nucleo comunista internazionalista
note




Contro l’imperialismo italiano ed europeo

contro il governo Gentiloni

contro la cupola di Bruxelles


Il 25 marzo, nel giorno in cui capi di Stato e di governo dei paesi dell’Unione Europea celebrano sessanta anni dei trattati fondativi dell’UE, noi chiamiamo alla lotta contro le politiche antiproletarie dei governi nazionali e delle istituzioni europee che scaricano sui lavoratori la crisi sistemica del capitalismo, chiamandoli a digerire le ricette dei governi nazionali e dell’Europa come “unica soluzione per superare la crisi”. Una politica che, manco a dirlo, annulla in premessa ogni idea di protagonismo delle classi lavoratrici, concepite come coda subalterna della borghesia, che abbia le mani assolutamente libere per giocarsene le vite nello scontro a tutto campo per l’accaparramento dei profitti, tentando di irreggimentarle sin d’ora negli eserciti e nei fronti di guerra che potranno rendersi inevitabili per dirimere una contesa sempre più acuta.

Un disegno da contrastare e respingere con la ripresa della mobilitazione di classe in Italia e in Europa.

Il punto è: su quali contenuti e con quale prospettiva si contribuisce effettivamente alla ripresa di classe? E su quali altri invece si porta acqua alla borghesia imperialista e se ne favoriscono le opzioni e relative rappresentanze politiche/partitiche in campo?

A maggior ragione è questo il punto, se il 25 marzo sono indette diverse manifestazioni: della “sinistra europeista” più o meno “critica”, del “sovranismo di destra”, degli “antieuropeisti di sinistra”. Offriamo in appendice una scheda sintetica di come si presentano le diverse compagini -“sinistre” e destre, pro e anti Europa- in campo il 25 (almeno quando scriviamo e salve ulteriori evoluzioni).

In questa nota ci concentriamo su un punto centrale. Con fin troppa benevolenza abbiamo definito l’ultima manifestazione citata “della sinistra antieuropeista”. Non avremmo sbagliato se l’avessimo chiamata del “sovranismo di sinistra”. Noi lavoriamo affinché in quella piazza si esprima visibilmente la consapevolezza che “il nemico principale” da combattere si identifica certamente con l’Europa imperialista e i governanti di Bruxelles, ma anche e innanzitutto con il governo Gentiloni e l’imperialismo italiano, opponendosi su queste basi un altolà al “sovranismo di sinistra” per ri-orientare la rotta verso il programma di classe.


No al nazional-sovranismo di “sinistra”

In questa nota ci riferiamo in particolare alla cosiddetta Piattaforma Eurostop che agita contenuti di autentica revanche nazional-sovranista. Contenuti che, in assenza di una battaglia politica che ne chiarisca il significato e la prospettiva suicida, sono suscettibili di diffondersi come virus infetto nelle file di un proletariato scosso dai colpi della crisi e disorientato dall’assenza di una credibile prospettiva di classe in campo cui riferire i propri problemi, le proprie aspettative, la propria disponibilità a lottare. Quelle di Eurostop, alla faccia dei panegirici sulla “costituzione antifascista”, sono posizioni del tutto sovrapponibili nell’essenziale ai contenuti agitati dalla destra (di Storace, Alemanno, Tremonti, Meloni, Salvini e molti altri ancora, in Italia e non) alle cui campagne gli Eurostop si accodano. Questa è la realtà, per chi non voglia perder tempo a cavillare su “differenze” che senz’altro ci sono ma risultano del tutto secondarie se è vero -come purtroppo è vero- che, da “sinistra” e da destra, “comunisti” dichiarati e “fascisti” più o meno ex scendono in piazza in nome della “sovranità nazionale e popolare” dell’Italia. Noi siamo impegnati a dare battaglia affinché il proletariato ripudi la trincea della “difesa della sovranità nazionale” (prosecuzione della “difesa della Costituzione repubblicana e antifascista” e anticamera della “difesa nazionale”!) e torni a orientarsi sul contrapposto programma di classe.

Nostra tesi è che su questi tasti la destra declina con coerente efficacia a pro della conservazione borghese il suo programma di sempre, laddove i “comunisti” che si riscoprono tutori della “sovranità democratica e popolare del nostro paese” hanno rimosso ogni pur pallida reminiscenza dei contenuti essenziali che qualificano il Comunismo, mettendosi miserabilmente alla coda della destra e del nemico di classe.

Il solo parlare di “sovranità democratica e popolare” dovrebbe suonare alle orecchie dei “comunisti” come un imbroglio. Invece costoro, cancellati d’un tratto la divisione e l’antagonismo tra le classi, legittimano il riferimento al “popolo italiano” e caldeggiano la sua unità in vista dell’obiettivo “comune all’intera nazione” di scrollarsi di dosso il giogo “esterno” dell’Europa. Per questi sedicenti “marxisti” il popolo in democrazia sarebbe sovrano, cioè il signor Almaviva e i suoi 1666 dipendenti licenziati deciderebbero insieme sovranamente le sorti della nazione (avete avuto questa impressione? noi no!). E poiché le istituzioni di Bruxelles “ci” avrebbero ora scippato questa “sovrana” possibilità, essi chiamano il “popolo”, i proletari uniti ai padroni, a battersi contro il nemico esterno in nome della “difesa della sovranità nazionale”, che è un altro modo di dire “difesa della patria”! Ora, non saremo noi a dire che tutte le forme di Stato e di governo regnante il capitalismo sono uguali e indistinte, ma da qui a sostenere che nella democrazia è “il popolo” a decidere e governare c’è ne corre parecchio. La democrazia borghese è la forma più apparentemente partecipata e formalmente condivisa del dominio esclusivo della classe borghese, e proprio per questo è la forma più solida della ferrea dittatura del capitale. I comunisti, lungi dall’accreditare le mistificazioni del falso universalismo della borghesia, alla realtà del totalitario potere borghese oppongono la dittatura del proletariato! Programma oggi lontano dal potersi realizzare, ma le cui brevi e ormai lontane anticipazioni, da quando si sono date, mai hanno smesso di disturbare il sonno dei borghesi.


Rincorrendo quali illusioni gli Eurostop si vendono l’anima sull’altare nazionale?

In virtù di quali argomenti costoro si stringono a coorte per la “sovranità nazionale del proprio paese”?

Nell’appello per il 25 sottoscritto (tra altri) da Piattaforma Eurostop si legge che “la nascita dell’UE e l’introduzione dell’Euro hanno prodotto” il peggioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, soprattutto nell’Europa meridionale; la restrizione della democrazia che accentra le decisioni “riducendo la sovranità dei popoli europei” (vedi la riforma costituzionale di Renzi); l’interventismo militare in Ucraina, Siria, Libia, con amplificazione delle migrazioni dei popoli coinvolti dalle guerre. Sarebbero questi “gli effetti di una costruzione istituzionale che oggi si sta dimostrando incapace di fare i conti con una profonda crisi economica e sociale”. Traduzione: se l’Italia non fosse stata nella “costruzione istituzionale” dell’Europa, noi tutto questo ce lo saremmo risparmiato. E dunque la soluzione è a portata di mano: basta uscire dall’Euro!

