nucleo comunista internazionalista
note




CONTRO L’ATTACCO
DEI VERTICI CGIL-FIOM
AI RAPPRESENTANTI AZIENDALI
DEI LAVORATORI
FIAT/FCA DI MELFI E DI TERMOLI

Sabato 11 giugno alcuni rappresentanti del secondo documento congressuale della Cgil “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione Cgil” (tra essi l’ormai ex-portavoce nazionale Sergio Bellavita) hanno annunciato a Roma in una assemblea con successiva conferenza stampa l’uscita dalla Cgil e l’adesione alla Unione Sindacale di Base – USB.

Hanno dichiarato di non voler subire “la torsione autoritaria” in corso nella Cgil e in Fiom dopo i recenti procedimenti disciplinari promossi dagli organi interni della Fiom dapprima contro i delegati delle due RSA Fiom della Fiat/FCA di Melfi e di Termoli e subito dopo contro Sergio Bellavita. Alla presidenza dell’assemblea romana era presente anche un RSA di Fiat/FCA di Melfi che ha annunciato l’uscita dalla Cgil, e nei giorni successivi si è avuta notizia di una decina di RSA Fiom di Fiat/FCA delle due fabbriche del centro-meridione che hanno fatto altrettanto. Di questi fatti aveva dato notizia il manifesto del 14/04/2016 con l’articolo di Antonio Sciotto dal titolo “La Segreteria ritira l’aspettativa di Bellavita: Il funzionario Fiom ’licenziato’ che ha tolto il sonno a Landini”.

Landini, riallineandosi alla Camusso, non solo ha digerito uno dopo l’altro tutti gli accordi e gli arretramenti in un primo tempo avversati, ma ora marcia all’unisono con la segretaria confederale, sia nella linea generale di sostanziale paralisi dell’iniziativa sindacale pur a fronte dei colpi assestati dal governo Renzi, del tutto simili a quelli sanciti dalla Loi Travail di Hollande, e sia nel tagliare le gambe all’opposizione interna de “Il sindacato è un’altra cosa”, senza affatto trattenersi dal mettere sotto tiro diretto le stesse rappresentanze operaie del secondo documento presenti e attive in alcune importanti fabbriche. Questa è la sostanza che emerge dai fatti, sui quali i galoppini dei vertici sindacali si sono subito spesi da un lato per spargere fumo sulle “gravi violazioni” commesse dai sanzionati, puntando a prevenire imbarazzanti manifestazioni di solidarietà del quadro intermedio e alla base a favore dei “reprobi”, dall’altro per minimizzare le “sanzioni” irrogate, laddove a nessuno sfugge la pesantezza della sconfessione da parte della Fiom nazionale e regionale dei delegati delle due RSA Fiat/FCA impegnate a indire e sostenere nelle fabbriche di Marchionne gli scioperi del sabato.

Centrale è dunque la questione degli scioperi. La Fiom di Landini ha cambiato indirizzo, in generale – lo abbiamo detto – e sullo scontro in Fiat/FCA. Qui la direzione aziendale, che lascia fuori dalla fabbrica molti lavoratori, pretende una sequela di sabati lavorativi. Le due RSA Fiom di Melfi e di Termoli (dove i delegati del secondo documento, prima dell’epilogo di questi giorni, erano numerosi e a Termoli addirittura in maggioranza), raccogliendo la richiesta degli iscritti e degli operai che non ce la fanno a sostenere i ritmi, hanno continuato a indire lo sciopero contro le nuove turnazioni e i sabati lavorativi (sottoscritti da Fim-Uil), e gli scioperi sono proseguiti con una buona partecipazione. Landini, che nel frattempo ha provveduto anch’egli a tributare riconoscimenti a Marchionne, non la pensa più come prima e gli scioperi in Fiat/FCA devono essere archiviati, sicché a un certo punto nella bacheca sindacale della Fiom di Fiat/FCA di Termoli è apparso il comunicato del segretario Fiom del Molise che ha sconfessato apertamente i delegati aziendali dichiarando che la Fiom regionale non aderisce agli scioperi in corso. E’ stato poi avviato un procedimento disciplinare contro 16 RSA Fiom del secondo documento di Termoli e di Melfi. Il cavillo i pubblici ministeri della Fiom lo hanno trovato nella pregressa partecipazione a un “Comitato lavoratori FCA Sud”. Poiché questo Comitato è stato promosso per iniziativa congiunta dei delegati Fiom e di rappresentanti di altri sindacati di base, si tratterebbe di un “coordinamento parasindacale” in quanto tale non ammesso e addirittura sanzionabile secondo statuti e regolamenti della Cgil. I delegati Fiom “processati” non sono stati espulsi ma sono stati dichiarati “incompatibili” ed “è stato posto il problema della loro rappresentanza”. Traducendo dal sindacalese: vi lasciamo la tessera e restate pure delegati aziendali (visto peraltro che a rappresentarli in Fiat/FCA li hanno votati i lavoratori! n.n.), ma se un tempo vi portavamo ovunque con noi , in ogni iniziativa, in televisione e finanche in parlamento, e se eravate il simbolo delle nostre battaglie e vi sostenevamo nella lotta contro Fiat/FCA, ora invece sappiate che non rappresentate più la Fiom.

