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SE SI MUOVE
IL DONBASS
PROLETARIO


A tre mesi dalla vittoria, o vittoria di Pirro, di Majdan che ha installato a Kiev un governo di marionette CIA il cui compito primario sembra quello di provocare in continuazione le popolazioni russofone del sud-est e dietro ad esse la Russia, la situazione nel paese spaccato in due è giunta a un punto delicatissimo.

Putin, sempre di più autentica bestia-nera dei campioni “della libertà e della democrazia” ossia del tridente Wall Street-Pentagono-Hollywood i quali hanno deliberatamente fatto schiudere le uova del serpente sul quadrante ucraino (secondo copione: vedi Libia, Siria ...), parla nella immediata vigilia del referendum del 11 di maggio per l’autonomia/secessione della regione del Donbass di “situazione molto pericolosa che può condurre verso la guerra civile o la guerra internazionale”.

Putin non parla a vanvera, egli è un capo politico borghese con la testa sulle spalle: guerra civile O guerra internazionale cioè a dire scontro fra la Nato, braccio armato dell’imperialismo democratico, contro le armate russe! E di sicuro egli – esattamente al contrario di quanto vomita la propaganda del campo democratico- imperialista – intende, intenterebbe scongiurare con tutte le sue forze un tale drammatico e pauroso esito non avendo la Russia borghese e capitalista che egli ha riorganizzato e rappresenta nessunissimo interesse ad una situazione di caos e di guerra.

Putin e la Russia non hanno altro interesse, non avrebbero altro interesse “se lasciati in pace”, che il fluire incessante degli scambi, degli affari, del pieno e profittevole progredire del business insomma, nel “reciproco” interesse fra le parti, fra i soci in affari. “Reciproco” soprattutto con i soci europei, Germania in primo luogo. Ma è esattamente lo sviluppo e il consolidarsi dell’intreccio di affari e business quindi di reciproci interessi capitalistici sull’asse Berlino-Mosca che il tridente di cui sopra, sulla pelle delle popolazioni ucraine e con la piena partecipazione non solo dei suoi tradizionali cavalli di Troia polacchi e baltici ma di tutta la vassalla Unione Europea, intende minare. Quanto e fino a che punto la borghesia tedesca sarà disposta ad adeguarsi e a seguire la linea di guerra tracciata da oltre l’atlantico è tutto da vedere. Per intanto registriamo che è, guarda caso, dalla stampa tedesca ad uscire la notizia dei 400 mercenari impegnati al fianco della soldataglia di Kiev nelle spedizioni terroristico-punitive contro le popolazioni del sud-est dell’Ucraina. Popolazioni del sud-est, cuore industriale-produttivo del paese, sollevatesi, dopo la vittoria di Majdan, per una elementare e sacrosanta necessità di auto-difesa.

Auto-difesa su un duplice fronte. Primo: quello necessario a contrastare la discriminazione russofoba, il vero e proprio odio “contro i russi” che, una volta schiuse le uova del serpente, ha preso ha soffiare liberamente a partire dalle miserabili regioni della Galizia (1) e da Leopoli fino a Kiev e coinvolge in una isterica agitazione, una massa di minutaglia piccolo-borghese, di lumpen-borghesia aizzata contro tutto cioè che è russo e che è “rosso”. Secondo: auto-difesa per difendere le basi materiali che finora hanno garantito il pane a centinaia di migliaia di proletari ossia la sopravivenza della struttura economico-sociale delle regioni orientali, giacché un governo di Kiev servo della Nato e dei banchieri europei e del FMI significa, significherebbe, il sicuro strangolamento dell’apparto industriale del Donbass.

Se questa spinta elementare e sacrosanta all’auto-difesa prenderà la strada fino alla secessione da Kiev con tutto ciò che comporta cioè la guerra civile su vasta scala e la possibile guerra fra stati, oppure se contenuta in un estremo compromesso di una federalizzazione del paese oppure ancora, come noi “auspicheremmo”, se a partire dalla roccaforte proletaria del Donbass riesca a sortire un movimento di massa il quale punti non a mettersi sotto le ali protettive di Mosca (che certamente sono protettive, vedi Crimea, dato il caos in cui si è precipitati e quello che si prospetta con governi nelle mani di Cia/Nato/FMI) ma, da quella roccaforte proletaria, punti a Kiev, punti a liberare Kiev e a ricacciare così in gola all’imperialismo la vittoria di Majdan, in questi “se” sta appunto la drammaticità del momento.