Propalare ai quattro venti che basterebbe uscire dall’Euro per azzerare i vincoli del mercato globale che realmente strozzano il proletariato, è una infantile (volendo essere molto buoni…) micidiale illusione. Perché quei vincoli, se non spezzati dalla Rivoluzione Proletaria e dal programma internazionalista di classe (che da ultimo gli Eurostop si divertono a sbeffeggiare, alla faccia della rivendicata “visione internazionalista”!), esisterebbero anche senza l’Euro.

I nostri “marxisti” quindi si vendono l’anima per coltivare penose illusioni!

Secondo Eurostop “è necessario che l’Italia esca dall’UE, dall’Euro e dalla Nato” perché “il sistema ha finora potuto vincere i conflitti grazie al fatto che ogni lotta importante a un certo punto si misura con la rigidità di un sistema che non ammette mediazioni e che ogni volta si trincera dietro l’impossibilità delle alternative”. “Rigida” contro il proletariato sarebbe l’Europa teutonica e “carolingia”, non putacaso il capitalismo mondiale in crisi; cosicché, una volta fuori dall’Euro, tutte le mediazioni e le alternative tornerebbero possibili. Ora, se ci si viene a raccontare che, fossimo stati fuori dall’Euro, la vicenda Almaviva avrebbe avuto tutto un altro decorso, noi a questa palla colossale non ci crediamo, e chiamiamo chi ci legge a confrontarsi con la realtà. Ai diktat del capitale (e dei governi nazionali e dell’Europa con esso, ma non dell’Europa e basta, separata da -e assente- tutto il resto) non si risponde con la “riconquista della sovranità nazionale e monetaria”. Al capitale si può solo rispondere mettendo in campo la forza di classe che sia in grado di rispedire al mittente i suoi diktat! Altre risposte non esistono.

Andando al fondo, gli Eurostop si illudono che, alle condizioni da essi preconizzate, sarebbe possibile rieditare il compromesso sociale assaporato nei “trenta anni gloriosi” della crescita economica del secondo dopoguerra, quando, avendo il movimento comunista ufficiale -non senza larghe masse proletarie al seguito- abbandonato i “settarismi” dell’esordio rivoluzionario e sposato la “democrazia progressiva” e le “riforme di struttura”, ci si era potuti illudere -visti i miglioramenti immediati che la classe operaia andava conquistando- di aver imboccato realmente la via giusta. Invece si preparava alla lunga il disarmo e l’annullamento politico del proletariato (sia pur attraverso un ciclo di lotte -riformiste- reali, che hanno accompagnato il processo di progressiva integrazione del comunismo ufficiale e del partitone nello Stato e nell’ordine del capitalismo, concludendo coerentemente nel disgustoso finale pro e anti Renzi!!).


La prospettiva degli Eurostop: vecchissime minestre già andate ai vermi!

Dall’Euro -ci illuminano gli Eurostop- si uscirebbe “attraverso il conflitto sociale e la mobilitazione”, ma soprattutto attraverso “uno o più referendum e un governo che abbia la maggioranza necessaria ad indirli e la voglia di farli…”. Altrove si legge di “rotture del quadro esistente” e di “transizione al socialismo”, ma, pesato il netto, quello cui si allude è un “processo” istituzionale tutto interno alla legalità borghese e all’ordine dato. Anzi un “processo” volto a “riaffermare la piena sovranità e legalità costituzionale del proprio paese e delle sue leggi fondamentali come la Costituzione del ’48”. Contro l’evidenza storica si afferma che la “Costituzione antifascista” è incompatibile con l’UE, l’Euro e la Nato, quando è stata proprio la “Costituzione antifascista” a tenerli tutti a battesimo. La leva di rottura di questi “vincoli esterni” sarebbe la preservazione della Costituzione del ’48, “già difesa nel referendum del 4 dicembre”.

Un Italexit dopo e come il Brexit. Che nei programmi degli Eurostop si arricchisce inoltre dei corollari della nazionalizzazione delle banche e delle aziende strategiche, del ripudio del debito pubblico accumulato, di una nuova moneta sganciata dall’euro e dai cambi fissi, dello smantellamento delle basi militari straniere e dell’uscita dell’Italia dalla Nato e dalla Difesa Europea (nulla da dire invece sull’attivismo militare dei “nostri”, in casa e all’estero, purché sotto esclusivo comando e bandiera tricolore doc, n.n.), della “neutralità attiva” dell’Italia in politica estera (annotiamo questo non meglio specificato “attivismo italiano in politica estera” -sic!-, ma “neutrale”, n.n.).

Sono misure che non segnano alcuna rottura del quadro capitalistico, che a determinate condizioni potrebbero rivelarsi finanche in tutto o in parte necessarie e obbligate per il capitalismo nazionale, che ripropongono l’illusione che la mannaia del debito pubblico esiste perché c’è l’Europa ad agitarne lo spettro mentre una volta fuori dall’UE potremmo fregarcene allegramente recuperando i margini per tutti gli investimenti pubblici del caso e per “mediare ogni conflitto”. Si dice ancora che questa rottura dei “vincoli esterni” sarebbe un “obbiettivo di transizione”, il “passaggio verso un nuovo sistema economico e politico, che non è ancora socialismo, ma che non è più ordoliberismo”. Si tratterebbe della “regressione della globalizzazione”, della riaffermazione della “democrazia fondata sull’uguaglianza sociale secondo i cardini della nostra Costituzione antifascista” (altro bell’inchino alla democrazia borghese!). L’uscita da UE, Euro, Nato sarebbe “la premessa costituente di un programma progressista che riapra la via al socialismo”.

Sono formulazioni, lo si sappia o no, che ricalcano alla lettera l’orizzonte fissato in altri tempi dallo “svoltante” Togliatti: l’orizzonte della “democrazia (n.n. borghese sì, ma) progressiva”, che, se coerentemente perseguita contro le ricorrenti “minacce” interne ed esterne -che secondo questa genia sempre la insidierebbero chiamandoli alla “difesa”-, garantirebbe la “naturale e pacifica evoluzione/transizione al socialismo”. E’ un orizzonte tutto interno all’ordine del capitale, riproposto a dispetto delle smentite ampiamente fornite dal decorso storico del novecento, dove le “svolte” sono state effettive e netta l’abiura del Comunismo Rivoluzionario di Livorno ‘21, ma di “transizioni” non si è visto niente. Ne consegue una piattaforma politica democratoide e controrivoluzionaria, esposta sul versante di un pericoloso nazionalismo declinato “da sinistra” che nei fatti alimenta dinamiche sociali suscettibili di essere concretamente capitalizzate dalla destra borghese.


