nucleo comunista internazionalista
note




DOVE STA LA SLOVENIA?


La “libera informazione” nazionale (“nostra”) ci può anche rendere puntualmente edotti delle gravidanze pro-reali britanniche o della Belen, ma, anche sul suo versante di sinistra “alternativa”, si è dimenticata di informarci delle rivolte sociali di piazza in Slovenia, paese – se non andiamo errati – non agli antipodi dell’Italia. Però...

Sul finire dello scorso anno questo tranquillo e pacifico stato, che “noi” abbiamo contribuito a rendere indipendente dalla morsa jugo-serbista, è stato scosso da un’ondata di proteste di massa (diciamo pure “popolari”, vista la trasversalità di essa e l’assenza di un chiaro indirizzo di classe; il che ci impedisce di etichettarle come “proletarie” – e poi si vedrà!–) contro le misure di austerità che, in conformità con le regole generali ed impersonali (con o senza la Merkel) del capitale europeo in questa sua fase assai poco idilliaca, hanno colpito i salari, le pensioni (ovviamente protratte nel tempo, oltre che alleggerite di peso), l’impiego stabile in ritirata, i prezzi dei beni di prima necessità etc. etc. E precisiamo subito che l’ondata delle proteste di cui sopra non si è affatto, sin qui, smorzata; al contrario...

Eravamo alla vigilia delle elezioni presidenziali e, toh!, “ieri pomeriggio la capitale Lubiana era in stato d’assedio con i poliziotti in assetto anti-sommossa che presidiavano i palazzi del governo, della presidenza della Repubblica e del Parlamento”, con 10.000 persone in piazza non proprio tranquille, visto l’avvertimento della polizia ai deputati “di non occupare, per motivi di sicurezza, la propria stanza” (Il Piccolo, 1 dicembre 2012). E, qualche giorno dopo, a Maribor la cosa si è ripetuta “provocando” 140 arresti tra i manifestanti. “Sta di fatto che nelle scorse ore si è parlato di un possibile impiego dell’Esercito nelle strade delle città slovene per garantire l’ordine”. (Ricordiamo di sfuggita che l’intera Slovenia non conta che 2 milioni di abitanti e su questo dato vanno soppesati i numeri in campo).

E’ vero: costoro “avevano tra le mani i garofani simbolo di una «rivoluzione» non violenta”, ma, evidentemente non tanto da non esigere schieramenti anti-sommossa e manette. Questi “arrabbiati”, come li chiama Il Piccolo di Trieste, “se la prendono anche con i giudici e i sindacalisti additati assieme ai politici di essere la causa dell’attuale catastrofe socio-economica. La protesta non ha, per ora, una matrice politica”. “Non siamo né di sinistra né di destra, siamo i «truffati», gridavano ieri in Kongresni Trg a Lubiana”.

Su questo tema vanno svolte alcune considerazioni.

La Slovenia “affluente” nel quadro della Federativa jugoslava poteva ben presentarsi, nella demagogia dei suoi esponenti indipendentisti, legati a filo doppio con l’Occidente, come un paese cui bastasse solo liberarsi dal vincolo jugoslavista per accedere al benessere universale della libera Europa. Il proletariato sloveno non è stato in nessuna occasione la punta di diamante di questa rivendicazione, ma – per ragioni storiche molto complesse – non è riuscito neppure a darsi una prospettiva “altra”. I resti del “titoismo” in salsa slovena si sono accodati alla petizione indipendentista o, quanto meno, non l’hanno saputa contrastare. Il proletariato sloveno, passato dall’euforia “autogestionaria” alla esautorazione di ogni e qualsiasi “potere” in proprio entro il sistema, grazie all’azione del partito e dei sindacati di regime cui aveva all’inizio entusiasticamente aderito, non si è trovato, sin qui, nelle condizioni di darsi una propria organizzazione alternativa, abbarbicato com’era alla difesa (illusoria) delle “conquiste” economico-sociali precedentemente realizzate, che tuttora s’immaginava di veder difese da pezzi del sistema politico vigente dichiarantisi ad esse fedeli. Solo che questi “amici della classe operaia” l’hanno immediatamente lasciata in braghe di tela dopo aver costruito su di essa le proprie fortune (politiche e finanziarie).