Insomma una sequela di pugnalate alle spalle di operai che lavorano in Fiat/FCA, che hanno sostenuto in quelle fabbriche l’isolamento della Fiom nella stagione degli accordi separati sottoscritti da Fim-Uilm (e adesso i “probiviri” della Fiom gli imputano che è “incompatibile” coordinarsi con i sindacati di base!!), e che ora vengono isolati dal proprio stesso sindacato e offerti alla rappresaglia del padrone. Un passaggio cruciale, uno scontro duro e decisivo, dove i vertici sindacali hanno proditoriamente messo in condizione di estrema difficoltà questi lavoratori, i quali, avendo portato avanti la lotta e venendo colpiti per questo, possono superare questi scogli aguzzi solo con la solidarietà e il sostegno incondizionati dei lavoratori le cui istanze hanno rappresentato senza arretrare, ricevendone la forza che gli necessita per sostenere lo scontro contro il padrone e respingere il fuoco “alle spalle”, attivandosi al tempo stesso la più ampia denuncia di quanto è accaduto (questo è il compito di noi tutti) e con essa la solidarietà dei lavoratori dell’intero gruppo e in ogni altra azienda e categoria.

Vergogna quindi per direzioni che espongono alla rappresaglia del padrone le più avanzate linee dei rappresentanti votati dai lavoratori nei posti di lavoro più duri e difficili, rei di non essersi adeguati a tempo debito ai passi del gambero della danza di Landini e sodali. Contro la quale vanno ben messe in chiaro e denunciate tra gli iscritti e i lavoratori (purtroppo oggi in generale poco attenti e ancor meno reattivi, il che raddoppia la vigliaccheria delle direzioni) le pseudo-ragioni delle loro scomuniche, tenendo il punto sulla giustezza e necessità dello sciopero contro ritmi produttivi insostenibili e sulla piena “compatibilità” e anzi sull’assoluto dovere del coordinamento e dell’unità con tutti i lavoratori disposti alla lotta e con i loro sindacati, senza che la diversità della tessera possa mai essere addotta come “differenza” od ostacolo, respingendo l’assurda limitazione che osterebbe al coordinamento con i sindacati non graditi ai vertici, così come l’impropria connotazione di “attività parasindacale incompatibile”, senza accettare infine ostracismi verso i cosiddetti sindacati di base, gli unici disposti a offrire solidarietà e sostegno agli operai Fiat/FCA sotto attacco. Secondo la censura interna di Cgil-Fiom i lavoratori sarebbero titolati elusivamente all’ “attività sindacale”, da tenersi inoltre entro i binari strettissimi stabiliti dai vertici. Ogni debordo da questo letto di contenimento sostanzierebbe l’invasione di un campo ad essi proibito. “Parasindacale” vuol dire che si va oltre il terreno strettamente sindacale e ci si affaccia su quello dell’iniziativa “politica”, sfera che sarebbe preclusa ai lavoratori. Noi siamo impegnati a far sì che le scomuniche dei vertici, in una con il reticolato di assurde limitazioni, “incompatibilità”, divieti con i quali si punta a legare mani e piedi ai lavoratori più attivamente impegnati nello scontro, quand’anche nella contingenza immediata possano andare a segno, siano negli sviluppi successivi messi a fuoco a dovere e quindi respinti con indignazione e rabbia dalla base ben oltre il perimetro dei non pochi lavoratori che all’ultimo congresso hanno sostenuto il secondo documento.