L’imperialismo italiano: il grande assente nelle denunce di Eurostop

Gli Eurostop dichiarano di riscoprire oggi la denuncia del “proprio imperialismo”: finalmente! verrebbe da dire. Sennonché, quando vanno a specificare, nominano unicamente l’imperialismo europeo e mai gli sfugge detto o scritto imperialismo italiano, nonostante il passato coloniale di congruo calibro dell’Italia e la sua partecipazione a tutte le guerre dell’Occidente imperialista contro i paesi del Sud e dell’Est del mondo hanno inteso opporsi.

Non è una dimenticanza, perché nelle pseudo-analisi e nelle reticenze degli Eurostop tutto si tiene. Se si collegano i punti salienti ne emerge l’illusione che “l’Italia” (occorre aggiungere capitalista?) possa attraversare la crisi senza rompersi le proprie ossa se solo riesca a forzare/annullare i vincoli di un’economia mondiale interdipendente e globalizzata. Sarebbe possibile farlo uscendo dai patti e dalle alleanze sovranazionali, così liberandosi le mani per perseguire con più forza il proprio esclusivo interesse nazionale, facendo leva sulle carte buone che “l’Italia” ha a disposizione per competere sul mercato, carte che sarebbero vincenti se solo si riuscisse a sgombrare il campo da intralci, ostacoli e limitazioni imposti da altri e segnatamente dalla “gabbia europea” e dai comandi Nato.

Eurostop formula una proposta che titilla “il vero interesse nazionale” e si rivolge da un lato a quei settori dell’Italia borghese e capitalista che possano essere indotti (dalla situazione prima ancora che dai suggerimenti di Eurostop) a considerare questa “via d’uscita per la propria nazione”, dall’altro al proletariato chiamato a mettersi sin d’ora al servizio di questo programma spingendo dal basso in questa direzione (questa la sostanza delle geremiadi sul “blocco sociale” da costruire e unificare). Se l’Italia potesse orientare elusivamente in proprio il suo “attivismo” in “politica estera” (non a caso ben confermato dagli Eurostop) e giocarsi le chances che ha disponibili (ad esempio favorendo le sue esportazioni senza legarsi a un regime di cambi fissi), se potesse non darsi la zappa sui piedi con le sanzioni alla Russia, insomma se non fosse sempre costretta a mediare i propri interessi nazionali con quelli concorrenti e spesso dichiaratamente opposti dei partners occidentali di maggior peso, allora l’Italia potrebbe perseguire le soluzioni che sono per sé più adeguate. A queste condizioni la “rottura” preconizzata dagli Eurostop, condita con tutte le fasullissime “transizioni socialiste” che si vuole, è quella della riconquista della propria sovranità nazionale in funzione di una proiezione esterna dell’imperialismo italiano che sia totalmente allineata e al servizio dell’esclusivo interesse nazionale, senza dazi da pagare a partners-alleati. Una rottura che può ammantarsi di tutti i neutralismi che si vuole ma che non può non mettere in conto una maggiore aggressività esterna dell’Italia sovrana (a cominciare dalla sua area di più immediata influenza, quella Mediterranea, sempre presente nei pensieri degli Eurostop), posto che nessun concorrente (alleato o no) è disposto a cedere spazio a chicchessia. Ora è chiaro perché nei fogli Eurostop non si legge un solo rigo di denuncia di qualsivoglia imperialismo dell’Italia, e se ne caldeggia invece un “attivismo esterno” , “neutrale”, “per la pace e la cooperazione tra i popoli”, e innanzitutto verso e per ”un’area alternativa Mediterranea”, etc. etc.?

Noi vi leggiamo la sostanziale presa in carico della visione dell’Italia come “imperialismo buono e dal volto umano” secondo consolidata tradizione. E altrimenti non potrebbe essere, se i “comunisti” si vendono l’anima diventando portatori d’acqua alle soluzioni che sarebbero le più efficaci per la “propria nazione”, e chiamano i proletari a puntare le proprie aspettative su un programma nazionale di questo genere.

Che contenuti siffatti abbiano qualcosa che fare con il Comunismo e in quanto tali possano essere presi in carico “da sinistra” è una gigantesca menzogna. Questi contenuti sono una declinazione del programma della borghesia imperialista italiana, e gli Eurostop se ne mettono alla coda e al servizio!


Un “NO sociale” che risponde alla chiamata delle destre politiche!

Se ne è visto un ancor modesto anticipo sulla questione del referendum del 4 dicembre. Valga per Eurostop e, nello specifico, per la lunga schiera di “comunisti rivoluzionari” accorsi a infilare nell’urna il proprio NO.

Leggiamo che “le iniziative degli Eurostop sul referendum costituzionale sono state un passaggio decisivo della campagna per l’Italexit” e ciò sarebbe “confermato dalla composizione sociale della vittoria del NO nel referendum”. Il risultato del 4 dicembre viene bensì associato al voto del Brexit e all’elezione di Trump (non propriamente dei successi dal punto di vista di classe…), e nondimeno gli Eurostop, pur con qualche dubbio in proposito e sostanzialmente barando, non si trattengono dall’assumerselo (il 4 dicembre, il Brexit e forse anche Trump…) come risultato positivo ascritto anche alle proprie campagne politiche. Un “NO sociale” dove decisivi nella sconfitta di Renzi sono stati “settori popolari e giovani”, un NO che è stato “una domanda di giustizia sociale”, un NO che evidenzia “l’indebolimento dell’egemonia delle classi dominanti e spinge i processi di lotta verso una completa rottura e fuoriuscita da UE, Euro e Nato” (ma che c’entrano “i processi di lotta” con una conta di schede lucrata politicamente dalle destre nell’assenza totale di ogni benché minima mobilitazione della “composizione sociale” votante?, n.n.). Se il voto per il Brexit, per Trump e contro la riforma renziana hanno in comune il dato di un cospicuo pronunciamento elettorale di settori sociali disagiati contro le indicazioni di voto delle pseudo-centrosinistre dei rispettivi paesi e direttamente a favore e comunque al seguito dell’establishment capitalistico da sempre collocato alla destra e anche alla destra estrema, questo non dovrebbe rassicurare i “comunisti”. Può mai sfuggire ad essi che, con tutte le loro campagne, il “NO sociale” a Renzi è stato siglato in non infima misura sotto tutt’altre bandiere politiche, quelle della destra di Salvini, Meloni e altri ancora? Tutto ciò nelle analisi degli Eurostop non esiste, perché invece il referendum avrebbe sancito “il rigetto della globalizzazione… e la sconfitta dell’establishment sul terreno delle riforme liberiste” (e tutta l’altra parte dell’establishment di destra schierato sul NO e che con la vittoria referendaria ha riaperto la sua partita?, n.n.). Peraltro e posto che l’uscita da Euro e UE sarebbe salvifica per la nazione e per le classi disagiate, ci piacerebbe sapere dagli Eurostop che genere di benefici ne trarranno i proletari inglesi, e se l’uscita dall’UE avvii anche nel Regno Unito la “transizione” che dalla riaffermazione della “democrazia progressiva” schiude le porte al “socialismo”. In queste pseudo-analisi contorte e auto-contraddittorie noi vediamo soltanto confusione, disorientamento, accodamento ai processi in corso senza minimamente puntare ad orientarli nella direttrice di classe. Cospicui settori sociali disagiati hanno espresso nelle urne la loro protesta votando a destra, anche estrema. Il proletariato è alla ricerca di una soluzione ai propri problemi, e non disdegna di orientare massicciamente la sua aspettativa a destra, posto che le cosiddette “sinistre” condiscono le proprie politiche di Jobs act, voucher e quant’altro. Né si illudano i Fassina, Fratoianni o Speranza di poter essere risparmiati e premiati, avendo condotto e condiviso politiche dello stesso sostanziale segno. La situazione è particolarmente messa male per la nostra classe se finanche Eurostop e “sinistre conflittuali” varie si guardano bene dal rilanciare il programma di classe e preferiscono ammantare di fasullo “radicalismo di sinistra” slogan e contenuti della destra nazionale.

