nucleo comunista internazionalista
note




PER UN APPELLO
AL RIARMO DI CLASSE
IN ITALIA, IN EUROPA,
NEL MONDO

Riceviamo, attraverso la rete cremaschiana de Il Sindacato è un’altra cosa, il testo di un manifesto ed un appello per una manifestazione “controsemestre italiano” indetta a Roma per il 28 giugno cui dovrebbe far seguito una seconda a Torino l’11 luglio.

L’appello, ironicamente firmato dai Gufi Ribelli – con riferimento alla qualifica di gufi data da Renzi a tutti coloro che non sono predisposti a sottoscriverne programmi e sparate propagandistiche di effetto – ha già ricevuto varie adesioni, da Rossa all’USB, dalla Rete dei Comunisti ad un paio di “partiti comunisti” etc. etc. Non sarà per esso un danno se mancherà la nostra microbica firma per le ragioni che subito esporremo.

Una premessa, però, già fatta in passato: siamo in ogni caso solidali e compartecipi con tutte le iniziative di lotta reale su una base rivendicativa di classe e il cahier de doléances dell’appello in questione ci trova tutt’altro che indifferenti o distanti. I motivi per lottare in esso esposti sono più che sufficienti a giustificare l’esigenza della lotta. Solo che noi reputiamo che l’impianto politico-programmatico che vi presiede renda problematico da un lato la costituzione di un fronte di battaglia anche numericamente all’altezza dei compiti e dall’altro introduca in esso, per quel che potrà darsi, elementi di confusionismo e paralisi in controtendenza con gli scopi dichiarati e vada pertanto criticato e combattuto da cima a fondo. Dentro la mobilitazione di classe che comunque risulti presente ed a cui guardiamo con favore ed alla quale intendiamo contribuire nel pur ristretto ambito delle nostre possibilità per portarla su un terreno congruo. Sia chiaro in partenza, e per tutti.

Di questo appello, purtroppo, nulla si salva quanto ad analisi e programma e su questo terreno qualsiasi (eventualissima) presenza “di massa” all’immediato alle manifestazioni in programma verrebbe ben presto a sgonfiarsi e disperdersi.

Si comincia, malissimo, col dire che “le elezioni europee hanno visto in Italia un risultato in controtendenza con quelli di tutti gli altri paesi devastati dalle politiche di austerità” e solo l’Italia e la Germania sono rimaste sulla cattiva strada. Ne risulterebbe che le elezioni europee (elettoralismo puro e mal riposto!) hanno segnato una rottura (schedaiola) con l’“austerità”. Dove? Come? Ad esempio: in Francia (col lepenismo, stando alla logica), in Inghilterra, in Ungheria etc.? Saremmo ad una maggioranza (elettoralistica, parlamentare) anti-austerità? Ci vuole un bel coraggio ad affermarlo; e se ce l’avete datevi pure da fare per un bel blocco comune degli arrabbiati, da Syriza alla Le Pen e via dicendo, visto che davvero tutti interpretano un comune problema.

E, messo da parte il caso tedesco (l’“austera” bestia nera prevaricante l’intera Europa, stando ai nostri), come mai l’Italia non ha fatto la sua parte? Sentite: “Questo non solo per la passività e la paura che la crisi ha diffuso” (il che farebbe a pugni con la “tendenza sana” registratasi in altri paesi dove la crisi avrebbe provocato un moto contrario!), “ma anche perché sinora il confronto e lo scontro politico nel nostro paese hanno ignorato la questione Europa” (magnificamente risolta, a quanto sembra, nel resto dell’Unione). Capisca chi può!

La “questione Europa”! Stando a questa “analisi” la stragrande maggioranza dei paesi europei avrebbe voltato le terga all’austerity. Se così fosse il programma dovrebbe essere quello di una reversione di rotta europea generalizzata rispetto al trend attuale; saremmo quindi nella possibilità di ridisegnare un’altra Europa... deausterizzata sulla base di un fronte comune a scala continentale classisticamente solidale (qualcosa di simile ad un inizio di internazionalismo proletario, se il termine non arreca disturbo).

