nucleo comunista internazionalista
note




Il “governo amico” è caduto. Contese schedaiole in vista

MA E’ FUORI DAI PARLAMENTI
CHE SI DECIDE,
LA FORZA DELLA CLASSE
NON SI MISURA NELLE URNE.


elezioni

La crisi del governo Prodi mette fine ad un equivoco durato sin troppo, equivoco di un’alleanza tra forze politiche (e relative rappresentanze sociali) non solo dissimili, ma (a parole, almeno) antagoniste tra di loro: dal liberismo spinto di Dini alle fanfaronate “sociali” del PRC e PdCI, dal tentativo demo-americano del PD (a sua volta costruito combinando i relitti del pentitismo picista e la vecchia stalla grassa democristiana) alla rivendicazione di spazi privati per la propria politica casalinga alla Mastella, e con in mezzo i giustizialisti da “capitalismo pulito” alla Di Pietro ed i fascistoni (di fatto) alla Pannella.

Questa alleanza, nel corso dei suoi quasi due anni di ingloriosa esperienza, ne ha fatte di tutti i colori a danno del proletariato (comportandosi, in questo, da perfetto schieramento omogeneo borghese, anche se con qualche mal di pancia e qualche ditino alzato da parte della “sinistra radicale”), ha concesso moltissimo al grande capitale (sulla stessa linea), ma, al tempo stesso, non è riuscita a combinare questi due aspetti in una coerente azione di concentrazione e centralizzazione di forze in senso borghese sostanziale. L’acqua fatta mancare al proletariato per riempire i pozzi capitalistici (con la promessa di successivi ritorni in sovrappiù per le zone desertificate) è andata, così, disperdendosi lungo i vari fori delle condutture di un sistema politico dirigente da chiavica. Anche con salari operai da fanalino di coda in Europa (persino la “pastorale” Grecia ci ha superati!), la macchina produttiva non riesce ad andare avanti giocando competitivamente su tale differenziale a proprio favore. E, contemporaneamente, ecco il capitolo spazzatura, tale non solo da “sputtanarci” all’estero, ma da assestare brutti colpi all’economia al seguito, di fronte al quale nulla del sistema che l’ha prodotto e mantiene viene toccato, mentre si fa ricorso a “superpoteri” emergenziali già dimezzati e disattivati il giorno dopo la loro proclamazione e quindi incapaci anche del semplice rattoppo di fortuna (figuriamoci della soluzione del problema!).

Il collante “antiberlusconiano” che teneva assieme questa melma difforme doveva, per forza di cose, venir meno sotto l’azione di solventi ben più forti del bostik di partenza.

 

L’aspetto più negativo del non compianto governo Prodi per noi non risiede tanto nelle misure antiproletarie che ha messo in atto quanto nella mobilitazione di strati proletari anche seri e combattivi nell’avventura elettoral-governativa da parte del PRC e soci nel nome di un “antiberlusconismo” di “tutti i progressisti”. Le giuste ragioni anti-Berlusconi del proletariato sono andate così a finire nel letamaio ulivista limitando, rinviando, subordinando le lotte vere (che avevano potuto ostacolare il governo della “Casa delle Libertà” imponendosi come forza reale, per quanto inconcludente sul piano

 generale) alla “comune” vittoria parlamentare. Dopo di che si sarebbe potuto lucrare qualcosa od anche tornare a premere per “spostare più a sinistra” l’asse governativo attraverso la delega rappresentativa alla “sinistra radicale”.

 

Questo quadro fantasioso quanto a risultati da portare a casa, ma devastante quanto a risultati politici di disarmo della classe, è andato a pallino, ed è bene che così sia per arrivare alla resa dei conti. Il fallimento di questa stolida aspettativa rinunciataria (e castrante) dal punto di vista di classe ha portato a vari esiti:

1) uno stato di disillusione nullista in ampi settori della classe (da cui non sarà facile tornare indietro come se nulla fosse successo);

2) un movimento di ripresa sia pur minoritario considerato l’insieme del proletariato, di radicalizzazione sul piano immediato (vedi in particolare la resistenza e le lotte degli operai metalmeccanici; la ridiscesa in campo del movimento no-war attorno alla lotta di Vicenza) e, dentro ad esso, l’emergere di una aperta contestazione contro i tromboni della “sinistra radicale” con una oggettiva e in piccola parte anche soggettiva tendenza a darsi altri referenti politici.

Questa è la base su cui poggiare una risposta di classe all’altezza della situazione. Ma, per predisporsi a tale compito, occorre innanzitutto  che le forze del “campo antagonista” traggano fino in fondo la lezione: non si fa un solo passo avanti se ci si ripropone (come purtroppo ci tocca constatare) di andare a concorrere nella nuova contesa elettorale ponendosi come “alternativi” ma sullo stesso piano elettoralistico degli arcobaleni che si vuole contestare.

 

Il ricorso alla partecipazione schedaiola da parte dei partitini ex PRC e di altri cartelli “anticapitalisti” porterà solo a deprimere ulteriormente la classe, distogliendola dai suoi compiti di preparazione rivoluzionaria (che non significa per niente dare ad intendere ridicolmente che la rivoluzione stessa sia dietro l’angolo).

Non abbiamo bisogno di disperdere energie in cartelli elettorali ma di organizzare un’accorta azione preventiva fronte-unitaria verso la classe, raccogliendo ed organizzando quelle forze reali già disponibili che sono scese in campo ed hanno contrastato il “governo amico” e quelle a venire per rispondere adeguatamente al prossimo governo del Capitale e porre concretamente su questo terreno la questione del partito cioè la necessità per la classe di dotarsi di una sua propria organizzazione politica indipendente.

Su questo terreno, davanti a questi compiti si misura il vero rafforzamento della classe, non attraverso le debilitanti conte elettorali. L’asse è ormai, irreversibilmente, extra ed anti-parlamentare.

Sappiamo che c’è chi, nella pattuglia degli “ortodossi”, afferma (“leninisticamente”) che si debba sfruttare l’opportunità concessaci dalle “tribune elettorali”, solo che tutto il discorso si riduce in realtà nella competizione per lo 0,5 o l’1% dei voti: conosciamo bene l’esempio di una formazione “ortodossa” come Lutte Ouvrière in Francia la quale combina i discorsi (le chiacchere) più corretti dal punto di vista formale “dei principi” con un “realismo” di schieramenti in contraddizione con essi, ed abbiamo visto dove esso ha inevitabilmente portato. La competizione elettoralesca dei vari soggetti “comunisti” non vale ad unire concretamente il proletariato sul suo fronte di lotta ma a dividerlo ed a deprimerlo.

La forza della classe, il suo peso reale di condizionamento, non si misura nelle urne. La sua forza può risiedere unicamente fuori dai parlamenti borghesi, attraverso l’organizzazione  per una lotta reale i cui coefficienti sono già più larghi che in passato, a volerli cogliere, fissando senza remore dove sta il campo dello scontro: fuori del recinto stretto ed illusorio delle conte elettoralistiche.

19 febbraio 2008