Noi, che ci siamo ben guardati dal salire sul carro fin troppo affollato del NO referendario, vediamo che la famosa “composizione sociale” ha espresso la sua protesta con un voto, essendo rimasta prima e ritornando dopo al suo attuale silenzio. Un voto -e un’assenza di lotta- che rilancia tutti i partiti anti-Renzi, consegnando ancor di più il campo a un establishment capitalistico di pseudo-“sinistra” destra e centro in eterna rissa e pur sempre immancabilmente ostile alla famosa “composizione sociale”.

Se nondimeno “la Costituzione che è stata difesa” rassicura Eurostop e “comunisti” vari, anche su questo noi mai saremo della partita.


Per il programma di classe contro il “sovranismo di sinistra”

Con Eurostop si può concordare che l’impasse del capitalismo mondiale scivola verso lo scatenamento (che non ci attendiamo per dopodomani) di una guerra su ampia scala, dove alla catena delle mai cessate aggressioni imperialiste contro i paesi e le popolazioni dominate del Sud e dell’Est del pianeta si unisca lo scontro militare diretto tra i vari imperialismi in lizza, di vecchio e nuovo conio. E’ per noi imperdonabile che Eurostopo da un lato declini la consapevolezza di un siffatto scenario (una consapevolezza molto particolare, e ne discutiamo in altra nota in appendice) e dall’altro faccia proprio un programma di revanche nazional-sovranista che cancella l’internazionalismo di classe, ridotto negli scritti di Eurostop alla sua volgare parodia: “Non bisogna aver paura di affermare che la rottura punta alla sovranità democratica e popolare del nostro paese. Non possiamo sincronizzare gli orologi con gli oppressi di tutta Europa ed aspettare l’ora nella quale si ribelleranno tutti assieme…”. Come se l’internazionalismo fosse questione di sincronia di orologi e non il programma che punta a unificare la lotta del proletariato internazionale, dove i proletari italiani nella crisi capitalistica separano il proprio destino da quello della propria borghesia (italiana prima che europea, altro che “sovranità nazionale”!) e si costituiscono in un unico fronte di lotta e in un’unica classe internazionale insieme ai proletari tedeschi, francesi, americani, russi, cinesi, arabo-islamici e del mondo intero. E’ difficile, oggi, pensare che ciò sia possibile? Anche noi vediamo, oggi, i coefficienti prossimi allo zero del nostro fronte internazionale di classe, ma innanzitutto facciamo un bilancio serio sul decorso che determina questo presente. In secondo luogo pensiamo che al di fuori della prospettiva rivoluzionaria di classe non c’è né soluzione né salvezza, e sappiamo inoltre che l’impasse del capitale costringerà infine il proletariato a riconoscere, riconquistare e brandire il suo programma storico.

Anche noi quindi crediamo che la situazione corra nuovamente al bivio dove il proletariato o viene spinto ancora un volta ad immolarsi per la preservazione del capitale o torna ad essere se stesso e rivendica a viso aperto l’integrale programma del Comunismo Rivoluzionario. A differenza di Eurostop noi non crediamo che esistano -e, prima ancora, non perseguiamo- soluzioni “per il nostro paese” dove i proletari italiani, “spingendo dal basso” un programma nazionale…, troverebbero le risposte ai loro problemi. Terze vie per slalom tattici di sedicenti “comunismi” del XXI secolo non esistono. Chi le persegue si candida a rieditare tragiche sconfitte del passato (di cui sarebbe opportuno coltivare per tempo la memoria per potersele risparmiare) o direttamente all’arruolamento al proprio imperialismo (che in Italia è storicamente e concettualmente italiano prima che europeo: ne prenda atto Eurostop che si dichiara “contro il proprio imperialismo”, ma, colta da strabismo, omette l’imperialismo italiano dal proprio campo visivo).

Noi ci schieriamo sin d’ora per la riconquista dell’integrale programma di classe, e su queste basi denunciamo tra le file proletarie il cancro del “sovranismo nazionale” di destra e di “sinistra”!



Appendice 1

Le piazze del 25 marzo

Il 25 marzo sono indette a Roma diverse manifestazioni in occasione delle celebrazioni del 60° anniversario dei trattati europei.

Il Movimento Federalista Europeo, "sinistra" europeista storica, promuove una serie di iniziative che, integrandosi in parte con le celebrazioni ufficiali promosse dai governi dell’Unione, chiamano alla mobilitazione a sostegno dell’Europa “contro il nazionalismo e il populismo”. Nell’appello “Europei, insieme in marcia per l’Europa!” si intende “rilanciare e completare” la costruzione europea, reclamandosi -tra altre cose- una guardia costiera comune per controllare le frontiere, forze di difesa europea “per proteggerci dalla instabilità e dalla guerra delle regioni limitrofe”, politiche comuni per “prevenire e combattere insieme la minaccia del terrorismo e del crimine globale”, etc. etc.. Circola però un altro appello, titolato “Cambiamo rotta all’Europa”, vergato dal Consiglio Italiano del Movimento Europeo (sempre di “sinistra” europeista si tratta), dove si legge che per salvare l’Europa dal rischio di disgregazione occorre rimediare ai “gravi errori di strategia politica ed economica e alla mancanza di democrazia”. Gli europeisti critici chiedono che si ponga fine alle politiche di austerità che “hanno frenato gli investimenti” e si democratizzino le istituzioni europee. Solo in questo modo l’Europa potrà essere “terra di diritti, di welfare, di cultura, di innovazione”, così “restituendo all’idea d’Europa la speranza nel benessere per l’intera collettività”. Sulla stessa linea si pone la coalizione “La nostra Europa, unita democratica solidale” che il 25 marzo organizza un corteo che parte da piazza Vittorio per ricongiungersi al Colosseo con la Marcia per l’Europa organizzata dai federalisti. La coalizione comprende “decine di associazioni cattoliche e di sinistra, partiti, sindacati e movimenti come Arci, Cgil, Legambiente, Rifondazione comunista, Sinistra Italiana, Sbilanciamoci, il movimento dell’acqua pubblica, Cobas. Alla mobilitazione contro l’austerità e il neoliberismo europeo si unirà anche un altro drappello di forze che sostengono l’appello ‘Libertà di movimento-Europe for All’ (Esc atelier di Roma, Baobab Experience, Action, Rete della Conoscenza o Tpo di Bologna)” (il manifesto del 18/03/17). La confusione e l’opportunismo ci sembra che regnino sovrani (è il caso di dirlo) se quelli della “Libertà di movimento- Europe for All”, per non parlare di Rifondaroli e Cobas vari, finiscono nella stessa piazza dei federalisti che reclamano “guardie costiere e forze di difesa europea contro l’instabilità delle regioni limitrofe e la minaccia del terrorismo”!!!

