nucleo comunista internazionalista
note




Micce attizzate, bruciano verso la polveriera centrale

LA QUESTIONE DEI “SALARI TERRITORIALI”


Come annunciato la Lega si appresta a calare l’asso. L’agitazione di massa sul territorio del Nord per “spiegare al popolo” la necessità e la convenienza dei “salari territoriali” è sulla rampa di lancio.

Crediamo sia lampante che non si tratta di materia che possa essere ridotta o contenuta (e contrastata) sul mero terreno della risposta sindacale, anzi. Essa implica e innesca una battaglia politica a tutto campo, innanzitutto tra le diverse frazioni ed opzioni borghesi che si definiscono e misurano nello scontro, e che muovono le pedine per trascinare i lavoratori al proprio seguito, usando ogni cura per evitare che essi siano invece sollecitati alla ripresa della propria autonomia di classe.

Dentro questa battaglia il proletariato d’Italia, come reparto di una classe internazionale, è chiamato pressantemente, finché è in tempo, a evitare il ruolo ad esso assegnato di vittima da colpire, previo annullamento e intruppamento dietro al carro delle contrapposte consorterie borghesi, che comunque, in questa o in quell’altra cornice, puntano a sottometterlo ai propri interessi di sfruttamento. E’ chiamato pressantemente a procedere al proprio riarmo politico, a definire il suo programma e la sua prospettiva di classe ed attestarsi di conseguenza sulle sue postazioni, indipendenti tanto dalle “sirene” leghiste/secessioniste (al Nord) quanto, e ancor di più se vogliamo, dall’immonda bestia dello statalismo centrale in qualsiasi forma esso si presenti e mascheri.

La battaglia innescata dall’agitazione leghista va a svolgersi, nell’attuale scenario politico–sociale italiano, molto vicino ai barili dell’esplosivo.

L’iniziativa della Lega rappresenta senza dubbio l’annuncio di una minaccia che, se si concretizzasse, sarebbe un ulteriore colpo di piccone vibrato contro una, peraltro già sfibrata, unità materiale della classe lavoratrice d’Italia. (Anche se non sottovalutiamo la minaccia ancor più micidiale e subdola che proviene da certi tromboni sindacali gonfi di spirito tricolore costituzionalista–istituzionalista e in vena pur essi di proposte attorno al tema della necessità di nuove e moderne “relazioni industriali” – vedi nota 1).

Allo stesso tempo si tratta della messa in moto di un meccanismo potenzialmente devastante per la tenuta unitaria dello Stato borghese italiano dato che in questione è la lotta attorno alla ripartizione della ricchezza generata dal lavoro salariato su cui campa una enorme rete di interessi parassitari, e non solo da Roma in giù ben s’intende.

Si tratta quindi dell’annuncio di un formidabile terremoto in grado di far saltare per aria gli equilibri su cui si basa la struttura unitaria, ormai del resto marcia fradicia, del paese–Italia.

Sia ribadito subito, chiaro e tondo. Della sorte, della conservazione o, peggio ancora, della “riforma” dello Stato italiano (porcilaia borghese, dicemmo al tempo della spazzatura a Napoli), con annessa Costituzione e compresi i suoi insulsi ed ipocriti articoli 1 e 11, ai comunisti degni di tale nome non importa assolutamente nulla. A noi importano solo ed unicamente gli interessi ed i destini di classe del proletariato d’Italia inteso come reparto del proletariato internazionale, stella polare di ogni nostro ragionamento.