Al contrario si dice che la stessa impalcatura d’insieme europea va smantellata con tutti “i suoi trattati e vincoli che vengono usati dai governi (quali se “abbiamo vinto le europee”?, n.n.) per sostenere queste politiche di distruzione sociale” e che “hanno accentrato il potere decisionale delle politiche pubbliche nelle mani di un’oligarchia che risponde solo ai mercati”. Cerchiamo di far quadrare i conti: le elezioni europee hanno punito questa oligarchia, ma essa inspiegabilmente continua ad avere nelle sue mani un potere che “risponde solo ai mercati” (e ci torneremo presto sopra!) e, pertanto, occorre uscire dai vincoli europei. Il tutto in chiave “alternativa” strettamente nazionale, patriottica, italiana, contro i “poteri dell’UE”. Al massimo si ipotizza “un movimento convergente con quelli di tutti i paesi europei per costruire un’alternativa politica, sociale ed economica ai Trattati dell’UE”. Si noti bene: i paesi e non le classi e tutti i paesi per tirarsi fuori “convergentemente” all’Europa per riconquistarsi il diritto a farsi gli affari (“alternativi”) propri.

Siamo, qui, in evidente arretramento persino rispetto a precedenti teorizzazioni sulla necessità di un’“alleanza” sottocontinentale tra paesi (!!) mediterranei sfavoriti ed “oppressi”, dal Moloch tedesco per “una diversa Europa” in prospettiva. Si può “convergere” con altri, ma in nome del nostro “elmo di Scipio”! Detto esplicitamente: “Per noi questo semestre europeo deve essere l’occasione per organizzare l’informazione e la mobilitazione contro l’UE e l’asservimento del (nostro, n.n.) governo ai diktat della Troika”. Non male come “occasione” e come obiettivo: “costringere” il nostro governo ad uscire dall’UE contraria ai “nostri interessi nazionali”!

Leggere per credere: “Costruiamo un fronte ampio delle forze politiche, sindacali e sociali affinché il semestre del governo italiano diventi un Controsemestre popolare” in contrasto con “i poteri dell’UE”. Sarebbe interessante che ci venissero indicate quali sono le forze ampiofrontiste cui si fa riferimento. In oggetto, probabilmente, anche la “riconversione” del “nostro governo”, improvvidamente schiavo dei diktat che “lo” opprimono a fautore di una vera politica nazionale “nostra” sciolta dall’UE. Sull’onda, naturalmente, di un’opportuna mobilitazione “di popolo” per raddrizzare la schiena a Renzi. Che non ne ha bisogno, in quanto lui e i suoi si dichiarano prontissimi a respingere i diktat innaturali della Trojka in piena sintonia con le raccomandazioni dell’Appello; solo che lo fanno e faranno da borghesi responsabili, dentro e per l’UE, e non da chiacchieroni micronazionalisti “alternativi”.

Di logica conseguenza: “Vogliamo costruire una politica che riconquisti tutti i diritti democratici (!!) su tutti i principali strumenti dell’economia (nazionale, n.n.), dalla gestione del debito pubblico all’uso della moneta (non più eurizzata!, n.n.) per varare politiche di espansione dell’occupazione” etc. etc. Debito pubblico dilatato e stampa a gogò di carta moneta per uscire dalla “nostra” crisi? E, con ciò, l’affrancamento da leggi che “rispondono solo ai mercati”? Al contrario, secondo noi: un mezzo per ritagliarsi spazi di mercato che, italioticamente, significherebbero unicamente un’ulteriore stretta antiproletaria su cui far leva. A meno che davvero non si volesse combattere le leggi internazionali del mercato globalizzato, vale a dire il capitalismo; il che, però,comporterebbe non la via di “popolo” e “paese”, ma quella rivoluzionaria, internazionalista, di classe. La grande assente nell’appello che abbiamo sotto gli occhi.

