nucleo comunista internazionalista
note




STORICHE (IN)DECISIONI ELETTORALI

Le elezioni alle nostre spalle avrebbero dovuto dare al paese, secondo i disegni dei poteri forti che contano, un governo stabile capace di perseguire in forma ultra-centralizzata il percorso delle “riforme” tassativamente indicato dall’UE. In buona sostanza: un mix tra l’apripista extra-istituzionale ed iper-istituzionalizzato (“fuori dai normali schemi democratici”) Monti ed un PD pronto a rilevarne il programma esercitando un ruolo di calmiere del malcontento sociale “popolare” (e popolar-proletario) attraverso improbabili “alleggerimenti” a favore delle “fasce deboli” della società. Tutto ciò togliendo di mezzo l’ormai ingombrante berlusconismo, dato per moribondo di suo, il leghismo e le punte apertamente contestatrici tipo IDV e “Rivoluzione Civica”.

All’uopo sono intervenute, a ridosso delle elezioni, varie misure ad hoc. Il PD si è proposto come campione di “democrazia partecipata” con le sue primarie, da tutti i poteri forti di cui sopra salutate come il contrassegno di una delega in piena regola sottoscritta direttamente dal “popolo” a Bersani e soci (anche se ci sarebbe stato meglio Renzi). Inoltre la Magistratura, sempre “tempista” all’occorrenza, nel pieno della sua sovranità ed indipendenza (lo diciamo per non tirarci dei fulmini addosso per inopportune insinuazioni!), si è data un gran daffare per portare alla luce tutte le porcheriole e porcherione dei soggetti scomodi. Facilissimo col PDL, con un Berlusconi imputato in mille processi (anche fantasiosissimi all’occorrenza), riuscitissimo con la Lega dei “trota”, provvidenzialmente messo a segno nei confronti del rompiballe Di Pietro da cancellare immediatamente e per sempre dalle foto di Vasto. (Piccolo particolare: in certi casi si gioca di ramazza, in altri – vedi i soldi volatilizzatisi dalle casse del “partito” di Rutelli, il vertice politico da responsabile diventa “parte lesa”). Quanto ad Ingroia, gli sono stati fatti tutti gli addebiti possibili per l’uso improprio del suo ruolo di magistrato debordante in politica (ciò che evidentemente non deve valere per altri suoi colleghi di altro schieramento) e, grazie ai mass-media, se ne è ridicolizzata opportunamente la figura, già ridicola di suo a dimostrazione del suo ruolo di inutile e pidocchioso ostacolo al “voto utile” preconfezionato da chi di dovere.

Tutto questo armeggiare è saltato per due motivi. Uno, non ancora straripante, ma comunque significativo: il recupero di una parte della propria vecchia base elettorale da parte di un Berlusconi

ridisceso direttamente in campo come portavoce dei mal di pancia di una consistente fetta della società duramente penalizzata dalla “cura Monti” (una sorta di anti-liberismo di ceti borghesi ha giustamente notato di recente Ferrero ascrivendolo nel novero degli anti-austerità). Due, e qui esplosivo, il fattore-Grillo, decisamente sottostimato dai tanti “esperti” incapaci di tastare il polso della gente, salito clamorosamente sulla pedana dei vincitori di queste elezioni ed attualmente bastone decisivo tra le ruote di Bersani. In più: l’incredibile dilettantismo di Monti, incapace di gettare un ponte in prospettiva alla parte più... montiana del PD (Renzi) ed autoridottosi ad un rassemblement di “moderati riformatori” del calibro di un Casini e, peggio ancora, di un Fini, cadaveri ambulanti per definizione (il secondo già felicemente tumulato) e nella latitanza di tutti i nomi eccellenti che l’avrebbero dovuto sostenere.