Drammaticità che ben presto ed in ogni caso è destinata a deflagrare anche qui, nella “libera e democratica” Europa ai cui popoli per intanto i regimi democratici provvedono ad inalare, attraverso l’insieme dei media, dosi massicce di istupidimento e di intossicazione. Ma, di qui a poco, e se non altro (ma ci sarà “dell’altro”) quando arriveranno le prossime bollette del gas salate, molto salate: contro chi dovremo indirizzare la nostra collera? E contro chi, gli infami regimi democratici che ci governano, che si sono girati dall’altra parte persino di fronte al massacro, allo scempio perpetrato ad Odessa il 2 di maggio, contro chi cercheranno di farci scagliare? Il punto di domanda è evidentemente retorico. La risposta è scontata: contro la Russia, anzi contro Putin e il suo “totalitarismo” che ci minaccia, che ci ricatta!

Siamo già, quasi senza accorgersene, in una fase di prove per la mobilitazione di guerra. Occorre tuttavia al momento registrare che, nonostante la forsennata campagna anti-Putin cioè antirussa lanciata dall’apparato dell’informazione cioè della disinformazione dell’intossicazione e del condizionamento infeudato ai cawboys americani (in Italia dal Corriere della Sera, all’Unità, al Fatto Quotidiano passando ovviamente per tutti i canali televisivi), una larga parte della popolazione, in base al calcolo immediato della convenienza borghese, permane passiva e scettica se non apertamente contraria ad una “avventura sconsiderata” contro la potenza russa il cui “peso specifico” è ...leggermente diverso da quello della Libia di Gheddafi o della Serbia di Milosevic. L’”Handelsblatt” ossia il giornale della confindustria tedesca (di nuovo: guarda caso) pubblica un sondaggio in cui si dice che “il 69% della popolazione tedesca è con Vladimir Putin e contro le sanzioni”! Sdraiati sui divani a guardare le partite di calcio e/o impegnati in null’altro che la dura lotta d’ogni giorno per sbarcare lunario, nessuno in Europa vuole “morire per Kiev”, non solo, ma nemmeno accetta di ...sacrificare qualche punto di Pil per Kiev. Stante questa situazione di (al momento) passività e scetticismo nel proprio fronte interno le borghesie europee “più responsabili” in primo luogo quella tedesca avvertono di non potere spingere le cose troppo oltre contro la Russia, tantomeno precipitare , al momento, in uno scontro armato di vasta portata. Con gran scorno di chi in America e fra i suoi cavalli di Troia polacchi e baltici in particolare avrebbe, temerariamente, una gran voglia di menare le mani. (Lasciando stare, fra chi vuol menare le mani, ovviamente la lumpen-borghesia filo-occidentale ucraina. Lasciando stare, ovviamente, l’isterica Julia Timoshenko la quale appena uscita di galera grazie “alla rivoluzione” di Majdan ha invocato lo sterminio dei russi in Ucraina, i missili su Mosca e una pallottola in testa a Putin)

Vi è dunque fra le centrali imperialistiche che hanno dato fuoco alle polveri in Ucraina una situazione se non di stallo strategico, senz’altro di profonda incertezza sul se e sul come andare fino in fondo alla criminale operazione che intanto è pagata sul campo col sangue dal popolo ucraino oggetto inoltre di un rapido e feroce attacco alle condizioni di vita. Leggiamo dalla corrispondenza di un giornale francese (Nouvel Observateur del 6/4/14) che “il cambio della moneta è in continuo saliscendi, i prezzi della carne, delle derrate alimentari e della benzina sono quasi raddoppiati in un mese”! E poi, la bolletta del gas: +50% dall’inizio di maggio e i salari che arrivano in ritardo e spesso decurtati causa il blocco parziale e le interruzioni in tante attività produttive ... Mentre insomma le cancellerie borghesi trescano per mettere a punto i loro sinistri piani di assoggettamento e di rapina, si è aperto nel paese il feroce fronte di guerra sociale che, questa volta, oggettivamente accomuna ed affascia e non divide le genti che, dal Donbass a Kiev, del proprio lavoro vivono. Sotto l’incedere feroce della guerra sociale del capitale contro le masse popolari ucraine (che mentre scriviamo l’UE cerca di tamponare con la concessione in emergenza di prestiti per qualche miliardo di euro al governo di marionette installato a Kiev) la classe lavoratrice dell’Ucraina tutta è di necessità sospinta a scendere in campo, è sospinta a battersi. Una classe certamente traumatizzata dalla piega catastrofica presa dagli eventi in repentina successione dalla vittoria di Majdan. Colta certamente impreparata, tanto nelle regioni centro-occidentali quanto nello stesso Donbass, nerbo centrale e concentrato del proletariato ucraino, dove in quanto massa critica decisiva è stata (e lo è per molti versi ancora, come qui di seguito vedremo) in posizione di prudente e preoccupatissima attesa. Ma che ha in sé, in potenza cioè ancora inespresse, tutte le energie per rovesciare i tavoli di quelle cancellerie e dei puppets ora al governo. Per non essere Oggetto, dilaniato al seguito delle diverse fazioni borghesi, bensì Soggetto attivo, nevralgico e decisivo dentro alla catastrofe che si para innanzi al paese, ammesso che non vi sia già risucchiato.

