproletarie e di guerra. I “poteri sovranazionali” esistono, ma l’Italia capital-imperialista ne è parte integrante e agente. Se ci si riferisce a questi “poteri sovranazionali” sempre omettendo/oscurando questo dato e anzi rappresentando l’Italia come sovradeterminata da poteri esterni, allora i “poteri sovranazionali” diventano una metafora per dire Stati Uniti e Germania e l’Italia ne sarebbe piuttosto la vittima. Con questi giri di valzer la soluzione che viene ad essere prospettata per i problemi “del nostro paese” è quella di ribellarsi (come nazione) al diktat esterno e di riprendersi la propria sovranità per poter perseguire esclusivamente “i nostri interessi nazionali”. Si denunciano bensì minacce reali, ma contro di esse si mette in primo piano non la lotta di classe contro gli interessi di profitto e di dominio della propria borghesia, ma la rivendicazione interclassista della “sovranità da recuperare” contro la “dittatura economica” dell’Europa “carolingia” (!?) e contro le guerre decise dagli Stati Uniti!!

Questa impostazione di fondo è condivisa dalle principali forze che hanno promosso e si sono spese per la riuscita del 16, non solo la Piattaforma Eurostop ma anche il Comitato No Guerra No Nato; ed è questo il vero pericolosissimo piano inclinato sul quale pencolano queste forze promotrici (altro che “campismo” filo-Assad, come viene denunciato da chi – strucca strucca – si è schierato con gli “insorti” foraggiati di tutto punto dall’imperialismo!). Un’impostazione, quella degli Eurostop e No Nato, che significa accantonamento e programmatica rinuncia a una vera lotta di classe, oggi e nella prospettiva. Un’impostazione che è destinata al fallimento a breve (Grecia docet) ed è foriera sui tempi lunghi della finale debacle proletaria, se la ripresa della mobilitazione non saprà generare gli anticorpi per raddrizzare la rotta sul programma di classe. Accade peraltro, ed è questa l’annotazione cui vogliamo arrivare, che intorno al 16 gennaio serpeggi nondimeno una certa polemica tra Piattaforma Eurostop e No Guerra No Nato (polemica curiosa laddove si vede che gli appelli portano talvolta le stesse firme: cioè i due comitati/coordinamenti si pizzicano e c’è chi sottoscrive i fogli dell’uno e dell’altro, a conferma di una base di riferimento comune nonostante le pizzicate e i veri e propri ostracismi incrociati e reciproci). Ovviamente non il pettegolezzo ci interessa, ma una sostanza cui giungiamo. No Guerra No Nato denuncia una certa genericità nell’appello per il 16 e in particolare lamenta che non vi sia neanche nominata la Siria. Lo abbiamo notato anche noi e su questo si è detto. Resta sullo sfondo, ed è qui che vogliamo arrivare, la polemica esplosa tra la sigla Alternativa di Giulietto Chiesa e la Rete dei Comunisti, sigle che inizialmente avevano promosso insieme la battaglia contro i pericoli di guerra e per l’uscita dell’Italia dalla Nato. E’ accaduto però che la compagine di GIulietto si sia messa a raccogliere firme per l’uscita dell’Italia dalla Nato in ogni direzione, non disdegnando le sottoscrizioni di noti esponenti della destra e anzi moltiplicando iniziative comuni con gruppi ed esponenti cosiddetti rosso-bruni e con la Lega di Salvini. A un certo punto la Rete dei Comunisti ha pubblicamente sconfessato Giulietto Chiesa opponendogli “la discriminante antifascista” della battaglia per l’uscita dell’Italia dalla Nato. Giulietto Chiesa ha risposto che quella discriminante non esiste più e ha proseguito per la sua strada.