Risultato: una situazione di stallo con penosi tentativi da parte del PD di aprirsi un varco tra i grillini (con Grillo dapprima qualificato di “linguaggio fascista”, poi invitato a tavola e alla fine riclassificato come... vecchio leninista!) e di richiamare al “senso di responsabilità” i montani (anche disposti all’unità pur di prendersi dieci pagando uno) e senza alcun serio programma economico-sociale degno di tal nome. In questo marasma pre-agonico, al termine del qual già si intravedono nuove elezioni (e più sonore batoste per i “progressisti” alla Bersani) crescono gli spazi di manovra per i renziani, già in frenetico movimento per la definizione di un “moderno blocco moderato” non inviso allo stesso PDL (con Berlusconi in panchina, semmai...in quanto allenatore). Una soluzione governativa – comunque provvisoria – si potrebbe forse ottenere usando il metodo Di Gregorio “da sinistra”, ma non porterebbe lontano. Blocco di unità nazionale, unione di tutte le forze utili, potere concentrato... Questa la ricetta migliore per la borghesia secondo la strada già avviata col governo Monti. E, se no, il diluvio a venire per spazzar via senza troppi complimenti coloro che disturbano il manovratore (extraparlamentare per definizione). Staremo a vedere quel che ci fucinerà Napoletano per uscire dal pantano presente, magari con qualche nuova misura “fuori dagli schemi” (del parlamento... sovrano senza trono).

In un articolo successivo a questo prenderemo in esame con calma la questione del Movimento 5 Stelle che, a quanto sembra, ha scombussolato non solo e non tanto i giochi di “palazzo” della “vecchia politica”, ma anche e più la testa di vari compagni (virgolettati o meno). Anticipiamo solo che, una volta tanto, concordiamo parzialmente con due affermazioni di Ferrero – a parte le conseguenze che egli ne trae, diametralmente lontane dalle nostre –: prima, che “il segno politico del voto è quello del rifiuto delle politiche di austerità e di bocciatura dei partiti che hanno sostenuto il governo Monti” (di qui il provvisorio en plein di Grillo); seconda, che “la rivolta dell’elettorato si è espressa però non sul terreno della lotta di classe ma su quello della contrapposizione dei cittadini contro la casta”. Ovvio però, su questo secondo punto, che, data la figura del rifiuto di cui sopra, la questione della lotta di classe – malamente evocata da Ferrero – riaffiora come questione centrale da reimpostare, non risultando affatto esorcizzata dalla “deviazione di strada” grillina. Purché, dal lato opposto, non si cada nella pulcinellata di chi, tra i “compagni”, si azzarda a scrivere: “Grillismo: un sommovimento anticapitalista” che sarebbe impegnativo seguire alla coda, da spettatori in attesa di ulteriori sviluppi... rivoluzionari o, come nel caso dei CARC, da far sì che a tanto arrivi sull’onda della pressione di “nuovi partiti comunisti”.

Qui di seguito ci soffermiamo, intanto, sui destini di una “ultrasinistra”, tipo Rifondazione o PCL, che comunque ci sta a cuore in quanto tuttora raccoglie delle spinte di classe da riorientare su tutto il fronte, così come siamo estremamente attenti alle prese di posizione di certe forze fuori dai giochi di prestigio delle formazioni di cui sopra. Si può lavorare sul “contenuto” raccolto dai grillini? Sì, a patto di non adattarsi al “contenitore”, che va decisamente battuto. L’esatto opposto del “realismo” di tanti, troppi, radical-sinistri perennemente alla ricerca di un carro in marcia su cui montare. E non c’entra niente un nostro preteso “settarismo” da micro-gruppo, perché quando diciamo che il grillismo va battuto lo diciamo mirando proprio a preservare le spinte utili, “nostre”, che vi fanno riferimento sulla base di lotte reali (ancora una volta: “nostre”) sul terreno sociale. Lo stesso discorso, diversamente articolato, vale anche per la massa ancor sconsolatamente aggrappata alla zattera PD-SEL; ed anche al di là del reticolo formale della “sinistra”).

Questo come necessario antipasto.


CADAVERI ECCELLENTI: I “COMUNISTI” NON COMUNISTI

Uno dei dati più esplosivi (“eclatanti”, scriverebbero i fessi) di queste elezioni è stato l’abissale affondamento delle già ridotte e sparse membra della “sinistra radicale”.

Non parliamo, ovviamente, del SEL – esso pure, comunque, non premiato dal voto –, in quanto qui si trattava espressamente della creazione di una sponda a sinistra di supporto del PD grazie alla quale minare i già risicati consensi possibili per le “estreme”. Non ne diamo un giudizio morale. Non si tratta di una “sconcia manovra”, ma del semplice riconoscimento da parte di Vendola e dei suoi, che solo si vorrebbe più pubblicamente reso esplicito, della stessa improponibilità oggi e qui di una bandierina in qualche modo comunista. Negli anni precedenti, in Rifondazione, si era già fatto di tutto per toglierla concretamente di mezzo e, ciò, in buona compagnia: basti andare a rileggersi gli interventi sulla via non violenta al cambiamento promossa dallo psichiatrizzato Bertinotti e sottoscritta da pressoché tutto lo staff dirigenziale del partito. Via il riferimento al comunismo, via quello al proletariato che ne dovrebbe/potrebbe essere il soggetto, resta la prospettiva di un capitalismo dal volto umano coi “cittadini” a protagonisti. Se “Marx è morto” è meglio dirlo espressamente ed andare per la propria strada anziché, dopo averne fatto i becchini, far finta che il morto-ammazzato stia ancora vivacchiando.