La massa della classe lavoratrice non è stata partecipe di Majdan nemmeno quella di Kiev e delle regioni centrali. Semmai, in quelle regioni, è stata attonita ed alla finestra ed ancora, in quello stato di impotenza, lo è. Ma se il governo di marionette/Cia non riesce nemmeno a tollerare le voci dissidenti che si levano persino dentro le mura della Rada, voci tacitate a suon di cazzotti dai gorilla della maggioranza “democratico”–fascistoide così tanto cullata dalle cancellerie del “mondo libero e civilizzato”; se un tal governo deve incassare il sostanziale rifiuto a far fuoco sui fratelli di lingua russa opposto dalla truppa dell’esercito regolare spedita vanamente a reprimere il movimento popolare di auto-difesa insorto nelle regioni sud-orientali, al punto dal dover utilizzare in questa operazione da Waffen-SS la costituita guardia nazionale ossia la guardia pretoriana e sanguinaria ove si è provveduto ad arruolare in numero di decine di migliaia la feccia umana protagonista e vincente a Majdan e a supporto le centinaia e centinaia di “consulenti” e mercenari stranieri; tutto ciò significa che il nuovo regime “democratico”–fascistoide non ha nel paese intero alcun solido consenso fra la massa popolare. Siamo certi di non sbagliare quando affermiamo che, nonostante tutto, nonostante la forsennata campagna di aizzamento nazionalistico indirizzata contro l’elemento russo essa non è riuscita a trascinare nel suo folle vortice la massa della classe lavoratrice delle regioni centro-occidentali. Perciò ribadiamo: la classe lavoratrice di Ucraina ha pienamente in sé tutte le energie per resistere all’assalto cui è sottoposta, e ribaltarlo. Allo stesso tempo diciamo subito che verso un tale movimento di classe e di enorme valenza TANTO spingono le obiettive condizioni materiali TANTO AL CONTRARIO CONGIURANO, nella profonda e ultima sostanza delle cose, tutte le diverse forze borghesi presenti oggi sul campo che pur si scontrano a mano armata contendendosi i destini del paese, per le quali – tutte e diverse forze borghesi (che noi certamente non equipariamo) – il proletariato è, e deve rimanere, oggetto passivo o massa complementare di manovra. Mai e poi mai vero soggetto protagonista, trascinatore e risolutore della guerra sociale.

La giostra sanguinaria azionata dai campioni criminali del “libero e democratico” occidente mette in movimento e coinvolge quindi un complicato intreccio di forze. Le forze esterne al paese dell’imperialismo occidentale con le loro mire non coincidenti: i falchi di Obama/Kerry (e dei repubblicani Usa ovviamente) e le “colombe” alla Merkel. Quelle contrapposte di una Santa (borghese) Madre Russia mobilitate in funzione di legittima difesa dei propri interessi nazionali e delle popolazioni russe fuori i confini (gli attuali confini). Ed inoltre, intorno all’urto fra questi pachidermi capitalistici, l’agitazione sotto le ali della Nato di certi insetti, come quelli di Varsavia per esempio, i quali contano di allargare la loro sfera d’influenza, magari riprendendosi Leopoli. (2) O quelli di Budapest che si ergono a protezione (aprendo a un dialogo con Mosca) della minoranza magiara della regione ai piedi dei Carpazi, popolazione anch’essa minacciata dalla feccia ultranazionalista fascistoide ucraino-galiziana. Ed, all’interno del paese: una borghesia stracciona, una lumpen-borghesia la cui forza può derivare soltanto dallo stare in affitto a questo o a quello dei centri decisivi del potere capitalistico, che stanno tutti al di fuori di Kiev. Una borghesia stracciona ad onta della montagna di denaro accumulata dai vari boss-oligarchi del settore minerario, della metallurgia, dell’agroalimentare ecc. Autentici pendagli da forca che spostano la loro influenza, fiutando il variare del vento per la convenienza dei loro affari, ora verso Ovest ora verso Mosca. Pendagli da forca che si ingrassano e parassitano sul lavoro dei salariati e sulla condizione di stato-cuscinetto del paese i cui traffici economici sono vitalmente intrecciati alla Russia ed allo stesso tempo aperto alle scorribande del capitale occidentale. Di questa borghesia-stracciona è rappresentate naturlich anche il Partito delle Regioni del deposto Yanukovich, formazione politica, parassitante sul proletariato, che con ampio sostegno elettorale rappresentava nella “camera di compensazione” del governo centrale le istanze “del territorio” (con annessi ...”interessi dei proletari” in quanto rotelle del sistema) del Donbass e delle regioni sud-orientali in generale. Per rendere plasticamente la cosa potremmo azzardare la seguente equazione: il Partito delle Regioni sta (o stava ché non sappiamo esattamente la sua sorte attuale. E’ probabile che molte delle sue strutture fungano da supporto al movimento popolare di auto-difesa divenuto nel frattempo, dopo il referendum del 11 maggio, Repubblica Autonoma Popolare del Donbass) al Donbass = ...l’Udeur di Clemente Mastella sta (o stava, non sappiamo se sia ancora “viva” l’Udeur) a Ceppaloni. E ci perdoni l’ex presidente Yanukovich per l’irriverente paragone.