Proletariato internazionale–Carneade? Signori: calma e gesso! Guardiamo un poco oltre la punta del naso. Per intanto ci sentiamo di dire che, se ci aspettiamo qualcosa, restando all’immediato ed alla metropoli capitalistica europea, più che un “autunno caldo italiano” noi ci aspettiamo un autunno rovente in certi anelli–deboli ai margini del suo cuore (paesi baltici, Romania, Serbia...), dove i salariati sono letteralmente e intollerabilmente schiacciati dal tallone del Capitale, perché lì sono in ballo gli interessi “degli investitori” e delle banche svedesi, tedesche, austriache, italiane... e da qui certi ancora cospicui “margini sociali” con cui gestire la crisi nel cuore della metropoli. Qui, noi crediamo, il nostro Carneade comincerà a materializzarsi (con tutte le enormi problematiche connesse, certamente), poi ne riparleremo...

Solo dei rimbambiti cronici potevano credere che le uscite estive degli uomini della Lega sulle “gabbie salariali” o meglio sulla differenziazione salariale su base territoriale fossero strumentali al banale calcolo di tenere il centro delle attenzioni dei media.

E un tanto vale anche per le uscite – che hanno spiazzato tutti “da sinistra” – sul possibile ritiro dall’Afghanistan e addirittura, parola di Calderoli, sulle “colpe dell’Occidente” nell’attizzar guerre in giro per il mondo; dove, a nostro avviso, con lungimiranza si mettono le mani avanti e ci si prepara una borghese via di fuga qualora le cose in quel teatro volgessero al peggio, oltreché un possibile riposizionamento “antiplutocratico” del movimento leghista nel campo avverso al “mondialismo” di marca anglo–americana. (Un campo dove nel frattempo il nostro occhio, che certo non è d’aquila ma non è nemmeno da bovino, registra il salire di tono – underground – di un vivace movimento attorno alle tematiche del più classico mussolinismo, versione antiplutocratica appunto, anche sotto l’impulso dei siluri che certi ambienti “degli alleati” anglo–americani vanno sganciando contro Berlusconi, con tutto ciò che significa e può prefigurare. E, ancora, dove teste pensanti della più disparata matrice e forze politiche molto ristrette –per ora– si stanno facendo i muscoli in attesa di uscire alla ribalta, magari con “la spintarella” di una qualche Eni alla Enrico Mattei.)

Non crediamo che, al momento, la Lega intenda dissotterrare l’ascia di guerra della secessione, tanto meno mettere in moto una specie imbastardita di “lotta di classe” anche solo dentro la ridotta operaia del Nord, data la sua natura interclassista per la quale ogni attivizzazione della classe – seppur di un proletariato frantumato, disorganizzato, disarmato politicamente – è materia da tenere ben alla larga sinché possibile, e comunque da maneggiare con la più estrema delle cure e delle attenzioni, volte a piegare ed indirizzare l’inesorabile conflitto sociale insito nella presente società di classe dentro i precisi e ferrei argini dell’ordine stabilito. Compito comune a tutti i borghesi, si presentino essi in doppiopetto o in versione scamiciata e “popolana”.

Bossi, salutando a modo suo la vittoria degli operai all’Innse, è stato chiaro in vista delle turbolenze sociali attese per l’autunno: “non serve nessuna lotta di classe” che manderebbe a catafascio l’asse produttivo vitale del paese. Serve invece una “intesa fra produttori”, operai–capitale produttivo per affrontare e parare l’onda della crisi. Sulla stessa frequenza d’onda “sociale” di un Tremonti che, ancora più spinto, ha salutato la lotta dell’Innse come “la più bella notizia dell’estate” in quanto sacrosanta lotta per la difesa del lavoro risolta positivamente grazie all’intesa “fra produttori” appunto, “tutti sulla stessa barca”.

Solo strumentali strizzate d’occhio alla classe operaia? Non lo crediamo. Scorgiamo piuttosto dietro all’”apertura sociale” una effettiva e non strumentale esca rivolta da questi borghesi agli operai che – Mussolini docet – non debbono essere più parte di una classe (internazionale, senza patria) ma “produttori” partecipi, a pari titolo e dignità di altri soggetti sociali, della “comunità sociale” della nazione (oggi ancora Italia, domani chissà Padania... qui i borghesi possono dividersi, per noi: bestie entrambe). Certamente vi è la preoccupazione che anche una piccola lotta immediata condotta con determinazione o una serie di lotte immediate possano fungere da innesco di un movimento più generale che complicherebbe maledettamente il discorso per i borghesi, ma che comunque, anche generalizzandosi, di per sé non sfuggirebbe alle “esche” di cui sopra, anzi. Porterebbe semmai alla radicalizzazione e precisazione concreta del “discorso sociale” che le varie forze borghesi, in primis la Lega, vanno svolgendo mirando al cuore della classe lavoratrice.