Una considerazione, a questo punto, sul vocabolario stilnovista dell’Appello. Non una sola volta si pronunciano le parole (evidentemente brutte od obsolete) di capitalismo, classe operaia, lavoratori salariati, unità internazionalista tra gli sfruttati, socialismo (figuriamoci, di conseguenza, l’“ottocentesca” rivoluzione!). In compenso l’evocata “alternativa politica e sociale” si giova di continuo dei termini: popolo, Costituzione, diritti democratici, rilancio dell’economia produttiva (e di quale tipo di economia si parla?), pace (garantita dall’apposito articolo della Costituzione) etc. etc. Se “le parole sono pietre” siamo in presenza di massi erratici borghesi al 100%.

Visto che la questione Europa non va ignorata, diciamo pure la nostra. Nel mondo capitalista globalizzato la costituzione di un’Europa unita economicamente, cui dovrebbe seguire una più stretta unità politica e militare, indipendente dal notorio superbig USA rappresenta una stretta necessità per l’insieme dei paesi borghesi che la compongono. La situazione impone il trust e non tante microimprese “autonome” e separate entro ridotti confini nazionali. I famosi diktat di cui tanto si parla (a parte la possibilità di meglio regolare i rapporti tra le varie componenti dell’Unione per non guastare il comune giocattolo) non sono dettati da qualche “oligarchia” dittatoriale tipo la Merkel, e tanto meno per inspiegabili ragioni “politiche” esterne, ma dalle leggi stesse della competizione internazionale. L’Italia ci sta dentro a suo profitto e non al contrario, per quanto da socio debole, di minoranza, cui pure è lecito reclamare un trattamento migliore.

Quest’unità borghese ha però il suo risvolto dialetticamente positivo, da cui non arretrare assolutamente, nella potenziale unità di un proletariato a scala continentale che “ha solo delle catene da spezzare”. A questa scala e non a quella di frammenti di nazioni e popoli fai da te. Tutto sta a vedere se e come questa potenzialità sarà in grado di esprimersi e diciamo subito che, per prima cosa, a tanto serviranno ben altri tipi di appelli.

Come dicevamo all’inizio, le rivendicazioni immediate suggerite dall’appello sono nel loro insieme suscettibili di per sé di chiamare ad una decisiva lotta (continentale ed oltre) di classe. Ma il “di per sé” non vale se non incardinata ad un programma ed un’organizzazione all’altezza dei compiti.

Prendiamo un solo esempio. Qui si parla di “divieto delle delocalizzazioni”. Bene qualora si faccia riferimento alla difesa intransigente dei posti di lavoro (e relativi “diritti”, cioè: acquisizioni strappate dalla lotta), ma, in caso contrario – e qui si affoga – questa parola d’ordine non vale nulla, o peggio. Non lasciamo le “nostre” aziende andare altrove. Ma che diremmo allora dei posti di lavoro in aziende straniere che hanno qui da noi delocalizzato? Le rispediremo al mittente, cominciando, putacaso, dall’Electrolux, la Danone od anche... la FIAT non più italiana? Od anche: come affronteremo la “delocalizzazione” di mano d’opera sottoposta ad ogni tipo di ricatto (in concorrenza con i “diritti acquisiti” della nostra) che ci arriva a getto continuo e sempre più intenso dall’Africa e dal Medio Oriente prese nella morsa della fame e delle guerre (che non sono frutto di una “politica sbagliata” di cui emendare l’imperialismo, alla Kautsky, ma di precise leggi intrinseche all’imperialismo stesso)? La rimandiamo indietro? Oppure si tratta di localizzare ovunque la lotta internazionalista di classe, come pensiamo noi poveretti?

Un valido “percorso comune” sta su queste ultime basi e non nel riconoscere “il valore delle diverse pratiche, esperienze e culture”. O la pratica, le esperienze, le “culture” dell’antagonismo di classe sapranno cementarsi in un blocco unitario comunista o non si andrà da nessun’altra parte se non da quella di un “renzismo riformato da sinistra”. E tanto basti.