Il fatto è che la strada intrapresa da Vendola ha una sua logica che le restanti pattuglie “comuniste” si rifiutano di confessare pur procedendo sostanzialmente sulla stessa via ultrasottoriformista. Con un solo risultato: quello di intralciare ulteriormente l’opera di chiarificazione e raggruppamento comunista autentico con lo specchietto per le allodole di un certo peso (istituzionale) da poter giocare in nome dell’“alternativa di cambiamento”.

In Italia, come altrove del resto, non è mai esistita una “sinistra radicale” realmente antagonista rappresentata in parlamento. Il PCI, che pure era una cosa (fin troppo) seria e con una reale base proletaria tutt’altro che abulica, dopo aver spezzato il filo rosso che lo legava alle origini di Livorno ’21, è stato per un lungo periodo molto radicale dentro e per il sistema nazional-capitalista da “riformare”, quanto ai suoi effetti pesanti sulla classe operaia, in nome di una “democrazia progressiva” interprete delle esigenze di “varie” classi “popolari”. All’interno di esso una presunta “sinistra” altro non era che il vagheggiamento di maggiori dosi staliniste alla Secchia (dio ce ne scampi e liberi!) o, più tardi, un “ingraismo” da riformismo più spinto. Gli esiti di questa storia sono sotto gli occhi di tutti e non occorre parlarne oltre. Qualche timido conato “radicale” era presente anche nel PSI (pensiamo al primo Basso o a certe esperienze coagulatesi attorno a Mondo Operaio negli anni a cavallo tra il cinquanta e il sessanta). Se vogliamo possiamo persino aggiungervi l’iniziale lavorio di certi “trotzkisti” nel partito di Saragat stesso ai suoi esordi. Per tutti la stessa fine ingloriosa. Sulle ceneri del ’68 si è poi innestato il tentativo tipo DP-PDUP di “rappresentare istituzionalmente” il “movimento” giocando da ala sinistra di una coalizione di fatto con un PCI in corsa verso la propria deriva definitiva, con gli esiti che sappiamo altrettanto bene. (In precedenza qualcosa di analogo lo aveva fatto il PSIUP, sempre castrando delle spinte reali alla base non omologate in partenza, ma inevitabilmente destinate a spegnersi in assenza di un effettivo programma antagonista di classe). Rifondazione ha rappresentato l’ultimo atto di questo percorso, anche qui in funzione di spegnimento di certe fiammelle accesesi alla base. Risultato finale: l’approdo al governo Prodi facendosi concretamente carico di tutte le sue responsabilità sul piano sociale interno ed internazionale, sino alla copertura dell’azione di guerra imperialista contro la Jugoslavia ed altrove. Salvo a ritrarsene in parte, pagando con la scissione del PdCI, senza riuscire ad indicare post festum alcuna altra strada alternativa che non fosse quella di una riedizione riveduta e corretta di quella stessa esperienza e, infine, il nulla di un preteso “movimento” da far rientrare “rappresentato istituzionalmente” nel quadro del sistema.

L’ultimo atto, funereo, di tutto ciò è stato il tentativo di coagulo delle truppe caporettiste allo sbando dei vari eserciti “comunisti” in una coalizione “civile” agli ordini del generale Cadorna-Ingroia, e coi resti dell’IDV al proprio fianco, in nome di una ripulitura della stalla capitalista dal proprio fetore “politico” per renderla consona alla mandria dei “cittadini onesti”. Non che, ovviamente, le rivendicazioni salutiste della lista Ingroia fossero di per sé tutte la buttare e non corrispondessero ad esigenze reali da assumersi in quanto tali, ma si trattava qui semplicemente di ramazzare e nascondere la polvere sotto la coperta, dato che in nessun modo si affrontava la questione del sistema di cui essa era e rimane il prodotto. La merda del sistema capitalista così rimossa (nelle pie intenzioni dei promotori della Lista Ingroia) non cesserebbe perciò di fetere.