Una massa disperata di piccola-borghesia che, nelle regioni occidentali d’Ucraina, per una parte è inebetita dal perdurante e agognato miraggio della western way of life dall’altra fornisce la base di massa alle formazioni armate ultranazionalistiche-fascistoidi le quali mentre svolgono la loro opera da squadristi SS sanguinari e minorati mentali, sotto direzione Cia/Nato, contro i russi e contro “i rossi” al tempo stesso delirano di “una rivoluzione nazionale e popolare” da portare a compimento contro “il potere degli oligarchi”, contro “la corruzione” e contro le “congiure ebraiche” naturalmente, come da manuale per ogni buon social-nazionale che si rispetti. Una massa che dopo essere stata usata come ariete armato a Majdan dovrebbe essere emarginata e liquidata per evidenti questioni di “presentabilità democratica” da parte di un governo borghese minimamente “autorevole”, ma la cosa non è (e non sarà) facile né indolore, il che segnala ulteriormente l’assoluta debolezza del regime uscito vittorioso da Majdan.

Ed infine l’elemento centrale e decisivo ossia la classe lavoratrice, il proletariato di cui abbiamo sopra detto. Esso, dentro al centro dove la sua forza è concentrata cioè il Donbass, ha cominciato perlomeno dalla metà di aprile a mordere il freno, a dare chiari segnali di voler passare all’azione. Sono, alla fine di aprile, i primi scioperi dei minatori che hanno coinvolto alcune migliaia di proletari. Sono le schiere di centinaia di minatori che ora (dalla metà di aprile) si presentano organizzate alle barricate erette, nelle città operaie insorte, dal movimento popolare di resistenza e autodifesa e, contemporaneamente, il totale fallimento dello sciopero indetto dal “sindacato indipendente dei minatori” in appoggio al governo di Kiev dietro la maschera “per l’unità dell’Ucraina” che a Doneck ha miseramente raccolto l’adesione di un paio di migliaia di studenti. E’ lo sciopero di altri pozzi minerari dei primi di maggio da cui per la prima volta esce la richiesta di uno sciopero generale. Al che le antenne non del solo padrone di quelle miniere, il boss-oligarca del Donbass Rinat Akhmetov ma di una gamma di forze borghesi devono essersi rizzate. (Si veda la documentazione qui riportata)

Abbiamo letto di una “semplice” ma grande verità dichiarata da un dirigente del Partito “Comunista” d’Ucraina, un partito le cui sedi sono violate e saccheggiate e i cui militanti sono braccati, alcuni selvaggiamente picchiati e torturati, per mano della feccia di squadristi e minorati mentali ultranazionalisti che scorazza impunita in una buona metà del paese. Le virgolette sono per un partito che alle ultime elezioni (2012) ha raccolto la bellezza del 13% dei consensi elettorali ma che né prima né dopo Majdan ha saputo tradurre questa notevole “forza” di carta in qualcosa che assomigli alla reale forza di classe, evidentemente perché impantanato e impastato fino al collo coll’andazzo e coi traffici parassitari del governo deposto di cui del resto faceva parte. Un partito “comunista” che lodevolmente si stringe attorno e a protezione delle statue di Lenin, fatte a pezzi in gran numero dai branchi di teppisti-minorati mentali. Un partito ai cui militanti va la nostra solidarietà, come a tutti i perseguitati dal regime “democratico” instaurato dalla Cia, nonostante la certezza nostra che se il Lenin vivo uscisse dalle sue statue di pietra per prima cosa farebbe di prendere sonoramente a calci un tale partito così grande e gonfio di “forza” elettoral-cartacea tanto nullo e vuoto di contenuti e prospettive di classe. Ebbene qual è la “semplice” ma grande verità enunciata dal dirigente “comunista” ucraino? E’ in questa frase: “Quando tutti i minatori saliranno dal sottoterra, allora al governo non resterà che entrare in clandestinità”.