Ai fatti di Fiat/FCA di Melfi e Termoli ha fatto seguito di poche settimane il “licenziamento” di Bellavita. A Sergio Bellavita, già escluso dalla segreteria nazionale della Fiom, è stata revocata l’aspettativa sindacale. Bellavita è stato destituito dal ruolo di funzionario e dirigente Fiom. Gli era stato revocato il distacco totale e sarebbe dovuto tornare al lavoro. Così stavano le cose in un primo momento, ma poi la Cgil è tornata sui suoi passi garantendo comunque un’agibilità totale, f ermo che anche Bellavita “pur potendo continuare a fare il portavoce del secondo documento, non rappresenta più la Cgil”.

Ciò detto, noi crediamo che la piega presa dalla discussione nelle assemblee nazionali del secondo documento non sia andata nella giusta direzione. Né pensiamo che la cosa migliore da fare fosse quella concretizzatasi nell’epilogo dell’11 giugno, quando una decina di compagni hanno annunciato – con la benedizione di Giorgio Cremaschi, già uscito dalla Cgil lo scorso settembre – l’uscita dalla Cgil e l’adesione alla USB, uscite poi aumentate di numero nei giorni successivi.

Per quanto abbiamo detto la discussione imposta da questi fatti e da fare è come rinsaldare le fila dell’organizzazione di classe e reggere lo scontro contro il padrone in Fiat, come organizzare la più ampia e concreta solidarietà a sostegno dei lavoratori e delegati in questo duro frangente, come rilanciare in generale la prospettiva di classe perché è questo quello che si deve fare contro attacchi che puntano a deprimerla e ricacciarla indietro.

Questi meriti sono stati sostanzialmente elusi l’11/06 e nelle discussioni che l’hanno preceduto. Né ci conforta l’accenno fugace di Sergio Bellavita nell’assemblea dell’11 che la prosecuzione del suo impegno in USB partirà proprio dal coordinamento di Fiat/FCA messo sotto accusa dalla Fiom, perché mettere a fuoco i termini precisi della gravissima situazione determinatasi in Fiat (facendo piazza pulita dei pressapochismi) e stabilire il da farsi per gli RSA sconfessati dai vertici e offerti alla rappresaglia di Marchionne era ed è un compito collettivo e assembleare di tutti, perché questo significava e significa mettere al centro il problema centrale e impellente per i lavoratori colpiti senza sfarfallare su aspetti secondari. Era questo il primissimo modo per far sentire a quegli RSA che non erano e non sono soli, e compito dei coordinatori e del portavoce era di garantire che la discussione assembleare (non solo le riunioni più ristrette, e noi temiamo che anche lì abbiamo dominato altri temi) si svolgesse su questi binari. Soprattutto dovevano garantire che la discussione non solo non eludesse il nodo imposto dai fatti, ma anche potesse svolgersi con la capacità di ricollegarne lo scioglimento allo scenario e alla prospettiva più ampi, centrando gli obiettivi di dare una risposta agli RSA Fiat e di non perdere di vista il quadro generale; magari mettendo in agenda lo scontro sociale esploso in Francia – riferimento anche questo sostanzialmente assente e derubricato nelle discussioni cui ci riferiamo –, concependo ad esempio un’iniziativa significativa in questa direzione, perché no! apertamente insieme ai “sindacati di base” – visto peraltro che la Cgil raccoglie firme mentre in Francia si lotta... –, così rivendicando e rilanciando a un più alto livello l’assoluta “compatibilità” dell’unità di classe contestata ai delegati Fiat/FCA! Un’assemblea nazionale esterna su queste basi, con tutti i contributi positivi di chi volesse aderirvi, mettendo al centro la questione Fiat/FCA e valorizzando il collegamento (reale e potenziale) con il movimento francese e le sue/nostre istanze. Forse ci siamo distratti, ma mai in questi mesi abbiamo sentito anche solo accennarsi all’idea di una qualche delegazione di lavoratori da organizzarsi con qualche pullman per andare a dare concreta solidarietà ai francesi scesi in piazza un’infinità di volte! Eppure la Francia è attaccata all’Italia!

Nulla di tutto questo. Dopo la solita trita e ritrita sequela di sterili appelli con nessuna sostanza e tantissime firme, nelle assemblee si respirava tutt’altro e tutto è stato concentrato sull’uscire o meno dalla Cgil.