Il che impone, pena la disfatta, la necessità ormai improcrastinabile della “corsa al riarmo” politico di un proletariato di cui sono stati smantellati tutti gli arsenali o quasi: per dire che è bene togliersi dalla testa che “la semplice” somma di lotte sindacali ed immediate arrivi di per sé a toglierci le castagne dal fuoco, senza la necessità, come invece noi crediamo, di un salto di organizzazione e coscienza politica di classe che affronti la questione dello Stato borghese – riforma o rivoluzione? – ossia in particolare la questione della ramazza proletaria che deve spazzare quelle stalle e la marea di parassiti che le infestano.

Bossi e i suoi si apprestano a calare il carico da 90 indotti dal peso dei bisogni e delle aspettative operaie che la Lega si ritrova (disgraziatamente) nella pancia a dover gestire, indirizzare e a cui cercare di corrispondere in solido. E l’esca del “salario territoriale” rischia di essere concretamente allettante per i lavoratori del Nord indotti a seguire la logica del calcolo e del tornaconto immediato e ristretto, dei “conti in tasca” che gli operai per quanto fessi – come più di qualche spocchioso “di sinistra” ritiene – sanno fare. Del resto questa, per così dire, “linea del minimo sforzo” diventa inevitabile per una classe disarmata della sua propria organizzazione e coscienza, disarmo attuato in primo luogo grazie all’opera di quella “sinistra” che, per giunta, si sbalordisce per lo smottamento a destra in atto nella spina dorsale della classe operaia italiana.

Ci pare di percepire a questo proposito che questo malsano sentimento – ossia l’idea che “la gente” ed in particolare la classe operaia “lassù al Nord” sia una massa di ignavi e fessi da farsi infinocchiare dai “triviali” messaggi leghisti/secessionisti/razzisti ecc. (questo più o meno il retropensiero) – vada spandendosi oltre gli ambiti della “sinistra” radical–chic e “rivoluzionaria arancione” alla Manifesto appestati di spirito costituzionalista/statalista (i “venduti allo straniero” li definiscono, giustamente dal loro punto di vista, i mussolinisti vecchi e nuovi cui sopra abbiamo accennato).

Leggiamo, fra l’altro da compagni seri, combattivi e non sprovveduti, cose che ci lasciano di stucco: “Certo molti operai votano Lega ma questo avviene perché non hanno capito nulla della natura di classe di quel partito e si lasciano abbindolare dalle roboanti frasi razziste e xenofobe dei suoi beceri esponenti. Questi operai che si accontentano di ’brutte parole’ senza neppure avere riscontri effettivi nei propri interessi sociali fanno veramente pena...” (Primomaggio, foglio di collegamento tra lavoratori, precari e disoccupati)

Qui avremmo a che fare con una massa di operai talmente infessita non solo perché cade nella trappola della più triviale reazione, ma ci cade, per di più, non ottenendo niente di concreto in contropartita (”si accontentano di brutte parole...”). In breve: autentici cornuti e mazziati.

Se le cose stessero effettivamente così allora faremmo meglio, francamente, a chiudere baracca, a buttare nella spazzatura tutto il marxismo e, se si vuole “continuare la lotta”, a mettersi a cercare in un campionario peraltro piuttosto ampio “i veri soggetti rivoluzionari” “sostitutivi”.