Così è, così sarebbe in effetti. Un pronunciamento proletario di massa nel centro vitale economico-industriale del paese metterebbe, col suo stesso “semplice” emergere dal sottoterra, spalle al muro lo sgangherato governo di Kiev ed i suoi protettori e manovratori occidentali. Se si pensa alla formidabile forza d’urto dell’ultimo grande pronunciamento proletario di massa nel Donbass, quello del 1989 che diede una spallata decisiva a far saltare gli equilibri sui quali si reggeva l’allora URSS, allora niente di simile a quella formidabile dimostrazione di forza della classe si è al momento manifestata. Ma ciò è semplice e banale registrazione dello stato delle cose. Meno banale è la comprensione di come nessuna delle forze in campo operi realmente per gettare sul piatto la spada della forza di classe proletaria. Non la dirigenza del movimento di auto-difesa ora divenuto di auto-determinazione dei territori del Donbass il quale certamente invoca ed applaude alla presenza sulle barricate “delle delegazioni” delle miniere e delle fabbriche ma, rigorosamente, in quanto “parte del popolo” e non certamente come soggetto portante e protagonista sulla cui azione di massa basare la resistenza prima e poi la controffensiva contro la Junta di Kiev. Non certamente la “potenza amica” dello stato russo (da cui quei territori dipendono sul piano del collegamento economico-industriale) per il quale, come per ogni potere statale borghese, un dispiegato schieramento della forza proletaria rappresenta un problema di non facile gestione.

Potrà forse sorprendere il fatto che nei primi scioperi, verso la fine d’aprile, le rivendicazioni dei proletari o per meglio dire quelle della organizzazione sindacale dei minatori che ha indetto la lotta, fossero “meramente” economiche, per quanto grande sia il valore anche di un solo centesimo di euro in più sul magro salario per chi si guadagna il pane scavando carbone a mille e passa metri sottoterra, mentre il paese è sull’orlo del baratro e le loro città e villaggi stretti d’assedio. Quasi un volersi ritrarre, come massa decisiva, come classe, dalle “questioni politiche”. In quella fase i proletari delle miniere partecipano al movimento popolare di auto-difesa e di resistenza in gruppi ristretti, alla spicciolata. E lo fanno, spesso una volta finito il turno di lavoro, sotto minaccia di sanzione e di licenziamento da parte del padrone. Ma, è passato un mese – e siamo alla metà di maggio – che ora non sono più i proletari ad avere paura. E’ il padrone adesso a temere! Leggiamo da La Stampa (ed. on line del 11/5): “Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco del paese, il re del Donbass ex finanziere del deposto Yanukovich ha esortato Kiev a non usare l’esercito contro il ’pacifico Donbass’ ma d’ascoltarne la voce annunciando addirittura ’brigate di volontari’ tra i propri dipendenti per mantenere l’ordine assieme alla polizia municipale a Mariupol”. Come non interpretare la mossa di questo oligarca-pendaglio da forca e “re del Donbass” se non con estremo tentativo di prevenire e scongiurare quello che più si teme come la peste ossia l’eruzione dal sottosuolo, in questo caso letteralmente, della massa proletaria delle miniere?

Per intanto allora, nella guerra sociale che si è aperta, non “noi diciamo” ma i dati di fatto segnati sul campo sono i seguenti.

I proletari delle miniere, vero e proprio reparto d’elite della classe operaia ucraina, hanno realizzato che la vittoria di Majdan cioè la manomissione del paese ad opera del capitale occidentale significa un attacco mortale alla loro vita, al loro futuro. “Non vogliamo finire servi degli americani né dei banchieri dell’UE e del FMI”! abbiamo sentito gridare con rabbia ed orgoglio – e fucile alla mano – sulle barricate di molte cittadelle operaie del Donbass. Essi si stringono, con le loro donne e i loro figli, a difesa delle loro comunità. Essi sanno, perfettamente sanno, della forza racchiusa nella loro massa concentrata. Di loro stessi dicono: “è difficile smuovere e portare alla sollevazione i minatori” ed aggiungono: “ma una volta lanciati niente ci può fermare”.