Abbiamo avuto l’impressione che i delegati di Melfi e Termoli in questo vuoto di direzione e di politica sui nodi scorsoi che invece li attendono in fabbrica, abbiano finito per identificare la presa in carico collettiva del “proprio” problema con l’estremo tentativo di occupare la sala Di Vittorio di Corso Italia in occasione dell’assemblea del 12 maggio (per ottenere cosa dalla Cgil non era e non è chiaro) o, in alternativa e delusi, di condividere l’uscita dalla Cgil. Invece in quella assemblea è stato chiaro da molti interventi che, pur attaccata la classe operaia degli stabilimenti Fiat dalla pressione di Marchionne e dai processi farseschi della burocrazia Cgil-Fiommina, nessuna reazione o riposizionamento organizzativo di settori di lavoratori di una qualche ponderabile consistenza ci sarebbero stati nella contingenza data, segnata da sostanziale paralisi dell’iniziativa di classe in un quadro generale, quello italiano, correttamente messo fuoco e valutato nei suoi termini reali da molti lavoratori che hanno opposto ragionamenti validi alla proposta di uscire dalla Cgil. In queste condizioni la querelle “uscita-non uscita” ha monopolizzato la discussione e nessuno è stato più in grado di rimettere al centro la necessità di ragionare collettivamente per approntare una difesa collettiva dei delegati esposti nelle RSA sotto attacco. Questo merito, con tanta enfasi spesa negli interventi, non è stato né preso in carico e né raccolto. E’ questo il punto dolente.

Peraltro, e francamente detto, a noi suona stonato che i maggiori esponenti del documento “Il sindacato è un’altra cosa” (ci riferiamo ai primissimi firmatari della mozione, funzionari Fiom/Cgil di lungo e lunghissimo corso) dicano oggi: “confessiamo di essere incompatibili e ne siamo orgogliosi”, “nella Cgil non ci sono più spazi”, “la battaglia de ’Il sindacato è un’altra cosa’ si conclude con una sconfitta”, etc. etc.. Non siamo certo in vena di polemiche al vetriolo neanche con questi compagni, sentendoci tutti e anche noi parte di una comune difficoltà, ma non possiamo accettare che l’opportunismo che sottende certe tirate continui a disorientare i lavoratori e a organizzare sconfitte. Noi riteniamo che alla sconfitta dell’11 giugno (che per noi non era scontata sin dall’inizio, essendo possibile con tutt’altra conduzione ribaltarla nel campo avverso) abbia contribuito in modo determinante proprio la leadership del secondo documento. Se oggi questi compagni sottoscrivono in fretta l’ “incompatibilità” sancita a loro carico dai “giudici” della Cgil e cambiano aria, a noi questi conti non quadrano. Al terzultimo congresso della Cgil, quando già era stata costituita la “Rete 28 Aprile”, la scelta di questi compagni è stata quella di rinunciare a una battaglia di opposizione e di fare un congresso unitario: quel congresso infatti si fece sulle sole “tesi Epifani” e le velleità oppositive dei futuri “incompatibili” vennero affidate alla risibile foglia di fico di alcuni emendamenti proposti da Rinaldini e da Patta (futuro sottosegretario del governo Prodi). Al penultimo congresso l’ “incompatibilità” di costoro arrivò al punto di sciogliere la “Rete 28 Aprile” per confluire nel documento “La Cgil che vogliamo”, documento che non era, non voleva e non poteva essere (vista tra l’altro l’amplissima platea di ultracompatibili che lo sottoscrivevano) la base di alcuna battaglia di opposizione in Cgil. All’ultimo congresso, dopo aver passato un’intera vita ben all’interno di tutte le maggioranze e/o fintissime “opposizioni”, si è preso infine il coraggio di andare da soli con un documento che con tutti i limiti del caso critica la segreteria confederale. Questo vuol dire che appena l’altro ieri si è dato inizio a un nuovo scomodo percorso di almeno minimamente credibile opposizione. E cosa accade adesso, dopo le prime curve? I primissimi firmatari di questa battaglia (già rinviata di quinquennio in quinquennio spendendo tutti gli opportunismi del calendario e infine presa in carico con colpevole ritardo) non arrivano neanche al congresso successivo, perché alle prime scosse, con la proverbiale insostenibile leggerezza di un certo prototipo di essere, pigliano la palla al balzo e in un attimo tirano tutte le somme contrarie a quelle che hanno giustificato il loro precedente lungo e lunghissimo cursus honorum in Cgil e in tutte le sue impresentabili maggioranze congressuali!! Si direbbe: una resa lampo per una “sconfitta” annunciata! I sanzionatori della Cgil hanno detto ai delegati Fiat/FCA che il loro coordinamento “parasindacale” con i sindacati di base sarebbe “incompatibile”. A noi fa decisamente strano vedere quei dirigenti, mille volte nella maggioranza e sui palchi ufficiali (all’occorrenza difesi sguaiatamente contro le proteste di uno Slai-Cobas...), appropriarsi di questo sigillo di “incompatibilità”, stampigliarselo in fronte, dichiarare “chiusi gli spazi in Cgil” e cambiare casa!