Le molte (e legittime) esigenze espresse dalla “base”, dai “movimenti”, contro i singoli effetti del capitalismo sulla, e contro la, “società civile” (TAV, l’acqua, i diritti civili etc.) accomunavano sotto molti aspetti gli “ingroiani” coi “grillini”. Con questa differenza: mentre i primi si muovevano per “rappresentarle” alla scala istituzionale come frammenti separati in cerca di una voce in parlamento, i secondi le portavano nelle piazze sotto forma di mobilitazione diretta, unitaria (sia pure con lo stesso vizio di fondo... asistemico), in quanto movimento reale dal basso in qualche modo extraparlamentare e, in fin dei conti, un tantino più “partitico”, per quanto da partito sui generis di “uomini qualunque”.

I “radical-sinistri” sconfitti (questo sì radicalmente!) si lamentano della trappola del “voto utile” giocata da Bersani e Vendola soprattutto ai loro danni. Ma questa trappola costituisce da sempre la sostanza di certa “sinistra alternativa” incapace di svellersi dal carro trainante, prima del PCI e poi dei suoi successivi approdi abissali. Primo, per la stessa mitologia dell’utilità dirimente del voto in sé, dell’elettoralismo quale chiave di volta della “trasformazione della società” (che si trasforma o riforma di per sé, sempre più dittatorialmente, per conto suo, al di fuori di ogni stretta elettorale e parlamentaristica). Secondo, perché il bottino elettorale conseguito in proprio dai “radicali” è sempre stato messo programmaticamente a servizio delle vie “democraticamente più avanzate” capitalizzate dai collitorti della “sinistra” ufficiale.

Prezzo pagato per questa operazione: un passo ulteriore verso la dismissione, anche solo verbale, di ogni residuo riferimento al comunismo e ad un lavoro di partito (la bestia nera di tante, troppe...bestie in commercio). Tutti “cittadini”, uomini qualunque appunto, a pari merito sulla scala dei valori (“una testa vuota – un voto inutile”), in nome di una politica sana, di uno stato sano – e forte –, di un capitalismo nazionale sano ed equo (in quanto concorrenziale “nel rispetto delle regole”!!! –.

Come prima riflessione sull’esito del voto Ferrero ha detto anche delle cose giuste: “Il voto è caratterizzato dal grande successo di Grillo che rappresenta l’insofferenza di massa per le politiche economiche e il sistema politico. Questo è il risultato che fornisce la cifra della consultazione elettorale: un paese che non condivide le politiche economiche neoliberiste e non si riconosce nel sistema politico, ma non ha maturato alcuna alternativa”. Da chiedergli una cosa soltanto: perché questa insofferenza di massa si è riconosciuta (transitoriamente, sia pure) in Grillo e non nel pateracchio ingroiano? E quale sarebbe il contributo di Rifondazione alla maturazione dell’alternativa mancante? O non è piuttosto vero il contrario: che proprio il pateracchio elettoralistico arruffone ha pregiudizialmente consegnato la protesta espressa dal “popolo” (quello viola, proprio lo stesso di riferimento per i nostri “ultrasinistri”, ma perlomeno in vena di muoversi da sé sulla scena) ai grillini?

E ancora: “Quella che ci consegna il voto non è allora una rivoluzione, né una situazione di stallo, ma una crisi organica in cui il sistema non è più in grado di dare una risposta stando all’interno delle sue regole (le “sue regole”?!, n.n.). Per descrivere la situazione italiana ho più volte parlato di Weimar al rallentatore. Adesso ci siamo finiti in pieno col tentativo di varare ulteriori “riforme istituzionali, al fine di risolvere attraverso una semplificazione autoritaria il tema della governabilità” con “una riduzione dei margini di democrazia”. Per l’appunto: le sue regole, le regole del capitale per far fronte alla “crisi organica” del sistema. E qui che si propone di “alternativo”? “La proposta di una riscrittura (?!, n.n.) attraverso un percorso di partecipazione popolare delle forme e dei contenuti della sovranità popolare” per far rientrare il sistema nelle “sue regole” democratiche. Classico serpente che si morde la coda, ammesso che ancora abbia una coda e qualcosa con cui mordere. Un nulla di chiacchiere del tipo, per l’appunto, della democrazia weimariana con le conseguenze già viste e, preferibilmente per noi, da non ripetere affatto.