Ma così non è perché gli operai nonostante tutto, nonostante la loro condizione attuale disarmata, ed effettivamente depravata se vogliamo, NON POSSONO ACCONTENTARSI E NON SI ACCONTENTANO AFFATTO di “brutte parole” né di quelle “belle”, e i “riscontri effettivi” li chiedono eccome! Oggi la Lega marcia a gonfie vele fra gli operai al Nord, mai giammai potrà eludere la contraddizione di classe dentro la sua pancia su cui noi lavoriamo e puntiamo a partire dalla presente infelice situazione.

E qui, per cercare di specificare il senso di una azione comunista, ripubblichiamo in allegato il nostro intervento “Ai lavoratori della Lega” , del 1998.

Siamo convinti che la Lega maneggerà con la maggior cautela possibile l’esplosiva materia, nell’ambito della pressione e della contrattazione istituzionale dentro la più generale politica della “riforma” dello Stato e delle sue strutture istituzionali (“per il Nord e per il bene dell’intero paese”, così si dice). Ma, quanto più il malessere e il disagio delle fasce popolari avranno a manifestarsi e a minacciare gli argini della concertazione e della solidarietà nazionale, e quanto più le manovre più o meno torbide dei brontosauri della conservazione borghese centralista unitamente a quelle “dello straniero” e dei centri di potere italioti al suo guinzaglio avranno del pari a manifestarsi e a seminare il bailamme nel paese, tanto più anche l’agitazione per i “salari territoriali” assomiglierà davvero a quella di un tizzone ardente agitato vicino ai barili dell’esplosivo.

Quando in agosto la questione delle “gabbie salariali” è stata sparata, la Cgil ha risposto sparando, a salve, la minaccia del ricorso allo sciopero generale. Cosa buona e giusta lo sciopero generale, esso sarebbe in effetti la vera azione risolutiva per sventare la minaccia di frantumazione e spaccatura che incombe sulla classe lavoratrice italiana. Ma, dato che ancora per il momento i bonzi sindacali non pretendono di convocare i proletari “per salvare la Patria”, occorrerebbe andarlo a spiegare per bene lo sciopero agli operai, soprattutto al Nord, e possibilmente riempirlo non di chiacchere, di cui la gente comincia davvero ad averne pieni i coglioni, ma di ciccia, di contenuti tangibili e concreti. Pena un flop che, in queste condizioni, risulterebbe drammatico.

La cosa non è facile anzi è assai ardua e non solo per i bonzi sindacal–politici ufficiali ma anche per uno stesso movimento di classe che voglia strappare e battere l’influenza dei movimenti reazionari sulla classe (senza avere la pretesa di un successo immediato, che in queste condizioni è impossibile). Poiché non basta per niente agitare davanti alla classe stessa il più bel piano rivendicativo, la più dura piattaforma “davvero di classe” se dietro ad essa si para il vuoto politico o vi sia in realtà una politica di vuoto riformismo. Senza che il necessario piano delle rivendicazioni in difesa degli interessi di classe sia collegato e conseguente ad una autentica politica di classe.

Dietro ai piani rivendicativi dei bonzi sindacali c’è collegata una “certa politica” che riassumiamo in “riforma dello Stato” (cento tipi di riforme...). Dietro e collegata all’agitazione sindacale della Lega, dietro ai “salari territoriali” c’è una certa altra politica di “riforma” borghese che a un certo punto può implicare la secessione da questo Stato per costituirne un altro, presuntamente e falsamente “più sano e meno succhione sulle spalle del lavoro salariato”.

Dietro al nostro piano rivendicativo di classe che cosa ci deve stare? A che cosa deve essere collegato? A una politica, a una prospettiva di classe anti–capitalistica certo. E che cosa ciò significa e implica? (domanda retorica fino a un certo punto, dato che per molti, anzi per la grande maggioranza dentro il “campo antagonista” dire “anti–capitalismo”, dire “prospettiva di classe” significa in realtà riforma, “gestione diversa e sociale” del presente sistema).