Noi ci rivendichiamo militanti politici e aggiungiamo che l’impegno sindacale sul posto di lavoro è parte della militanza di classe. La cosiddetta “militanza sindacale”, ultra-citata nelle discussioni cui ci riferiamo, reticente in generale sul posizionamento politico e che irride in particolare la politica rivoluzionaria cioè la coerente battaglia di classe nell’organizzazione sindacale, non ci appartiene e anzi presenta ai nostri occhi più di un punto di contatto con la vituperata burocrazia (anche quando si connota di “sinistra estrema”). Chi vuol conoscere cosa pensiamo sul tema generale può leggere e richiederci l’opuscolo “Contributi sulla questione sindacale (e non solo)” del febbraio 2009.

In secondo luogo noi siamo lavoratori e ci viene da pensare che chi oggi dichiara “chiusi gli spazi”, che invece in Cgil sono chiusi da quel dì, guardi le cose da un altro punto di osservazione. Quali spazi si sarebbero chiusi solo adesso, se per condurre tra i lavoratori una coerente battaglia di classe seguendo al tempo stesso il cursus honorum degli incarichi funzionariali in Cgil gli spazi non esistono da tempo immemore e sarebbe ridicolo anche solo pensare il contrario?! Peraltro, chi si è tenuto sempre sul primo asse non solo se ne frega di quegli incarichi e non rincorre agibilità (mentre assume collettivamente gli incarichi voluti, dati e all’occorrenza difesi dai lavoratori), ma la Cgil proprio non la può e non la vuole rappresentare (mentre oggi sentiamo dire che, strappando i gradi ai compagni, la Fiom/Cgil ne avrebbe leso “la dignità” – !? –). Noi stiamo con i piedi ben piantati sul nostro asse e per terra: se abbiamo criticato dalla a alla zeta la passività della Cgil contro il Jobs Act e il resto, cui la segreteria confederale cerca di rimediare oggi con le ridicole raccolte di firme a sostegno della “carta dei diritti universali”, come potremmo mai “rappresentare la Cgil” a un bel banchetto per la raccolta delle firme, noi che – se le cose hanno un senso – né firmiamo e né invitiamo a firmare proposte di legge che lasciano il tempo che trovano e referendum avventati e pericolosi (dopo che su quei meriti è stata lasciata cadere ogni ipotesi di mobilitazione)? In quanto militanti politici e lavoratori noi siamo iscritti e ci impegniamo sui posti di lavoro e lo facciamo nel sindacato dato, quello dove è presente la parte più attiva e avanzata dei lavoratori per quel che oggi è. Chi del lavoro ha un lontano ricordo può ben pensare di continuare la “militanza sindacale” in Fiom o in USB, ma gli ex RSA Fiom usciti dalla Cgil farebbero un errore madornale se prescindessero dal considerare dove è collocata nella propria azienda la parte migliore della classe operaia. Ciò significa in generale che si può stare in Cgil, in USB o nel Cobas a seconda dei casi e che i riposizionamenti mai dovrebbero essere l’uscita di pochi, ma semmai la conquista collettiva e possibilmente di massa di condizioni più avanzate di programma e di organizzazione per l’insieme. Ben venga a queste condizioni il rafforzamento o la nascita di USB a Melfi e Termoli purché ne consegua un rafforzamento della complessiva organizzazione della classe rispetto alle condizioni già date; e su questo saranno necessari a tempo debito la verifica e un bilancio.