Al Comitato politico nazionale del 9 e 10 marzo ha un po’ ripetuto le stesse cose accennando ad una “severa autocritica” alla scelta di aver imboccato la strada della combine di (presunta) convenienza elettoralesca con soggetti poco raccomandabili: “giustizialisti” da una parte, amorosi del PD “obbligati” ad aderire a questa lista “a causa della chiusura del PD nei loro confronti” (vedi PdCI, di cui diamo in foto l’immagine dello stato attuale di salute), funerale PdCIed intrallazzatori vari in veste di “espressione dei movimenti” per i propri interessi di conventicola.

Una notazione molto importante, se svolta sino in fondo, a questo punto: “Non va mai dimenticato che la nostra sconfitta è l’ultimo capitolo di una sconfitta più grande e storica che è quella del movimento operaio”. Esattamente: l’ultimo capitolo di una catastrofe che data da lontano, con lo stalinismo, e che le varie forze (nazional)–“comuniste” hanno via via cercato di esorcizzare con “argini” estremo-sinistri capaci solo di allargare le falle. (Ciò che vale anche per il PCL, sempre in corsa come una lepre con i suoi giochi tattici per avvicinarsi al taglio del traguardo rivoluzionario e fatalmente destinata a farsi battere dalla tartaruga del sistema capitalista). Insomma: pezo ’l tacòn che ’l buso. Si vuole, allora, cambiar rotta adesso? E’ esattamente vero il contrario. Per Ferrero si tratta di “ripensare il ruolo del PRC” senza “rinunciare al progetto” (chissà quale!?). “RC da tempo è cosciente della sua non autosufficienza e quindi della vitale necessità della ricomposizione della sinistra di alternativa”, di un “percorso nuovo e unitario di rilancio e rinnovamento dell’intera sinistra di alternativa”, senza più “pratiche «pattizie»” da Lista Ingroia, ma sulla base della “centralità della democrazia e del principio «una testa un voto» (vedi sopra) come metodo per la costruzione di una nuova soggettività politica unitaria”. Cioè, in buona sostanza: l’assenza di un proprio progetto in nome di un rassemblement di “chi ci sta” nel proporre “alternative” plurali senza indirizzo, ma democraticamente... votate. Più “pattizzii” di così si muore...

Va detto che al CPN di RC vi sono stati due documenti (respinti) che presentano alcuni brandelli di riflessione in contro-tendenza. In particolare il loro giudizio sul movimento grillino si presenta più articolato e, per certi versi, accettabile in quanto rilevatore di “aspirazioni di resistenza alla crisi e alla feroce competizione del capitalismo” che non basta etichettare come extra od antiproletari, ma “aspirazioni” che vanno fatte proprie, con un cambiamento di segno, da parte di un organismo politico anticapitalista volto a colmare le proprie “insufficienze” (politiche in primo luogo) valendosi della iper-sufficienza delle condizioni di crisi esplosiva del capitalismo su cui “giocare” la propria partita. Inutile dire che anche questi due documenti, da parte loro, non prendono il toro per le corna e finiscono per defluire nella prospettiva di “una assemblea nazionale, una sorta di «stati generali» dell’opposizione” (se non è zuppa è pan bagnato).

Questo quanto alle posizioni espresse dagli “stati generali” del PRC. Ma per rendersi effettivamente conto della ricaduta della loro politica sulla propria base sarebbe bene andarsi a vedere i “commenti” apparsi sul blog del partito all’indomani del voto. Essi ci danno un’agghiacciante manifestazione dello stato di confusione, prostrazione ed autodimissione di questa “base”.

Ne citiamo alcuni tra i primi 172 scaricati in cui i “militanti” (spesso prossimi al prefisso ex) si esprimono anche confrontandosi tra loro per dire “la loro” e, grazie al blog onnipotente, sentirsi ancora vivi.

C’è chi non esita a scrivere. “Che goduria Ferrero vederti per la seconda volta trombato, ora cercati un lavoro!” (cosa che consiglieremmo anche allo scrivente). Oppure: “Grillo prende voti (...) perché usa un simbolo nuovo (non travestito); usa il web, usa la sua naturale comicità per essere serio divertendo”. O ancora: “Meno male che c’è il M5S, tra l’altro il suo programma è di gran lunga più antagonista di quello di Ingroia. La rivoluzione è morta. Viva la Rivoluzione!” (ecco un altro che l’ha vista dove non c’è). Etc. etc.