Significa attrezzare una politica generale, come reparto organizzato di una classe internazionale, per l’aggressione al potere dello Stato borghese, così come la politica della Lega aggredisce dal suo punto di vista borghese e reazionario tutte le tematiche della vita e della società ed aggredisce a modo suo la struttura marcia fradicia dello Stato italiano. Necessità dunque di una politica di “aggressione di classe” che, avendo estirpata ogni superstizione costituzionalista/statalista, implica fra l’altro ed in primo piano la presa in carico di tutta la problematica relativa ai compiti per una vera ed autentica pulizia sociale e morale della società. (Su questa necessità vedi su questo sito “Spazzare le strade, spazzare la stalla”). Pulizia sociale e morale che solo l’azione di un proletariato in piedi sulle sue gambe può portare effettivamente a termine ed a cui esso è massimamente interessato anche per liberarsi, esso stesso per primo, dal degrado morale e fisico che lo minaccia e lo intacca.

* * *

Una davvero preziosa (e preoccupante) segnalazione ci è giunta da un compagno, non appena il “sasso–gabbie salariali” è stato lanciato, con sollecitazione a dire la nostra. Concerne di come, anche all’interno di una stessa organizzazione, per di più nell’ ”area antagonista” – la CUB nel caso segnalato –, la questione possa risultare dirompente. In calce riportiamo quanto segnalatoci e cioè un comunicato della CUB di Milano ed il commento critico del coordinatore nazionale. Risulta evidente anche attraverso questo scarno botta–risposta, anche dietro questo piccolo e limitato episodio, come effettivamente vi siano “sensibilità diverse”, diciamo così, nell’approccio della spinosa materia.

La faglia, sotto la crosta delle istituzioni unitarie, deve essere davvero enorme e sembra allargarsi inesorabilmente a tutti i livelli, materiali e psicologici perfino. Rendiamocene conto e facciamocene una ragione, per prima cosa!

Dovrebbe risultare sufficientemente chiaro, per quello che abbiamo svolto sopra, perché a noi sembrino totalmente inadeguati sia l’ ”approccio milanese” che la replica “romana”.

La posizione elusiva nel comunicato Cub/Milano è mascherata da un “duro” discorso sul piano sindacale cui si vorrebbe ridurre la questione. Si scantona dal prendere il toro per le corna credendo di cavarsela con la riproposizione del solito refrain riformista–redristributivo, dove per far quadrare il cerchio basterebbe rivendicare “un consistente aumento delle retribuzioni” che “contribuisce ad attenuare gli effetti della crisi sull’insieme dell’economia”: i bisogni della classe e la “ripresa dell’economia” soddisfatti insieme, via lotta per una gestione sociale–equa–solidale del capitalismo. Noi crediamo che per questa strada non si vada da nessuna parte, certo non si scalza di un millimetro l’influenza leghista nella classe.

Dalla padella alla brace il Coordinatore nazionale il quale, stando dentro la medesima cornice (gestione sociale–equa–solidale del capitalismo), certamente avverte la difficoltà “dei lombardi”, ma sembra addirittura non porsi nemmeno la questione centrale (e molto ardua lo ripetiamo) del come rapportarsi con quella massa popolare e proletaria che è parte centrale del “nostro blocco sociale di riferimento”. L’immancabile riferimento alla Sacra Costituzione Italiana non è che il segno di quanto perfino l’ambiente di “estrema sinistra” sia imbevuto di quella mentalità istituzionalista borghese che un movimento di classe all’altezza della situazione deve invece, lo ripetiamo, sradicarsi di dosso. Per strappare dalle mani leghiste quella carica di sacrosanta rabbia e incazzatura popolare e proletaria che spetta a noi, spetta al movimento di classe, indirizzare contro il giusto bersaglio: la porcilaia dello Stato borghese italiano ove diguazzano i ladroni di Roma come quelli di Milano e di Venezia.