Chi sbaglia di più tra Giulietto Chiesa o la Rete, se entrambi concepiscono e fondano la battaglia per l’uscita dell’Italia dalla Nato (e dall’Euro) su analisi, ragionamenti e parole d’ordine che sono pienamente sottoscrivibili da forze di destra? Al di là delle propensioni al travestimento attribuite a costoro, perché elementi di destra non dovrebbero convergere su quel terreno se quel terreno è realmente anche il loro? Chi sbaglia di più: Giulietto Chiesa, che ne trae le conseguenze e accetta le firme e l’iniziativa comune con i destri, o la Rete che indossa la foglia di fico della “discriminante antifascista” dopo aver declinato una complessiva posizione che in nulla di sostanziale si demarca sul piano dei contenuti da una piattaforma nazional-sovranista? Prendiamo atto che la Rete dei Comunisti e dintorni non si sono bevuti il cervello come altri sugli eventi di Libia e Siria, assumendo l’iniziativa per contrastare le aggressioni in atto e gli ulteriori capitoli (non è poco nella non brillante contingenza di questi anni e possiamo dire “beati monoculi in terra caecorum” rivolto a raggruppamenti tardo-stalinisti e a vergogna ulteriore della folta schiera di “anti-stalinisti” pro – “insorti” libico-siriani...). Al tempo stesso denunciamo e diamo battaglia contro la complessiva piattaforma politica per l’uscita dell’Italia dall’ Euro e dalla Nato delineata da queste forze, una piattaforma che volta le spalle all’unico e autentico programma comunista che esse hanno sostituito da tempo con l’untuoso avvolgimento di contenuti di sostanziale revanche nazionale in uno storpiato lessico di pseudo –"sinistra” nella cornice di un taroccatissimo “marxismo” (?!) rivisto e corretto, cioè ribaltato al contrario, a questa stregua (e questo è lo stalinismo). Una piattaforma che merita il nostro frontale più netto, e l’approdo rosso-brun-salviniano di Chiesa, che si muove su una piattaforma nella sostanza molto simile, è una lampante conferma di quanto diciamo. A questo frontale abbiamo dedicato una buona parte del nostro lavoro e su questi temi mettiamo in nota i riferimenti di alcuni articoli del nostro sito che invitiamo caldamente a visitare e a leggere (1).

La campagna contro la guerra imposta dalla Nato, così come quella contro il risanamento del debito imposto dalla Germania, viene di fatto ad assimilare l’Italia a un paese che subisce le scelte politiche e i diktat di altri imperialismi maggiori, e su questa falsificazione costruisce una piattaforma interclassista che prospetta una via d’uscita come nazione dal nodo scorsoio del risanamento e della guerra, omettendo di organizzare la battaglia di classe (contro il pagamento del debito pubblico, contro la guerra e in generale). Se Chiesa imbocca una strada che la Rete giudica oggi impraticabile (d’accordo su questo), si prenda atto che la china imboccata dalla Rete procede nella stessa direzione e verso non diversi approdi e saranno i fatti a dimostrarlo. Giulietto Chiesa è solo più coerente, mentre la Rete dei Comunisti sembra rivendicare consapevolmente, dichiaratamente, apertamente un interclassismo nazionale (suscettibile di tradursi in nazionalismo interclassista) che sarebbe buono e “di sinistra” quando solo fossero “i comunisti” a realizzarne il programma, avendo tenuto ferma l’unica “discriminante antifascista”. E’ una china pericolosissima e l’esempio storico cui andare è quello della Germania del 1933, che, nella situazione determinata dalla sconfitta, vide convergere la nascente destra nazista e il Partito Comunista Tedesco (invero anche componenti di sinistra più estreme) sul medesimo terreno di difesa della nazione tedesca oppressa e umiliata dai vincitori. Alla data del 1933 entrambi questi due partiti raccolsero una messe di voti (il Partito Comunista sopravanzava nettamente la stessa socialdemocrazia), ma all’atto pratico il Partito Comunista risultò impotente e fu la destra a tradurre nel modo più coerente e brutale l’humus che anche il PC deviato su queste chine aveva concorso a coltivare, così concorrendo a spianare la strada al nazismo e ad azzerare la capacità di resistenza proletaria contro l’ondata sciovinista. Con buona pace per la “discriminante antifascista”! Non sarà male tornare con la dovuta attenzione su queste lezioni.