La gioventù slovena, ignara o repulsiva rispetto alla storia della lotta di liberazione nazionale (borghese in veste “comunista”) da cui derivava, si è fatta facilmente abbacinare dalle promesse di liberazione dal peso dell’apparato burocratico (francamente insopportabile) del “titoismo” per consegnarsi alle sirene occidentali di una affluent society generosa con tutti (e in particolare per i concorrenti non proletari al posto al sole). Le “sinistre” (del capitale) emerse da questo bailamme l’hanno assecondata in questo inganno promettendo il mantenimento “in avanti” delle vecchie sinecure da povero, ma non indecoroso, welfare state, salvo poi a rendersi protagoniste “responsabili” in prima persona delle esigenze euroborghesi di tagli radicali alle “spese insostenibili”, prima quelle “superflue”, poi quelle stesse essenziali. Ieri pane, latte, carne, abitazioni, spese di riscaldamento, cure sanitarie (comprese le ferie gratuite nelle stazioni termali, oggi appannaggio della “clientela estera”) erano una cosa ovvia, anche se toccava poi sopportare norme chiesastiche di indottrinamento ed inquadramento burocratico indigeste; oggi, tutto questo viene tolto d’un colpo in nome di una “razionalizzazione” capitalistica che vede da una parte un settore della società sfrecciante in Ferrari ed una massa di “popolo” ridotta ai minimi della sussistenza. Anche per il pane! C’è quello, ancora, “normale” alla portata di tutti (e non si sa per quanto!) e quello per l’élite che costa varie volte tanto.

Senza matrice politica la protesta attuale?

Notiamo, intanto, che la partecipazione alle elezioni si è rivelata minoritaria. L’appello alle urne, coi soliti “sinistri” (alla Bersani) prodighi di promesse di un “meno peggio”, non ha incantato le masse. La “socialdemocrazia” ha già fatto qui le sue prove quanto basta. Certo, l’astensionismo non basta e men che meno è premessa, di per sé, di un posizionamento di classe, o addirittura rivoluzionario, ma è il sintomo dell’afflosciarsi delle prospettive (conservatrici borghesi) del parlamentarismo. Verrà il momento in cui ci interesseremo sul serio del parlamento borghese: e sarà per distruggerlo. Un buon sintomo, comunque, la cognizione che nulla c’è da aspettarsi da esso, ma solo dal partecipazionismo di lotta.

Ma come ne potranno uscire i “truffati”? Per noi la cosa è chiara: il riposizionamento di questa massa in azione su un terreno di classe, con una propria organizzazione di partito, un proprio programma comunista rivoluzionario. Ne siamo molto distanti? Sicuramente, ma questa è la strada obbligata che spetta a noi, e ai pochi militanti sloveni tra i quali questa prospettiva si va delineando, indicare.

Qualche cretino ci spiegherà che dicendo questo vogliamo “sovrastare” l’attuale movimento spontaneo in termini “ideologici”, “svalutandone” le ragioni e la forza. E’ vero il contrario. I comunisti conseguenti sanno benissimo che il movimento vale in quanto deve scontrarsi con dei muri materiali da abbattere e non accordarsi a delle “idee” in loro intellettuale possesso. Ma è scientifico che questi muri sono quelli del capitalismo e che i decisivi colpi d’ariete contro di esso non saranno i garofani, ma la guerra civile, alla cui testa ci sarà il partito, di cui noi già qui vediamo i primi passi. Già vediamo attivi nella difesa della protesta sociale settori dell’intellighentzija e dell’arte che se ne stanno facendo carico. Non è ancora il proletariato in massa? Non è una novità nella storia, ma “poca favilla gran fiamma seconda”; su questo non abbiamo dubbi.

Con questa divorante passione noi salutiamo la gestazione in atto del futuro che ci attende anche nella nostra vicina Slovenia, forse un tantino più in avanti delle pastette elettoral-alternative che qui in Italia si continuano a proporre come “alternativa”.

11 gennaio 2013