19 giugno 2014




Testo del manifesto per manifestazione del 28 giugno


L’Unione Europea è il problema
Noi costruiamo la soluzione

Il governo Renzi inaugura il semestre europeo

Noi ci mobilitiamo con un controsemestre popolare e di lotta per:

– lavoro, reddito, salario,welfare, democrazia, beni comuni
– fermare il Jobs Act, le privatizzazioni, l’annullamento dei diritti sociali
– denunciare il Fiscal Compact, i Trattati Europei
– fermare il militarismo e la guerra alle porte dell’Europa

Sabato 28 giugno
manifestazione nazionale a Roma
(ore 15.00 a Piazza della Repubblica)

* * * * *


Appello per un controsemestre popolare e di lotta

Le elezioni europee hanno visto in Italia un risultato in controtendenza con quelli di tutti gli altri paesi devastati dalle politiche di austerità. Il nostro è il solo paese, assieme alla Germania, dove le forze di governo che hanno approvato e gestiscono il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio hanno avuto successo. Questo non solo,per la passività e la paura che la crisi ha diffuso, ma anche perché sinora il confronto e lo scontro politico nel nostro paese hanno ignorato la questione Europa, salvo eccezioni positive che però sinora non hanno cambiato la tendenza di fondo. I rischi ritorno del nazionalismo, della xenofobia sono un altro frutto amaro delle misure di austerità,

Anche le lotte, a differenza degli altri paesi colpiti dalle politiche economiche della Troika , fin qui sono rimaste sul terreno dello scontro immediato e hanno lasciato sullo sfondo la contestazione dei ferrei vincoli che l’austerità europea ha posto alla democrazia e ai diritti sociali e del lavoro

È ora di superare questa arretratezza italiana, è ora di mettere in campo anche da noi la contestazione nei confronti dell’Unione Europea per rompere il dominio sulle nostre vite da parte delle sue istituzioni formali e informali, a cominciare dalla BCE e dalla Troika.

Dal 1° luglio il governo italiano per sei mesi terrà la presidenza dell’Unione Europea. Noi faremo di questo l’occasione per contestare le scelte politiche e le istituzioni dell’UE, vogliamo che in Italia cresca un movimento convergente con quelli di tutti i paesi europei, per costruire un’alternativa politica, sociale ed economica ai Trattati dell’Unione Europea.

Per tutti i centri di potere economico, finanziario e politico il semestre italiano sarà l’occasione per continuare nell’austerità con i suoi terribili vincoli, mascherandola con una finta ridiscussione degli obblighi comunitari. Per il potere sarà l’occasione per rilanciare le controriforme liberiste e autoritarie presentandole con lo slogan "lo vuole l’Europa".

Per noi questo semestre deve essere l’occasione per organizzare l’informazione e la mobilitazione contro l’UE e l’asservimento del governo ai diktat della Troikam per mobilitarci contro le politiche del lavoro che hanno portato alla riforma Fornero delle pensioni e al Jobs act, tutte ispirate dalla politica di precarizzazione e distruzione dei diritti del lavoro decisa dall’UE. Per mobilitarci contro la disoccupazione di massa, la precarietà, i licenziamenti e le delocalizzazioni. Per dire basta alla schiavitù e alle deportazioni dei migranti. Per fermare le privatizzazioni e la distruzione dei servizi pubblici e dei beni comuni. Per fermare la devastazione ambientale nel nome delle grandi opere. Per fermare gli sfratti e i pignoramenti. In tutti i paesi dell’UE si portano avanti queste politiche, per questo il nostro NO vale per l’Italia e vale per tutti i paesi europei.

Noi vogliamo la fine immediata delle politiche di austerità e rigore e per questo è necessario che crolli tutta l’impalcatura di trattati e vincoli che vengono usati dai governi per sostenere queste politiche di distruzione sociale. Chiediamo e ci mobilitiamo per far si che l’Italia denunci unilateralmente il Fiscal compact e il MES con tutti i regolamenti ad essi collegati, che hanno accentrato il potere decisionale delle politiche pubbliche nelle mani di una oligarchia che risponde solo ai mercati. Chiediamo che venga cancellato il pareggio di bilancio iscritto con i voti del PD e del PdL in Costituzione. Chiediamo la rottura di tutti i vincoli e le compatibilità che nel nome del rigore ci hanno portato a questo disastro sociale. Vogliamo costruire una politica che riconquisti i diritti democratici su tutti i principali strumenti della economia, dalla gestione del debito pubblico all’uso della moneta per varare politiche di espansione dell’occupazione, di riconversione ecologica delle produzioni, per la garanzia dei servizi pubblici e dei diritti sociali.