RIEPILOGO E CONCLUSIONE

Il 16 gennaio è stato un altro piccolo passo avanti nella ripresa della mobilitazione contro la guerra. Non è un caso per noi che l’iniziativa sia stata presa da forze rimaste immuni dai colpi di sole che in questi anni hanno offuscato i cuori e le menti di moltissimi “rivoluzionari” facendoli palpitare per le sedicenti “rivoluzioni libica e siriana” finite sotto le ali protettive dell’imperialismo occidentale che in esse ha trovato il grimaldello compiacente per aggredire e distruggere quei paesi. Queste posizioni hanno concorso a rompere la continuità della mobilitazione contro la guerra, indebolendo la possibile risposta di lotta contro i bombardamenti imperialisti in Libia e contro l’avvio del medesimo copione e martirio in Siria. La ripresa della mobilitazione non può che darsi sulla base della critica più netta di queste posizioni. Ciò non significa che non abbiamo riserve da formulare sull’appello per il 16 gennaio (e in generale sulla Piattaforma Eurostop) e su consimili appelli (vedi No Guerra No Nato). Appelli che, pur in polemica tra loro, replicano sostanzialmente i medesimi contenuti. Ad avvalorare la nostra critica è proprio il decorso del gruppo di Alternativa di Giulietto Chiesa che organizza iniziative per l’uscita dell’Italia dalla Nato insieme a esponenti della destra. Non basta sollevare la scomunica contro Chiesa in nome della “discriminante antifascista”. Occorre demarcare la battaglia politica su contenuti di classe e non lanciando piattaforme nazional-sovraniste che per forza di cose finiscono per trovare compagni di strada a destra (e anche nella destra estrema). Infatti ci si demarca sul programma politico e sui contenuti e non sventolando la foglia di fico dell’antifascismo, che tale è se poi gli “antifascisti” – gratta gratta – vanno a recuperare e a fare propri tutti i contenuti del programma fascista. Perché mai forze di destra non dovrebbero convergere sulla difesa e il rilancio della nazione contro “entità sovranazionali”, la Nato e l’Europa, che sovradeterminerebbero “il nostro paese”in direzione opposta ai “nostri interessi nazionali”? In tal senso il colpo di sole dei “difensori della sovranità nazionale” da “sinistra” non è meno pericoloso di quello dei fans delle “rivoluzioni libica e siriana” alleate all’imperialismo.

Si vada avanti, quindi, senza concedere spazio alle posizioni che nella fasulla foga “iper-rivoluzionaria” “contro i dittatori” portano oggettivamente acqua alle manovre dell’imperialismo e, nella migliore delle ipotesi, fanno una grande confusione debilitando le energie che pur sarebbero disposte a mobilitarsi. Al tempo stesso, per poter andare avanti, occorre impostare la lotta contro la guerra interna ed esterna su una coerente piattaforma di classe, abbandonando scorciatoie che titillano l’illusione di una via d’uscita che omette ed evita lo scontro di classe interno e allude invece a un’inesistente soluzione interclassista che passa per la riappropriazione della sovranità dell’Italia. L’illusione che uscendo dall’Euro ci si sottrarrebbe all’attacco capitalistico. L’illusione di sottrarsi alla guerra senza combattere a viso aperto il “nostro imperialismo”: l’imperialismo italiano.



(1) “’Dobbiamo fermarli’: ma sarebbe questo il posto di blocco?” del 28/08/11; “Per non disperdere le potenzialità espresse dal No Monti Day” del 2/11/12; “Monti colpisce i lavoratori in nome degli interessi del capitalismo nazionale italiano” del 12/06/12; “Il documento politico della Rete dei Comunisti. Alla proposta di ’riforma non riformista’ del ’pensiero comunista’ rispondiamo che è necessaria la riconquista del comunismo autentico” del 15/09/13; “Rossa: una ’proposta’ che arretra sul piano del programma politico e della prospettiva” del 14/10/13; “Internazionalismo e nazione. Sulla ’difesa della patria’: teoria marxista e sciovinismo di ’sinistra’” del 16/03/15.



10 febbraio 2016