Tagliando corto, noi non sottovalutiamo minimamente né l’attacco del vertice Fiom ai delegati Fiat/FCA, né l’altolà dato al portavoce nazionale del secondo documento. L’attacco a Bellavita si collega all’attacco che punta a stroncare la prosecuzione degli scioperi in Fiat/FCA, ma va anche oltre perché è un attacco alla complessiva attività del secondo documento. Un’attività beninteso non irresistibile, ma che i fatti che commentiamo dimostrano non essere stata in questo breve inizio del tutto insignificante. Un’attività che a determinate condizioni, quelle mancate in questo delicato passaggio, può costituire una potenziale sponda di sostegno per i lavoratori che in non poche grandi fabbriche conservano tuttora, con crescenti difficoltà, una certa organizzazione e capacità di iniziativa contro il tritacarne capitalistico. Questo era e rimane il merito centrale cui dedicarsi toto corde nelle assemblee e nelle iniziative contro le sanzioni disciplinari: come far sì che la sponda da potenziale diventi reale, come organizzare e trasmettere ai delegati Fiat/FCA e a tutti i proletari sotto attacco nei posti di lavoro la solidarietà e la forza di una battaglia di classe che viene allargata e generalizzata a tutti i lavoratori iscritti e non alla Cgil e a qualsiasi altro sindacato e in ogni sede possibile, per far pagare il prezzo più alto ai vertici Cgil-Fiom e rintuzzarne l’attacco. Di questo avevano bisogno di discutere i delegati Fiat negli incontri nazionali e ce ne erano tutte le premesse posto che le assemblee del secondo documento hanno sempre raccolto la partecipazione di non pochi lavoratori provenienti da tutta Italia e da tutte le aziende più importanti. Invece di mettere a frutto occasioni del genere, è andata in scena la commedia dell’ “esco/non esco”. La cosa peggiore è darla vinta ai vertici Fiom e Cgil che hanno sferrato l’attacco e consentirgli di portare a segno il servigio offerto a Marchionne. I compagni usciti dicono che così non sarà e noi vogliamo credergli, anche se pensiamo che l’uscita del portavoce e di altri non siano precisamente il miglior modo di rintuzzare questo attacco. Nel documento “Il sindacato è un’altra cosa” è scritto l’impegno della Cgil a coordinarsi e realizzare l’unità con tutti i lavoratori e con tutti i sindacati e anche con i sindacati cosiddetti di base. Quel documento ha ricevuto nei congressi di base della Fiom il 12% dei consensi: non sarà “la linea della Cgil”, ma in Cgil è una posizione che è stata finalmente portata nella discussione congressuale dove è stata legittimata dal voto di non pochissimi lavoratori. Non sarà “la linea”, ma né Camusso né Landini possono dire che l’unità sindacale con tutti i lavoratori e con tutti i sindacati è “parasindacale” e “non compatibile”. Su questo occorre far pagare il prezzo più alto a Camusso, Landini e sodali e sconfiggerli, il che è possibile, perché – pur alle basse temperature sociali dell’oggi – vediamo ripetersi i casi di coordinamenti e associazioni unitari di tutti i sindacati senza esclusioni a sinistra voluti e imposti dai lavoratori che, attaccati pesantemente, si mobilitano per difendere innanzitutto il proprio posto di lavoro e a tal fine uniscono tutte le forze senza chiedere l’attestato di “compatibilità” ai “probiviri” della Fiom (né questi si azzarderebbero a imbastire processi, che invece sappiamo benissimo torneranno a fare una volta rientrata la protesta). Un attacco che è possibile rintuzzare a patto che si individui la vera posta in gioco che ci interessa: difendere e rilanciare l’unità di classe e di lotta con tutte le forze della nostra classe schierate in campo, mettendo in secondo piano altri aspetti inessenziali (la “rappresentatività” (?!) e la “dignità” (?!) di tizio e caio!).