E’ vero: i proletari non si fanno trascinare in nessuna avventura. Nel loro sentimento collettivo che vive e si agita nelle profondità, quanto profondi sono i cunicoli dove si estrae il carbone, dove si estrae il profitto, “sentono” la gravità del momento e l’enormità del compito che hanno innanzi. Essi “sentono” il peso della responsabilità che sulle loro spalle grava: cacciare un governo di infami è, forse, la più lieve di queste responsabilità. Al contempo essi “sentono” il peso della impreparazione della classe lavoratrice a rivoltare il paese come un calzino, senza una propria salda organizzazione, senza un indirizzo di classe. Discutono, si dividono sul da farsi, esitano a muovere il passo fatale. PERO’ INTANTO E PER COMINCIARE NON IN GINOCCHIO DI FRONTE ALLA POTENZA DEL CAPITALE.

17/05/2014



NOTE

(1) In un, al solito acuto, articolo di Israel Shamir scritto alla fine del dicembre 2013 quando cioè sembrava respinto l’assalto della “rivoluzione brown” ed il presidente Yanukovich firmava in extremis un accordo (vantaggiassimo per l’Ucraina!) con Putin, mandando in bestia gli occidentali leggiamo: “La folla che grida a Majdan arriva prevalentemente (se non esclusivamente) dalla Galizia, una regione montusa al confine con la Polonia e l’Ungheria, a cinquecento chilometri da Kiev e gli abitanti della capitale quando parlano di Majdan dicono l’”occupazione galiziana”. I galiziani sono feroci nazionalisti portatori di un vero spirito ucraino. Furono per secoli sotto il dominio polacco e austriaco, come lo furono anche gli ebrei che però erano economicamente potenti. I galiziani sono sempre stati fortemente contro gli ebrei e contro i polacchi, e il loro gruppo etnico, durante la seconda guerra mondiale fece riferimento e sostenne Hitler, nelle operazioni di pulizia etnica dei loro vicini polacchi ed ebrei. (...) Per i galiziani, invece (a differenza delle regioni dell’est, ndr) entrare in Europa andrebbe bene. Il loro speaker a Majdan ha invitato i giovani ad ’andare dove ci sono i soldi’ e di fregarsene dell’industria. Loro si guadagnano la vita in due modi: affittando camere bed and breakfast ai turisti occidentali e lavorando in Polonia o in Germania come cameriere o come tuttofare.” A proposito dell’accordo acquisto con la Russia, in seguito poi stracciato, si dice: “Questo per l’Ucraina significa che non si sarebbe stato nessun default, non ci sarebbe stata disoccupazione di massa, non si sarebbe aperta nessuna riserva di caccia per i teppisti neo-nazisti di Svoboda, e le prostitute ucraine e i tuttofare ucraini da quattro soldi, sarebbero stati meno disponibili per i tedeschi e per i polacchi.” (cfr. Israel Shamir: “Cosa sta succedendo veramente nella crisi ucraina?”)

(2) “Stranamente” la cosa è passata quasi inosservata ma i primi a dichiarare “la secessione” da Kiev, nei giorni in cui la lotta di Majdan era ancora incerta, non sono state le regioni sud-orientali o il Donbass bensì le regioni occidentali e in particolare Leopoli cuore della minoranza polacca in Ucraina. Dal giornale Libero di giovedì 20/02/14, titolo: “Fuga dall’influenza russa. L’UCRAINA OCCIDENTALE PREPARA LA SECESSIONE. L’assemblea di Leopoli vuole responsabilità di governo”. Svolgimento: “la Naradnaja Rada di Leopoli, assemblea elettiva regionale, ha in pratica proclamato la secessione, condannando il ’regime di Kiev’ (Yanukovich sarebbe stato defenestrato da qui in qualche giorno, ndr) per le azioni compiute contro il popolo e annunciando di non voler prendere più ordini da Kiev”. Ora la questione dei polacchi di Leopoli è messa sotto il tappeto, essendo minoranza polacca e galiziani-ucraini tenuti insieme dalla comune lotta antirussa. Ma qualora questo mastice venisse meno e allentasse la presa, i polacchi di Leopoli potrebbero ritornare a rivendicare ad alta voce il ricongiungimento con la madre patria (peraltro legittimamente, come è stato per la Crimea. Se vengono a mancare, fra i lavoratori, le ragioni di classe su cui difendere l’unità statale, la quale non si può imporre con la forza a popoli che non ne vogliono sapere). In questa eventualità assisteremmo allora allo scannarsi reciproco fra polacchi e galiziani-ucraini attuali alleati e sfegatati nazionalisti antirussi. Insomma, una bella gabbia di matti non c’è che dire!