C’è poi l’iniziativa del “movimento sovranista” nato dalla fusione di Azione Nazionale (Alemanno), La Destra (Storace) e di altre 26 sigle. Questa forze, di vecchio pelo e di recente aggregazione, si sono date una piattaforma incentrata sul tema della sovranità nazionale “contro questa Europa, per la pacifica convivenza tra le diverse identità e la costruzione dell’Europa di Popoli liberi e Nazioni sovrane”, fissando per il 25 marzo il debutto in piazza. La destra sovranista intende “garantire la sovranità nazionale e popolare dell’Italia”. Per questo si pone “contro questa Europa e il super-Stato burocratico asservito alla Germania che ha tradito gli ideali dei Trattati… Non siamo anti-europeisti, ma siamo contrari ad un’Unione che cancella le differenze e costringe le nazioni in una maglia che fa gli interessi tedeschi”. La destra sovranista sfilerà da Santa Maria Maggiore al Campidoglio.

C'è infine la manifestazione della sinistra antieuropeista. Una sinistra antieuropeista che proprio sulla questione del 25 marzo rivela la sostanza di posizioni discutibilissime e francamente inaccettabili, che da un lato possono avere il pregio di non aggregarsi al carro dell’Europa capitalistica dietro la foglia di fico di una sua illusoria riforma e democratizzazione, ma dall’altro declinano l’opposizione all’Europa non certo in termini di classe bensì su una piattaforma dichiaratamente nazional-sovranista. Francamente si fa fatica a richiamare per questi raggruppamenti le denominazioni già in voga di “estrema sinistra", "sinistra di classe", "rivoluzionaria", "anticapitalista", "antagonista" o più semplicemente “conflittuale”, se le piazze del 25 marzo vedono questi attori di ieri o confluire nella piazza del Colosseo con il movimento federalista che inneggia all’Europa o sfilare in altra parte della città scimmiottando grottescamente i contenuti della destra sovranista.

Quanto alla cd “sinistra radicale”, tanto per completare la complicata geografia politica del 25 marzo, questa etichetta era in genere riservata alla sinistra che nel parlamento e nelle coalizioni di centro-sinistra stava alla sinistra del Partito Democratico, ovvero ai vari spezzoni di Rifondazione Comunista e dell’ex-Sinistra Ecologia e Libertà. La più gran parte di costoro, lo si è detto, saranno in “La nostra Europa...”, qualcuno (il Partito che già fu di Cossutta e Diliberto) con i “sovranisti di sinistra”, altri per conto loro (il nuovo partito Comunista di Rizzo), mentre dei vari raggruppamenti “trotzkisti” fuoriusciti a diverse ondate da RC staremo a vedere (e intanto ne leggiamo i comunicati che prendono le distanze e criticano la piattaforma degli Eurostop).

La "sinistra anti-europeista" del 25 marzo si compone di due tronconi che per l'occasione si riuniscono e stanno in piazza insieme. Il primo troncone è la Piattaforma Eurostop, Rete dei Comunisti, USB, Rossa, Movimento di Liberazione Popolare, etc., insomma quelli del No Renzi Day dello scorso 22 ottobre. L'altro troncone si firma "Movimenti e territori per il NO sociale" ed è un coordinamento politico di una parte dei centri sociali e di non meglio specificate "realtà sociali di tutti i territori”. Sono i promotori della manifestazione tenuta a Roma il 27 novembre a pochi giorni dal voto del 4 dicembre, con interventi dal palco di Nicoletta Dosio dei No Tav (ora firmatari dell’appello Eurostop) e De Magistris (ora atteso al “controvertice” di “La nostra Europa unita …” insieme a Yanis Varoufakis e Ken Loach - il manifesto del 19/03/17).

Eurostop e "Movimenti e Territori" hanno in comune l'identificazione con il NO sociale. La rivendicata "vittoria" del 4 dicembre li accomuna e avvicina. Se oltre a questo, li accomuni anche il “fuori dall’UE e dall’Euro”declinato con i contenuti nazional-sovranisti di Eurostop, o se i “Movimenti…” condividano solo in parte questi contenuti confluendo nella manifestazione tatticamente, magari volendo dare voce a “una contestazione radicale al vertice UE” (come si legge nel loro comunicato e come certo non sarebbe possibile nella manifestazione degli “europeisti critici” che punta al Colosseo), questo cercheremo di capirlo. Al primo impatto le piattaforme Eurostop e “Movimenti e Territori” sono diverse: i primi mettono al centro l'uscita dall'UE e dall'Euro e agitano a piene note la questione della sovranità nazionale. I secondi non replicano sui tasti del sovranismo, ma neanche vi si oppongono. “Movimenti e Territori” si attesta come “parte del NO sociale che si è espresso nel referendum del 4 dicembre”; è contro l’Europa ma non agita l’uscita dall’UE e dall’Euro. Soprattutto non agita la questione della lesa “sovranità nazionale”, anzi denuncia l’affacciarsi di “forze politiche sovraniste e nazionaliste, portatrici di un’idea di Europa costruita su basi etniche, intrise di razzismo se non addirittura di neofascismo”, dove l’allusione corre ai sovranisti doc, quelli di destra. Ma, se si organizza un corteo insieme a dichiarati sovranisti di “sinistra”, non sarà forse il caso di articolare una dialettica, se non proprio una necessaria battaglia politica, oppure è sufficiente che gli Eurostop moderino i toni dell’appello specificamente redatto per il 25, quando l’inno alla sovranità nazionale campeggia in bella vista in tutti i loro scritti di accompagnamento? Anche in questo modo si concorre al disarmo e si alimenta il sovranismo di “sinistra” e il nazional-sovranismo in generale!

Se la quasi totalità della fu-“sinistra radicale” e qualche non secondario pezzo della fu-“sinistra antagonista” finiscono nella protesta semi-istituzionale della “sinistra europeista critica” (quella che al Colosseo si unisce al MFE), possiamo dare atto che il “No a Euro, UE e Nato” lanciato da Eurostop rappresenti una piattaforma in un certo senso “più avanzata” in quanto intende esprimere una contestazione più radicale contro le politiche di rigore attribuite all’Europa. Al tempo stesso, però, questa “piattaforma più avanzata” regredisce e si squalifica nel “sovranismo-nazionale”. Questioncella omessa e ignorata in generale da una “sinistra” degenerata in larghissima parte di tutte le sotto-componenti citate, dove si potrà essere più o meno d’accordo se si debba uscire o no dall’Euro, se si debba uscire dall’UE o la si possa riformare, ma sia per l’una che per l’altra non fa scandalo che sedicenti “comunisti” si mettano a fare concorrenza alla destra sulle revanches nazionali che alla destra sono care da sempre e che alle orecchie della borghesia imperialista suonano, soprattutto se provenienti da “sinistra”, dolce musica che annuncia l’annullamento politico del proletariato e la vittoria della propria classe.