L’11 ovviamente era presente in grande stile la USB che, dopo Cremaschi, ha accolto a braccia aperte questi compagni. Proprio la realtà di sindacati come la USB, con il congruo numero di lavoratori che vi si organizzano – spesso provenienti dai settori più marginali di un mondo del lavoro continuamente vivisezionato dalle controriforme ultra-precarizzanti del capitale –, rendono centrale e qualificante la battaglia per l’unità sindacale di tutti i lavoratori. Coordinamento e unità tra tutti i sindacati nei quali i lavoratori si organizzano significa voler superare le barriere divisorie tra lavoratori tradizionali e lavoratori precari, impedire al padronato di agire su questa divisione, fare propria quella “convergenza delle lotte” presa in carico dalle mobilitazioni francesi, significa coordinare e in prospettiva unificare l’organizzazione di classe che non si denomina in nessuna specifica sigla sindacale, significa unire le forze già organizzate e rivolgersi al resto della classe per affasciarne le forze unificando l’iniziativa e rilanciando il protagonismo. L’unificazione delle forze diviene gioco forza petizione di lotta a sostegno degli interessi dei lavoratori e denuncia della paralisi dell’iniziativa e relativa sottomissione ai diktat di governi e padroni: ecco perché è realmente incompatibile con la politica rinunciataria perseguita dai vertici Cgil-Fiom. Anche la USB è chiamata a dare il suo contributo in questa direzione, che significa costruire una propria attitudine e capacità fronteunitaria rispetto alla massa dei lavoratori, mettendo questo criterio al primo punto delle decisioni, giammai voltando le spalle o svilendo “la convergenza delle lotte” in funzione di calcoli autoreferenziali (per i quali mai converrebbe mobilitarsi se non è garantita la visibilità e il successo della propria organizzazione, mettendosi in secondo piano la migliore riuscita della mobilitazione generale).

Alla USB va riconosciuta la capacità di aver saputo mobilitare in passate occasioni settori anche numericamente significativi del mondo del lavoro, soprattutto nelle fasi in cui la Cgil aveva invece decretato la paralisi dell’iniziativa sindacale in ossequio e omaggio ai governi di centro-sinistra “suoi amici”. Inoltre la USB sta portando avanti un percorso utilissimo di continua aggregazione e organizzazione di ulteriori forze e riteniamo che i nuovi compagni potranno senz’altro dare una mano in tale direzione. Che alcuni militanti già attivi nel movimento dei lavoratori si spostino dalla Cgil alla USB secondo la nostra visione non è determinante. Lo è invece che maturi la capacità degli uni di imporre l’unificazione delle forze contro vertici riluttanti organizzando la spinta operaia su questa istanza decisiva e la disponibilità degli altri a non fare calcoli di bottega prendendo piuttosto in carico la politica fronteunitaria nella massa dei lavoratori dove dare aperta battaglia alle direzioni riformiste, che non significa contrapporre ad esse un’altra separata piazza studiando le condizioni migliori per poter “reggere sui numeri”.

A conferma della particolare difficoltà in cui noi tutti navighiamo, e della quale però occorre avere la più lucida consapevolezza per poter ripartire in avanti, annotiamo che, regnante Renzi e nonostante la paralisi totale della mobilitazione di classe voluta dalla Cgil e anche dalla Fiom, neanche la USB in questa fase è riuscita finora a mettere in campo un’iniziativa forte, come invece è stata capace di fare ancora contro Monti. Una difficoltà generale che si traduce non solo in una mobilitazione contro la guerra in Libia che segna decisamente il passo, ma anche nella scarsa partecipazione che si registra alle iniziative di solidarietà con la lotta in Francia contro la Loi Travail. Una difficoltà che non ci sogniamo minimamente di addebitare alla USB e dintorni, datosi che difficoltà e “incapacità” rebus sic stantibus ci accomunano tutti. Non ci piace affatto, invece, che la USB pensi di risollevare le sorti dell’ “iniziativa di classe” che langue concentrando le attenzioni e relative aspettative di ripresa (malissimo riposte) sul misero calendario istituzionale italiota convergendo tutti insieme appassionatamente – ben allineati in questo alle tanto criticate direzioni cigielline – sulla raccolta di firme per i referendum istituzionali di autunno (con banchetto aperto anche all’assemblea dell’11/06), e mettendo in programma uno sciopero generale della USB non già per raccogliere le istanze dei lavoratori contro i provvedimenti antioperai di Renzi (Jobs Act in primis) creando un ponte di collegamento con la lotta francese in piedi da mesi sugli stessissimi meriti delle renziane controriforme del lavoro, sì invece a ridosso delle scadenze referendarie autunnali finalizzando la piazza dei lavoratori alla successiva “mobilitazione di schede” per “battere Renzi”, con il voto in difetto della piazza (che a queste condizioni resterà ancora sostanzialmente vuota, anche se dovesse riuscire la mossa “astuta” di convocarla a botta calda sui referendum di cui tutti parlano). Il tutto in nome dell’ecumenica “difesa della costituzione repubblicana e antifascista”! Non ci sembra per nulla una buona premessa e men che meno un viatico di effettiva ripresa e su questo avremo modo di tornare.

15 giugno 2016