MATERIALI



24 aprile 2014 – GLI EVOCATI E “MITICI” MINATORI DEL DONBASS

Da Russia Today (canale televisivo) notizia che i minatori cominciano a muoversi (Pandora Tv riprende la notizia: si tratta per il momento di un movimento senz’altro limitato ad alcune miniere. Essi rivendicano aumenti salariali per arrivare a 600 euro mensili ... Questo inizio di scesa in campo del proletariato avviene il giorno che il governo fantoccio di Kiev è stato spronato da Joe Binden in “visita” a Kiev a riprendere l’attacco contro “i terroristi” dell’Est ... ndr) Qui di seguito una ulteriore precisazione sul movimento dei minatori e sulla sua connessione col movimento popolare di resistenza nel Donbass, tratta da Russia Today 24/4)

Kiev’s vision of democracy – creating a feudal state with regions under full control of oligarchs using their power over local jobs and salaries to suppress any kind of popular unrest – is backfiring, international relations expert Mark Sleboda told RT.

RT: The protests in Eastern Ukraine are not dying down – is there a particular sector of society that is driving them or where is this phenomenon coming from?

Mark Sleboda: Up to this point I would say that protests across the east and south Ukraine have been a good cross section of the society. Certainly the most active members have been a number of the ex-Berkut riot police officers, military veterans, particularly from Afghanistan and a number of police.

But a new phenomenon has emerged that one of the most important working sectors, working class industries of the eastern Ukraine, the miners have begun to participate in protests in increasing numbers. In Donetsk we saw about 200 join the protest many of them quitting their jobs in order to do so. As the oligarchs that the regime in Kiev has imposed to control the area have been threatening to fire their workers if they participate in the rallies. And just most recently, within the last two days the protests have broken out in the city of Krasnodon in the Lugansk region.

Miners have gone on strike and taken control of the local mining facilities and have started building barricades. And one of their first demands which was since increased was the reinstatement of 30 miners who have been fired for joining nearby rallies in support of this anti-putsch movement.

RT: The eastern part of Ukraine is known as the industrial area, what kind of unique challenges or conflict does it present for authorities in Kiev if the strikes and protests continue?

MS: The majority of Ukraine’s exports come from the east Ukraine. In many ways it is the real bread winner of the Ukraine in terms of industry. It has a large metals and mining industry and it also has a large defense sector industry which is intrinsically locked together with the Russian defense sector. In particular this mining industry which is starting to come forth, it employs about 500,000 people throughout the region, it provides about 15 percent of the country’s GDP and coal alone is 30 percent of Ukraine’s energy consumption. Therefore if this unrest continues and this regime that has taken power in Kiev is not able to control this region, both in terms of economics and in terms of energy, would make it almost impossible for this regime to last very long.

RT: So shouldn’t Kiev do everything it can to keep control and keep order in this very vital region?

MS: Well you would think that they would respond more diplomatically then they have. Their idea of diplomacy so far has been to install the oligarchs throughout the regions to directly control the regions as governors. Kind of like feudal kingdoms and with the assumption which has barren fruit that these oligarchs would fire people who participated in the protest, and also hire their own little private armies of thugs to help to discourage people from participating. And this so far has been their idea of democracy but unfortunately for the regime it seems to be backfiring completely and only seems to be fueling unrest.

RT: Do you think the miners will protest and what do you think will be the government’s response?

MS: Like I said, the miners’ participation so far has been slight. These developments in the city of Krasnodon is a major development. And we should watch in the coming days if this miner strike in this one city extends throughout the region of Lugansk and more importantly the neighboring Donbass region, to other mines in the area.

If that happens than the entire east will be up in arms and we would really be looking at Kiev losing complete control of the area, an increase tension and the threat of a civil war.

RT: Do you think the government will resolve that, or will just a threat of losing the region lead to cool heads prevailing?

MS: I’m all hope that that would be the case, but we have not seen any indication of that. Just within a few hours of vice president Biden’s leaving, we saw in Kiev yesterday the acting self-appointed president Turchinov declared that the anti-terrorist operations to repress the people in east and south Ukraine would recommence.