Appendice 2

Annotazioni libere sulle tesi degli Eurosotp

Gli Eurostop non si accontentano di intonare l’inno alla sovranità nazionale.

Hanno l’ardire di collocare il tutto in una cornice (ultrafasulla!) di preteso rilancio della “teoria marxista” e di bilancio storico dello scontro di classe.

Potremmo anche riconoscere agli Eurostop la buona intenzione (di cui è lastricato l’inferno) di una elaborazione che tenta di analizzare le difficoltà del presente promuovendo un bilancio dell’arco storico ampio che a questo presente conduce. Diciamo che a certe condizioni potrebbe essere addirittura un sasso lanciato nello stagno della cosiddetta “sinistra conflittuale” in genere ripiegata sullo specifico localistico, dove ci si impegna anche generosamente su singoli problemi e disagi reali, senza però compiere lo sforzo di collocarne la presa in carico in una definita visione generale dello scontro di classe e della prospettiva.

Proprio per questo entriamo nei meriti proposti da Eurostop senza fare sconti, contribuendo in tal modo acché il bilancio cui si allude vada fino in fondo, e non riediti a tempi storici ultrascaduti stranote falsificazioni, che il corso del capitalismo, oltretutto, non offre più agganci per sostenere.

Leggiamo che “a cavallo del secolo l’imperialismo è tornato in campo fuori dalle forme manifestatesi nella seconda metà del ‘900, e nella ripresa della competizione interimperialista e nel ruolo unificante che questa stava assumendo nel continente europeo”. Insomma la contesa interimperialistica, che era scomparsa nella seconda metà del ‘900 (“unica epoca con un solo imperialismo al comando cioè gli USA”), riapparirebbe oggi nel momento in cui “si unifica” e scende in campo l’imperialismo europeo. Costoro nel mentre affettano di distillarci L’imperialismo di Lenin, vengono a raccontarci che per mezzo secolo le tesi di Lenin sarebbero state messe in soffitta dagli sviluppi storici e che solo oggi tornerebbero ad applicarsi alla realtà dello scontro internazionale. Lasciando ad altra occasione lo sbugiardamento di questa ciclopica panzana e di tutti i suoi corollari annessi, fatto è che viene cancellato il dato storico degli imperialismi nazionali di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, ben presenti in Lenin e nell’analisi marxista di sempre, venendosi a dire che le verginelle nazioni europee e l’Italia tra esse, dal 1945 ad oggi, solo adesso verrebbero a unificarsi (e, quanto all’Italia, a essere unificate…) nell’imperialismo europeo. Mentre si cita L’imperialismo di Lenin, in realtà si ripulisce la fedina penale dell’imperialismo italiano (sporchissima nell’intero arco storico di riferimento). Una sfacciata impostura!

Gli Eurostop non vedono il rischio di portare acqua alle destre e alla conservazione borghese, accecati dall’illusione dei loro tatticismi “aderenti alla realtà” e giocati sugli umori “popolari” più immediati di cui ci si mette alla coda. Il loro riferimento alla “teoria” sa di falsificazione; il “bilancio” di rimozione. La “visione internazionalista” di Eurostop si sostanzia nella “consapevolezza che gli scenari internazionali ci stanno portando verso una situazione simile a quella in cui si trovò il movimento operaio alla vigilia della Prima Guerra Mondiale…”, laddove “ci vorranno costringere a votare i crediti di guerra per difendere il ‘nostro imperialismo’ contro gli altri imperialismi dentro la sempre più violenta competizione globale in corso, magari in nome dei valori liberali e democratici europei contro il dispotismo euroasiatico e la minaccia di Trump. E’ una trappola politica ed ideologica alla quale dobbiamo sottrarci sin d’ora, assumendoci la responsabilità di combattere apertamente il “nostro” imperialismo -quello europeo- senza alcuna paura di volerlo indebolire…”.

Un sottile (in realtà grossolano) capolavoro di ipocrisia! Si affetta di “combattere il nostro imperialismo senza alcuna paura di volerlo indebolire”, mentre si dispensano i migliori consigli alla “propria nazione” che prenda in carico le sue giuste politiche nazional-sovrane per costruire le sue “relazioni di pace” in un’ “area mediterranea alternativa”!

Ribadiamo: l’imperialismo europeo è un nostro nemico e va combattuto, ma gli Eurostopo lo combattono su basi diverse e contrapposte al programma internazionalista di classe se nella loro denuncia omettono finanche di nominare (figuriamoci poi “voler indebolire”) il capitalismo imperialista d’Italia!

D’altra parte, se altrove è detto che “la globalizzazione sta disgregando l’Europa” di cui si prevede l’implosione, sicché l’Italia sarebbe destinata a tornare in campo in proprio, perché mai cotanto internazionalismo non si applica “sin d’ora” anche e innanzitutto all’imperialismo italiano? Si è forse certi che Italexit condurrebbe infallibilmente al “regno dell’uguaglianza sociale” e alle “transizioni socialiste”?

In realtà, solo nelle mistificazioni di Eurostop Italexit vedrebbe un’Italia che se ne vada per conto suo nel suo “nuovo cammino di pace”, perché un processo del genere sarebbe possibile solo nel segno opposto di un aggressivizzarsi in proprio dell’imperialismo nostrano per ricontrattare le proprie sfere di influenza rispetto ai briganti concorrenti (alleati e non), e noi supponiamo che gli Eurostop ne siano ben consapevoli.

Ma gli Eurostop, con modalità speculari a quelle di certa destra sociale -anche in questo metodologicamente sovrapponibili-, trovano comodo mischiare reminiscenze “marxiste” ai neo-acquisiti contenuti sovranisti.

Gli Eurostop associano il passaggio storico attuale al 1914 e non già, tengono a rimarcare, alla seconda guerra mondiale, e su queste basi dichiarano che “oggi non è giustificato alcun campismo”. Pesiamo e traduciamo: in primis gli Eurostop puntano a cancellare dal “bilancio” ogni (scomodo) riferimento al secondo conflitto, saltando a ritroso direttamente al capitolo precedente, quello del 1914 (l’operazione è azzardata, ma ci è capitato di sentir citare da costoro finanche Karl Korsch a sostegno di questa tesi…); in secundis si confessa e rivendica come legittimo il campismo nella seconda guerra mondiale. Cioè: nella seconda guerra sarebbe stato legittimo essere campisti, stare da una parte, schierarsi e combattere nei ranghi dell’Italia ciellenistica inquadrati nel fronte imperialista democratico. Oggi invece nessun campismo (in funzione anti-americana) è giustificato, detto con riferimento all’imperialismo europeo ed eventualmente alla Russia e alla Cina. Campistissimi invece, ieri oggi e sempre, rispetto all’Italia! Sarebbe questa la riscoperta “visione internazionalista” usa e getta di costoro.