18 settembre 2009

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Note

(1) Ecco una sintesi delle recenti proposte contrattuali della UIL:


(“Sole – 24 ore” del 11.7.09)

Uil: più reddito e meno tutele

“No al modello unico, meglio fissare minimi salariali omogenei validi per tutti”


Costruire un modello contrattuale in grado di intercettare le esigenze specifiche del singolo lavoratore, garantendo a1ivello nazionale uno standard minimo per tutti. Con una rimodulazione delle tutele a livello aziendale.
...
“Se il sindacato difendesse i lavoratori dal mercato commetterebbe una scelta regressiva e antistorica”, perché i lavoratori “vanno tutelati nel mercato attraverso ammortizzatori gestiti dalle parti sociali”, con “il coinvolgimento diretto delle imprese e delle rappresentanze dei lavoratori”.
...
La Uil dice “no” al contratto unico che ha “il limite di negare la flessibilità riconducendo tutti i lavoratori gradualmente in un’unica tipologia contrattuale”, proponendo in alternativa “minimi omogenei di protezione validi per tutti”. Con deroghe a livello aziendale per favorire performance migliori, valorizzando il merito e le aspirazioni del singolo. Fino a consentire – previo accordo sindacale – una contrattazione individuale e volontaria su temi come le mansioni o l’orario, per rispondere soprattutto alle aspettative della fascia di lavoratori con alto livello professionale.
...
Infine serve la riforma della sanità, per passare da un sistema universale ad uno articolato.



(“Sole – 24 ore” del 30.7.09)

La proposta. Retribuzioni sotto i minimi nazionali nelle otto regioni meridionali in cambio di assunzioni a tempo indeterminato

La Uil apre ai contratti differenziati


Un contratto "ad hoc" a sostegno dell’occupazione stabile e dello sviluppo del Sud. Alle im­prese che garantiscono assunzioni a tempo indeterminato la Uil propone un "contratto straordinario di accesso”
Offrendo anche retribuzioni inferiori ai minimi con una deroga tempora nea ai contratti nazionali di categoria, per un periodo di 3–5 anni.
...
[La UIL] per voce del segretario confederale Guglielmo Loy, lancia una proposta per creare “nuova e buona occupazione” a tutte le istituzioni e alle parti sociali. “Per lo sviluppo del Mezzogiorno – sostiene Loy – non c’è bisogno di un "leghismo del Sud", servono scelte coraggiose, nuove politiche nazionali in discontinuità con il passato. Invece di stilare la solita lista della spesa con richieste “a prescindere”, occorre agire tutti insieme: Governo, Regioni e Parti Sociali.
...
È vero, sono già stati sperimen­tati salari diversi al Sud – si pen­si ai contratti d’area che hanno prodotto risultati modesti – ma adesso per la Uil c’è «una gros­sa novità da cogliere», la riforma del modello contrattuale che prevede le deroghe. «Con il contratto d’accesso proponia­mo uno scambio –spiega Loy–, possiamo offrire più flessibilità nel salario, nell’organizzazione del lavoro, dei turni. Le imprese si impegnerebbero a reinvesti­re nel territorio, aumentando i livelli occupazionali».



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Documenti Cub


1) il volantino milanese


Salari: una discussione senza capo ne coda, la questione dell’emergenza salariale non si affronta riesumando proposte che appartengono alla archeologia sindacale o con la “pseudo contrattazione” invocata da padronato e sindacati di stato.



La pesante riduzione del potere di acquisto accumulata dalle retribuzioni non si affronta continuando con le politiche concertative che sono la causa della perdita dei salari e dell’aumento stratosferico dei profitti.

E’ necessario viceversa un consistente aumento generalizzato delle retribuzioni con il loro collegamento automatico all’andamento dei prezzi.