And just in the last few hours, we heard that the Right Sector leader, Dmitry Yarosh is sending 1,000 Right Sector paramilitary to the east to start to re-establish order on his terms. This certainly is not going to reduce tensions in the area.

RT: Do you think the West and the US in particular should push Kiev to engage in greater diplomacy?

MS: They certainly should but the indication of Biden, the Ukrainian regime has said publicly that they have the support of Washington to take action, to use military force, whatever they can manage, to repress the people in the east and south of Ukraine. So it does not seem that Washington is willing to back down or to consider the interest of the people of the east and south Ukraine.

* * * * *

23 avril 2014 – Première grève des mineurs du Donbass sous le gouvernement Maïdan.

Depuis hier soir les 5 mines de l’entreprise "Krasnodorougol", à Krasnodor, dans la région de Lugansk, sont en grève. Le miouvement est suivi à plus de 80% d’après la presse locale.

Cette entreprise fait partie du groupe SKM détenu par l’oligarque du Donbass et homme le plus riche d’Ukraine Rinat AKHMETOV, dont les hommes ont contrôlé politiquement et économiquement ce territoire pendant près de 20 ans.

En fin politique, AKHMETOV a, depuis janvier, fait un numéro d’équilibriste : soutien financier du parti des régions, il a donné de nombreux signes en direction du maïdan : Vitaly KLITSCHKO a, notamment été reçu en grandes pompes par Rinat AKHMETOV lors de sa visite à Donetsk et l’oligarque du Donbass a des relations suivies et cordiales avec les autorités allemandes (il a reçu notamment plusieurs délégations de parlementaires de la CDU au mois de février et de mars).

Or, l’un des fondements du mouvement de résistance du Donbass, en plus des questions linguistiques et politiques est la lutte contre le gouvernement du Donbass par les oligarques et ses leaders pointent souvent Rinat AKHMETOV.

La grève en cours a pour motif une augmentation de salaires de 200 $ par mois.

En effet, la hausse des prix, notamment de l’essence et du pain a été importante au mois de mars et une hausse des tarifs des frais d’habitation est aussi à prévoir.

Reste à savoir : le mouvement social va-t-il rencontrer le mouvement de résistance politique né de l’occupation des bâtiments publics dans le Donbass ?

De nombreux signes montrent que oui. Notamment le fait que le syndicat pro-maïdan des mineurs ("syndicat indépendant des mineurs") avait promis une grève générale des mineurs du Donbass "pour l’unité de l’Ukraine", à l’occasion des meetings du 17 avril à Donetsk et Lugansk. Or, cette grève a fait un flop et en fait de mineurs, on a vu surtout quelques 2000 étudiants d’écoles et de lycées ukrainophones se rassembler dans le parc de la victoire.

(dal sito “lemonderusse”)

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06 mai 2014 – Les mineurs du Donbass se mettent en grève pour défendre leur région.

Avant-hier à Enakievo (la ville natale de Viktor IANOUKOVITCH) a débuté le réveil des mythiques mineurs du Donbass. Le 4 mai, les mineurs de charbon de la ville se sont mis en grève et ont marché sur l’usine métallurgique d’Enakievo (propriété de l’oligarque Rinat AKHMETOV) en demandant la fermeture de l’entreprise afin de permettre aux ouvriers d’aller s’engager pour défendre leur région contre les milices de Kiev.

Aujourd’hui, ce sont les mines "Ioujnodonbass" N°1 et N°3, dans le ville d’Ougledar qui se sont mis en grève, ne laissant qu’un effectif minimum descendre au fond pour laisser la mine en état de marche. Ils ont envoyé une délégation à Donetsk pour monter sur les barricades devant l’administration régionale. Les autres se sont rassemblés devant la mairie et construisent des barricades pour défendre leur ville contre les "les troupes d’occupation de Kiev".

Une réunion du comité régional des syndicats de Donetsk est prévue cette semaine pour décider un appel à la grève générale.

Les "troupes de choc" du Parti des Régions, l’élite de la classe ouvrière refuse son extermination en tant que sujet politique et décide, petit à petit de se ranger au côté de la Résistance populaire du Donbass, pour défendre comme ils disent "notre pain, nos familles, notre ville, notre région". En effet, ils se rendent compte que la mise au pas du Donbass a aussi pour objectif de briser leur esprit de résistance pour aller docilement à l’abbattoir prévu par le plan du FMI qui prévoit l’arrêt du financement des mines déficitaires et la privatisation de l’intégralité du secteur charbonnier.

(dal sito “lemonderusse”)