Quindi, mentre si confessa e rivendica come legittimo il campismo nella seconda guerra mondiale, al tempo stesso ci si atteggia a novella sinistra di Zimmerwald (anche questa abbiamo dovuto sentire…) e si riscopre adesso la trincea “internazionalista” per cui il “nemico principale è il proprio imperialismo”. Quale “proprio imperialismo”? Quello europeo! E’ il gioco delle tre carte. Chi mai potrebbe concepire giravolte più sconclusionate e auto-contraddittorie di queste, dove l’unica cosa chiara è il dirimente schieramento dalla parte della “sovranità nazionale” dell’Italia (al cui servizio prostituire -falsificando palesemente, ma che importa!-, ogni significato della teoria e dell’analisi marxiste)?

E quale sarebbe stato il campismo legittimo nella seconda guerra? Quello a “difesa dell’URSS” (un URSS che aveva già voltato le spalle alla prospettiva della Rivoluzione Socialista Internazionale) o quello a sostegno degli imperialismi democratici impegnati a sconfiggere la Germania nazista? I due campismi suppostamente legittimi, si badi, coincidono solo in parte, posto che nei primi due anni di guerra Germania e URSS sono state alleate.

In realtà nessun campismo con questo o quell’altro fronte imperialista può essere mai giustificato dal punto di vista dell’internazionalismo di classe: i campismi o non campismi a seconda delle convenienze appartengono a pseudo-“internazionalisti” da operetta e nazionalisti effettivi! Che la richiamata sinistra di Zimmerwald nel vivo del primo conflitto mondiale abbia dichiarato la guerra di classe contro la guerra imperialista, preso in carico il programma della rivoluzione in Russia, Germania e ovunque possibile contro il proprio imperialismo, provocato la fine della guerra in anticipo sui disegni e le necessità del capitale, costituito la Terza Internazionale per rilanciare la battaglia internazionale di classe al più ampio raggio, mentre l’URSS di Stalin trenta anni dopo non si è minimamente sognata di ripercorre questi passi, puntando non già a rilanciare la guerra di classe ma ad allearsi con l’uno o l’altro imperialismo in campo, prima con la Germania nazista e poi con i futuri vincitori, offrendo ai capitalisti occidentali come pegno della propria fedeltà la chiusura anche formale della Terza Internazionale nel 1943 (nel vivo della guerra) e traducendo poi ai popoli colonizzati e oppressi dai franco-britannici la consegna di sospendere la rivoluzione anticoloniale per non indebolire il fronte antifascista, tutto questo e altro ancora dimostra non già che allora fosse legittimo questo o quell’altro campismo, ma che a quello svolto l’URSS era ormai persa alla prospettiva della Rivoluzione Proletaria Internazionale e si giocava la propria partita di capitalismo nazionale nella crisi del capitale e nella guerra imperialista contro ogni protagonismo proletario che fosse orientato, in casa e fuori, al programma di classe.

Altro accostamento taroccato dagli storici di Eurostop è quello che associa “l’appoggio delle socialdemocrazie europee alla prima guerra mondiale” a quelle che nel contesto attuale vengono definite “le forze di centrosinistra di derivazione socialdemocratica che si sono sottomesse alla globalizzazione… e sono diventate semplicemente forze liberali…”, mentre -si legge- le “tradizionali sinistre radicali in Europa non sono riuscite sinora a costituire un’alternativa” alle prime. A questa stregua il PD sarebbe una “forza di sinistra di derivazione socialdemocratica” e questo è un altro falso grossolano. Se il programma del PD è liberale come si dice e se il PD si presenta con la faccia di Renzi, ciò non toglie che il PD non deriva da nessuna socialdemocrazia perché è l’epilogo al 2017 del “partito nuovo” di Togliatti di derivazione terzinternazionalista e chi oggi ripropone in sedicesimo i programmi di svolta enunciati quel lontano dì dal “migliore” non dovrebbe gettarsi dietro le spalle questo piccolo particolare.

Noi pensiamo che la scelta di schieramento della campagna Eurostop è una scelta suicida. Ai compagni che, nelle difficoltà del presente, si rivolgono a una siffatta prospettiva percepita come più realistica e accessibile (ma in realtà alla coda di processi e compagini storicamente deputate a indirizzarli a conservazione del potere borghese e del capitalismo), invece del salto del gambero al 1914 che omette il lunghissimo intermezzo storico che ce ne separa, farebbero bene ad appuntarsi in particolare alla data del 1933 e alla Germania.

Anche nella Germania del primo dopoguerra, schiacciata e umiliata dalle pesantissime condizioni imposte dai vincitori, vero sale sulle ferite della guerra, ci furono comunisti che nelle condizioni date approdarono a una sorta di nazionalismo di sinistra, se vogliamo con appigli materiali molto più forti degli attuali diktat impostici da un’Europa che gli imperialisti italiani hanno liberamente concorso a costruire.

I primi teorizzatori del cosiddetto “nazional-bolscevismo” furono espulsi dal Partito Comunista Operaio (KAPD) su richiesta dell’Internazionale, ma negli anni successivi la questione delle riparazioni territoriali e materiali imposte alla Germania divenne così pesante per un proletariato spossato dalla guerra, impegnato in continui durissimi assalti rivoluzionari (non coronati dal successo anche per gli errori a catena commessi dai comunisti) e falcidiato dalla crisi che dal 1929 tornò a colpire ancor più duramente, che mano mano i contenuti della revanche nazionale tornarono a farsi strada nelle fila del Partito Comunista Tedesco (KPD).