Inoltre va ridotta drasticamente la differenza retributiva tra 1° livello e la dirigenza e vanno resi pubblici l’ammontare dei benefit di vario titolo, l’entità degli aumenti distribuiti unilateralmente dalla azienda e il numero dei lavoratori coinvolti

La moderazione salariale oltre a portare i salari dei lavoratori italiani agli ultimi posti tra i paesi europei, ha determinato lo spostamento di una grossa fetta di reddito dai salari ai profitti, profitti finiti nelle tasche dei padroni e nella speculazione finanziaria.

Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l´8 per cento del Pil di oggi è pari a 120 miliardi di euro.

Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all´anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po´ di qui, un po´ di là.

Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga.

Ci hanno raccontato che la moderazione salariale avrebbero evitato la crisi, una colossale balla, quando e evidente che un consistente aumento delle retribuzioni contribuisce ad attenuare gli effetti della crisi sull’insieme dell’economia.

Milano 11–08–2009



2) la risposta del coordinatore nazionale


Circola in rete ed è pubblicato sul sito www.cub.it un non comunicato della CUB di Milano sulle gabbie salariali  in cui si riesce a parlare di tutto, anche di cose giuste e condivisibili, ma senza assolutamente dare un giudizio di merito sulle reiterate dichiarazioni di membri del governo appartenenti alla Lega Nord in ordine alla necessità di ripristinare le gabbie salariali in Italia. Nel comunicato, allegato, tale questione viene elegantemente omessa, salvo un richiamo all’archeologia sindacale (sic!) contenuto nel titolo.

Personalmente sono allibito!

Avevo capito che la nostra confederazione facesse proprio il principio, che informa anche la Costituzione Italiana, secondo cui ad uguale lavoro va garantita uguale retribuzione, ovviamente a prescindere dalla regione d’Italia in cui si esplichi il proprio lavoro. Questa e non altra può essere la risposta della nostra Confederazione ai reazionari della Lega Nord e alle loro esternazioni ferragostane che, pur se evidentemente orientate a far pendere ulteriormente la bilancia dei rapporti interni al governo a proprio favore, contengono quel retrogusto razzista e separatista che è sempre latente, quando non esplicitato direttamente, nelle dichiarazioni di questi figuri. Possibile che gli estensori del comunicato "pronto per la stampa e per la distribuzione ai lavoratori" non abbiano sentito il bisogno di ricordare agli esponenti della Lega Nord, così profondamente radicata da quelle parti, che la differenza salariale tra il nord e il sud purtroppo già esiste ed è consistente? che esiste, ed è consistente, un profondo divario tra i tassi di occupazione del nord e quelli del meridione? che i salari individuali del meridione sono di fatto salari familiari, nel senso che spesso è già molto se in un nucleo familiare c’è un membro che lavora e tira avanti tutta la famiglia......? Non credo ci sia da dilungarsi troppo nell’esporre i mille motivi che qualsiasi persona di buonsenso potrebbe elencare per respingere quell’ipotesi.

 E allora perchè non lo si fa?

Forse qualcuno pensa che siccome oggi i lavoratori del nord sostengono la Lega Nord, non sia opportuno attaccarla nei volantini da diffondere nelle fabbriche e sul territorio per non urtare la suscettibilità dei lavoratori e rischiare di perderne il consenso (sic!). Chi pensasse questo commetterebbe a mio avviso un doppio errore non contrastando le derive razziste e fasciste dei leghisti e non indicando al proprio blocco sociale di riferimento la giusta lettura della situazione e favorendo così il radicamento tra i lavoratori di ipotesi reazionarie. Non credo che questa mia sia una lettura "romana" che non capisce cosa sta accadendo nell’habitat operaio lombardo, credo piuttosto che l’influenza nefasta della Lega e del suo "pensiero" – se così si può chiamare – abbia in qualche modo contaminato anche un pezzo del nostro sindacato lombardo. Forse è il caso di discuterne. 

Pierpaolo Leonardi Coordinatore nazionale CUB.

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Allegato:

Ai lavoratori della Lega, settembre 1998