Ma ci sono anche i fedeli alla causa comunista. Ad esempio quello che dice che “dobbiamo disincrostare il partito dalle tifoserie trotzkisti/luxemburghiani/bordighisti etc. etc.” per “buttarci alle spalle tutte le divisioni” rifondando Rifondazione con una “salda ideologia di riferimento”, senza tifo (al massimo il colera!). Un altro dice: restiamo noi stessi, “smettiamola di darci la colpa delle sconfitte”, “diamola piuttosto al popolo italiano, che davanti ad una vera e concreta alternativa ha sempre preferito il vecchio”. Il popolo bue! E c’è chi rincara la dose: “Per essere comunisti, per comprenderne l’ideale, bisogna studiare e la maggior parte degli operai non ne ha voglia! Quindi dobbiamo smetterla di andare dietro agli operai e magari rivolgerci altrove... Oggi gli operai lo sono per scelta, spesso perché non hanno avuto voglia di andare a scuola (e così poter smettere di fare gli operai, n.n.) e quindi non gliene può fregare di meno di istruirsi, per cui sono distanti anni luce dall’ideale comunista!”. Senza commenti.

Condensato finale: “Forse è arrivato il momento di ammettere la fine del marxismo. Come ogni buon giocatore dobbiamo ritirarci prima che il pubblico ci tiri i pomodori in faccia. (...) Dobbiamo smetterla di buttarla sull’ideologia politica. (...) Dobbiamo dare una colorazione del nuovo partito che sorgerà in difesa del consumatore prima che del lavoratore, in quanto tutti consumano e comprano, usano ospedali scuole strade”.

E’ un florilegio, ma non è che il resto degli interventi vada in controsenso. E’ esattamente il quadro di una situazione di sfacelo senza ritorno. Sempre che quella parte della base che continua a credere in una qualche idea di comunismo – per quanto a dosi omeopatiche – e, soprattutto, continua a battersi sul campo dello scontro di classe – sia come sia – non si decida ad intraprendere un percorso diverso, nella necessaria rottura col PRC e consimili. Questi compagni il materiale su cui studiare ed “istruirsi” ce l’hanno sotto gli occhi. Sono i salariati sulle cui spalle si regge il sistema capitalista, che, ci pare di capire, non potrebbe farne a meno anche nel caso tutti volessero “andare a scuola” per diventare degli illuminati ed agiati borghesi.

Poche parole sul PCL perché sul tema ci siamo già espressi. L’“uso rivoluzionario del parlamentarismo” da parte del PCL, sulle orme di un “leninismo” preventivamente evirato, ha giocato un brutto scherzo a Ferrando. Altro che i vecchi 200.000 voti (che Il Manifesto si preoccupava di veder incrementati a danno della... “sinistra che conta”)! Il bottincello si è più che dimezzato nella presente tornata elettorale. Come mai? Non perché siano venute meno le ragioni di insofferenza di massa per gli effetti del sistema (è vero il contrario), ma perché la vana agitazione dei nostri per raccogliere voti sulla base di un fantomatico programma per un “governo operaio”, in assenza di un serio lavoro di orientamento teorico-programmatico, è stato letto dalla “massa” cui ci si rivolgeva per quel che esso effettivamente era: un furbesco escamotage per proporre un’ennesima “sterzata a sinistra” del quadro politico-parlamentare attuale. E, a questo punto, la “massa” ha visto giusto: tanto vale un “voto utile”, poi si vedrà, magari tenendosi in conserva l’“ideale comunista” (degli istruiti). Siete stati già in passato “utili” in tante occasioni, siatelo anche stavolta beccandovi il nostro non-voto a voi per darlo a Bersani-Vendola o, magari, ai grillini. La partita vera non si gioca sul banco elettorale, ma nella costruzione di un’organizzazione comunista degna di tal nome, il che significa, allo stato presente, raccogliere dei militanti di partito organici anziché gettarne le potenzialità effettive alla ricerca di un voto che, fatalmente, non viene, con tutte le conseguenze di scoramento del caso. E questo lo diciamo proprio tenendo in debito conto la presenza nel PCL di tanti bravi militanti “impegnati nel sociale” cui ci rivolgiamo fraternamente perché si avvii una riflessione complessiva sulla inarrestabile deriva di questo partitino caricatural –“trotzkista”.

29 marzo 2013