Noi rivendichiamo Costruiamo la mobilitazione e la lotta popolare per un programma immediato per il lavoro che cancelli la legge Fornero sulle pensioni e tutte le leggi sulla precarietà, che blocchi i licenziamenti nel privato come nel pubblico, che fermi le delocalizzazioni e le esternalizzazioni. Che restituisca salute e dignità al lavoro. Che garantisca un reddito a tutti i disoccupati.

Noi vogliamo costruire Costruiamo la mobilitazione e la lotta popolare per la democrazia, distrutta attaccata dal sistema di potere autoritario ed oligarchico che, nel nome dell’Europa, calpesta gli stessi principi costituzionali con leggi elettorali truffa e nei luoghi di lavoro con accordi come quello firmato da CGIL CISL UIL e Confindustria il 10 gennaio, che viola la Costituzione affermando che solo chi firma gli accordi ha diritto alla rappresentanza.

Noi crediamo sia necessario che il semestre italiano divenga un Controsemestre Popolare e di Lotta nel quale i principi, le istituzioni e i poteri che sono a capo delle politiche d’austerità vengano contestati punto per punto, momento per momento. Costruiamo un fronte ampio delle forze politiche, sindacali e sociali affinché il semestre del governo italiano in Europa diventi un Controsemestre popolare che contrasta con la mobilitazione e la lotta le istituzioni, i poteri dell’UE e le varie politiche di austerità.

Vogliamo riprendere la lotta per la pace e contro la politica di guerra e di riarmo che è perseguita con determinazione sempre più aggressiva da parte dell’Unione Europea subalterna agli Usa e alla NATO. Ora, dopo la Jugoslavia, la UE e la Nato delocalizzano una nuova guerra ai propri confini, in Ucraina.

Proponiamo quindi a tutte e tutti coloro che hanno partecipato alle mobilitazioni di questi anni e che oggi lottano, di costruire assieme un percorso comune per tutti questi sei mesi, nel pieno rispetto, anzi riconoscendo il valore, delle diverse pratiche, esperienze e culture e valorizzando anche l’articolazione delle iniziative. E nella comune forte solidarietà con chi è colpito dalla repressione.

Proponiamo quindi una manifestazione nazionale con corteo a Roma il 28 giugno per inaugurare così il Controsemestre popolare. Vogliamo accompagnare questo appuntamento con incontri e confronti tra tutte le forze e le persone che si oppongono all’austerità, ai Trattati Europei e ai governi che la perseguono.

L’11 luglio saremo in piazza a Torino contro il summit dei governi europei sulla precarietà e la disoccupazione di massa.

Il Controsemestre dovrà continuare con iniziative e confronti, lotte e mobilitazioni sia territoriali che nazionali che percorrano tutti i prossimi mesi. Dobbiamo per la prima volta far davvero sentire in Europa la voce di un popolo che sta con coloro che, a partire dalla Grecia, subiscono e combattono i diktat della Troika. Il Presidente del Consiglio Renzi ci accusa di essere dei “gufi” che si augurano il suo fallimento e quello delle politiche che persegue. Occorre dimostrare che chi lotta non fa sconti a nessuno.

Invitiamo da subito a preparare con assemblee locali unitarie la manifestazione del 28 giugno a Roma, la mobilitazione e corteo di Torino dell’11 luglio e il programma del Controsemestre popolare e di lotta.

I Gufi Ribelli per un Controsemestre Popolare e di Lotta

prime adesioni:

Ross@

Unione Sindacale di Base

Il Sindacato è un’altra cosa

Noi Saremo Tutto

Cub Lazio

Partito dei Comunisti Italiani

Partito Comunista dei Lavoratori

Rete dei Comunisti

Sinistra Anticapitalista

Carc

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