Questa volta non ci furono espulsioni perché erano anzi i “bolscevizzatori” di Mosca a dirigere il partito su posizioni che rivendicavano apertamente la “liberazione nazionale”, con contenuti per molti versi sovrapponibili ai contenuti del nascente nazionalismo nazista. La storia del violento scontro di classe in Germania con particolare riferimento, quanto al punto che qui ci occupa, agli ultimi anni ’20 e ai primi ’30 fino alla presa del potere di Hitler noi riteniamo debba essere studiata con la massima attenzione. E’ la storia di larghissime masse proletarie in rivolta contro il capitalismo e le condizioni di vita impossibili da esso imposte nella terribile congiuntura di crisi-guerra-crisi, dove il partito nazista e soprattutto le sue frange di sinistra muovono una critica radicale al capitalismo assicurandosi la presa su settori proletari, mentre il partito comunista accede a contenuti nazional-sovranisti e di “liberazione nazionale” della Germania così offuscando e quindi rendendo impossibile nella percezione e nella coscienza delle masse la demarcazione netta e la contrapposizione effettiva tra la presa in carico delle istanze proletarie su basi nazionaliste e il contrapposto programma di classe. Andiamo a studiare e poi a discutere il cosiddetto “Schlageter-kurs” di Radek, la “linea Schlageter, assunta dal KPD nel 1923 (Leo Schlageter, nazionalista dei Corpi Franchi approdato al partito nazista, autore di sabotaggi nella Rhur contro gli occupanti francesi e per questo condannato a morte e fucilato dai francesi); andiamo a studiare e discutere la cosiddetta “linea Scheringer” seguita dal KPD nel 1931 (Richard Scheringer, sottotenente del reggimento di Ulm aderente al NSDAP condannato per “disgregazione nazionalsocialista della Reichswehr” e poi passato con grande scalpore al partito comunista). Negli anni che precedettero l’ascesa al potere di Hitler (gennaio 1933) i nazisti conseguirono travolgenti successi elettorali, ma anche il KPD vide aumentare enormemente i propri voti: nelle elezioni di luglio 1932 il KPD prese più voti della SPD a Berlino e nelle regioni della Rhur e della Germania centrale; nella elezioni del novembre 1932 i comunisti a Berlino superarono di molto la SPD prendendo tanti voti quasi quanto socialdemocratici e nazisti messi assieme. Un paio di mesi dopo Hitler era al potere e il KPD, subito nel mirino della repressione nazista ora condotta dalle leve di comando dello Stato, non fu in grado, con tutto il seguito elettorale conseguito, di opporre una resistenza efficace.

Nelle condizioni date, il difetto di una azione politica dei comunisti coerente con il programma di classe lungo l’intero arco di un durissimo scontro, e invece la revanche per la “liberazione nazionale” del proprio paese contro i vincitori occupanti agitata da destra e da sinistra, avevano decretato il successo elettorale degli uni e degli altri, che però solo i nazisti furono in grado di capitalizzare prendendo in mano le redini dello Stato e dirigendole con forza contro qualsivoglia opposizione di classe e relative organizzazioni. I comunisti con tutti i voti ottenuti non furono in grado (come la SPD) di opporre resistenza, perché l’adesione anche proletaria al programma nazionalista, che pur essi avevano concorso da sinistra ad alimentare, consegnò la forza reale al partito nazionalsocialista consentendo per tal via alla borghesia imperialista di regolare i conti con l’energico e generoso proletariato rivoluzionario tedesco. Fritz Wolffheim, uno dei primi “nazional-bolscevichi” del gruppo di Amburgo, espulso nel 1920 da KAPD, e poi collaboratore con l’ala sinistra del NSDAP, finì i suoi giorni in un campo di concentramento.

Gli Eurostop, che tutto sono portati a buttarsi dietro le spalle, se vogliono omettere tutto il resto, per noi più che eloquente, si ricordino almeno questo. Noi pensiamo che anche le lezioni del 1914 e della prima guerra rischiano di andare perdute nei giochi di prestigio degli Eurostop, che, chissà perché, limitano il bilancio alle vicende del primo conflitto, e nessuna lezione ritengono di dover trarre dal decorso successivo, quello che, attraverso l’autentica debacle e tragedia proletaria della seconda guerra mondiale, conduce a questo difficile presente. Rimandiamo necessariamente ad altra occasione e sede trattazioni più ampie dei meriti maldestramente chiamati in causa dagli Eurostop. Qui ci limitiamo ad annotare che gli Eurostop di buone intenzioni, volendo ammettere che ce ne siano, colti da disperazione per quel che vedono dalla fotografia del presente, un proletariato metropolitano e internazionale pericolosamente assente e in ritardo sui propri compiti, per nulla organizzato politicamente e al carro di mille diversi programmi borghesi, ripiegano su tatticismi ritenuti a portata di mano e si adattano a declinare in un cacofonico “sinistrese” il programma del sovranismo nazionale, così confidando di avere audience e seguaci. Ritenendo tramontato per sempre il programma di classe, si illudono che possano almeno essere verniciati di rosso pallido certi programmi borghesi.

Noi anche vediamo il grave ritardo della nostra classe internazionale. E’ la conseguenza della vittoria del capitalismo negli anni ’20 del secolo trascorso con ultimi tentati assalti rivoluzionari negli anni ‘30. Da allora il proletariato metropolitano non ha più avuto la forza di brandire il programma della Rivoluzione Proletaria per abbattere il capitalismo e mettere fine ai suoi orrori. Da allora il proletariato delle metropoli è tornato a subire il giogo del capitale. Se nella prima guerra, grazie al partito che mai è mancato, è stato in grado di lanciare la guerra di classe contro e per porre fine alla guerra imperialista, nel ’39-’45 non è stato in grado di rilanciare la battaglia, subendo (non senza resistere in assoluto, e sia onore alle migliaia di soldati tedeschi fucilati perché renitenti o passati al nemico!) cinque anni di massacro fratricida e di devastazioni inaudite, consentendo al capitalismo di completare fino in fondo il suo programma di ridefinizione delle gerarchie e di generale rilancio delle proprie condizioni di sviluppo e del proprio dominio. Quindi poi ha attraversato, in quanto classe per il capitale e sia pure lottando alla bisogna ma sempre entro l’orizzonte dato, un lungo ciclo di espansione del capitalismo e di illusoria integrazione nella sua affluenza. Sono trascorsi 100 anni dall’Ottobre e pochi meno dagli ultimi assalti rivoluzionari del proletariato tedesco (senza dimenticare altri assalti, ma ritenendo decisiva la partita giocata in quegli anni nelle città della Germania). Se leggiamo correttamente la storia dei 100 anni che ci separano dall’Ottobre, noi vediamo un proletariato europeo che, dopo l’isolamento e la sconfitta dell’Ottobre (decretata sul campo di battaglia tedesco), ha subito e attraversato la guerra e la “pace” del capitalismo imperialista, offuscando e rimuovendo lungo un lunghissimo arco storico la propria coscienza di classe e la prospettiva del Comunismo. Noi però riteniamo che, così come la forza espansiva del capitalismo ha permesso questo (avvalendosi del mero effetto secondario e derivato della controrivoluzione staliniana declinata in tutte le diverse varianti nazionali), al tempo stesso le contraddizioni del capitalismo -di difficilissima soluzione- condurranno nuovamente l’umanità lavoratrice al bivio dove o ci si infila in un nuovo baratro di distruzione o si prende in carico una vera rottura con l’ordine esistente e una nuova rotta per proseguire il cammino.

Noi crediamo che il proletariato mondiale sarà spinto dalla necessità di respingere il baratro nel quale il capitalismo vorrà nuovamente precipitarlo. I comunisti sono impegnati a far sì che, chiudendosi la parentesi controrivoluzionaria che dura da quasi novanta anni (e cento di anni ne ha fatti l’Ottobre), il proletariato riconquisti e rilanci l’integrale programma di classe per regolare per sempre i conti al capitalismo come unica via d’uscita valida non per la “propria” nazione borghese, ma per la propria classe internazionale.


20 marzo 2017