nucleo comunista internazionalista
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fuori dal coro

United States of America on the volcano’s edge

TRUMP-BIDEN, PASSAGGIO DI CONSEGNE AD ALTA TENSIONE

COMPITO DEI NUOVI AMMINISTRATORI: COLMARE IL DEFICIT DI POTENZA IMPERIALISTA, URGENTEMENTE

Dal voto del 3 novembre all’investitura ufficiale del 14 dicembre, il passaggio di consegne fra Trump e il tandem “vincente” Biden/Harris si rivela assai accidentato data la imprevista capacità di resistenza a mollare l’osso dimostrata dallo “sconfitto” Trump. Passaggio addirittura ancora aperto a svolte “impensabili”.

Trump sostiene che persino le anime dei morti sono state mobilitate, tutte per votargli contro e ha incaricato il mastino Rudolph Giuliani di provarlo davanti ai giudici. Non ci caverà un ragno dal buco ma la guerriglia legale gli è utile come mezzo di pressione per trattare condizioni e alzare il prezzo del trapasso politico in una feroce lotta per il potere tutt’altro che solo elettorale e solo americana. “Decisiva per il destino del mondo” è stato detto (dal signor Soros, interprete di un potere “globalista” che ha gettato tutta la sua forza per il cambio di gestione) al sinedrio annuale della borghesia mondiale riunito a Davos nel gennaio 2020. Attorno ad essa sono state convocate, se non le anime dei morti, di sicuro le forze dei vivi e dei combattenti di cui, per tutti, merita di sottolineare il “saluto” di Al Fatah-Iraq alla nuova amministrazione. Lapidario: “Trump e Biden sono due facce della stessa medaglia”! Sottoscriviamo il giudizio – il saluto di guerra – espresso da queste tempre forgiate al fuoco di una lotta stoica contro la democrazia imperialista di cui sono corna tanto le frazioni “sovraniste-patriottiche” che quelle “globaliste” della borghesia americana (e occidentale) che si contendono la gestione del potere. Corna di una medesima bestia.

Una metà o quasi degli americani si ritiene, a torto o a ragione, defraudata dai trucchi elettorali, abilmente galvanizzata e mobilitata dallo “sconfitto” Trump. Se questa parte di popolo dovesse arrabbiarsi, diciamo così, “all’americana” cioè pistole alla mano andando oltre le sollecitazioni e i limiti impulsati da Trump, l’insediamento-incoronazione del 20 gennaio 2021 del tandem Biden/Harris salterebbe per aria. E una scossa formidabile farebbe tremare il mondo.

american hungerDall’altra parte l‘arpia democratica Hillary Clinton aveva a tempo debito chiarito che in nessun caso il suo blocco di potere cioè il mondo del Council for Inclusive Capitalism, il grosso della Corporate America e di Wall Street avrebbe tollerato una prosecuzione di Trump alla guida del paese e quindi alla guida di tutto “il mondo libero”. Come in nessun caso lo tollera quella parte di America il cui grado di sofferenza sociale, di esasperazione e di collera è emerso nel fuoco delle piazze attizzato dalla scintilla scaturita dall’assassinio di George Floyd.

Difficile pensare che nella prova di forza che contrappone due frazioni della borghesia americana (e occidentale) le cose siano lasciate andare fino a un punto di rottura catastrofico per la potenza perno e baluardo del capitalismo mondiale all’interno della quale milioni di senza-riserve sono alle prese col problema della fame (della fame!) come attesta in copertina il New York Times Magazine del 6 settembre. In ogni caso un profondo trauma si è prodotto, ne diciamo qui di seguito perché un grosso guaio se non immediatamente senz’altro si profila dietro l’angolo per il sistema di potere sia negli Stati Uniti che in tutto l’Occidente “libero e democratico”.

Gli “opposti” possono darsi la mano e debbono farlo, pena la rottura catastrofica

Dalla prova di forza dove né l’una né l’altra delle due frazioni borghesi riesce a prevalere nettamente ne esce una risultante, una spinta alla “sintesi” politica fra i due “opposti” poli politici che non sono affatto inconciliabili poiché esprimono gli interessi di una medesima classe. Il patriota-Trump, campione dei sovranisti di ogni risma, può benissimo stringere la mano cioè trovare un piano d’intesa politica persino col super-globalista Soros, bestia nera degli stessi. Bestie-borghesi nere e bestie-borghesi green, pink e arcobaleno possono andare e vanno di conserva quando ad esempio si tratta di attrezzare la grande crociata “anti-totalitaria” che gli Stati Uniti come paese guida del “mondo libero” si apprestano a varare. Entrambi i campi “opposti” sono effettivamente patriottici, significa che per entrambi è imprescindibile la difesa e la fortificazione dello Stato-perno americano. Anche per i “globalisti”, anche per il mondo del Council for Inclusive Capitalism questa è una imprescindibile esigenza.

Non esiste un “super-capitalismo” in cui delle ristrettissime élite possano esercitare il loro potere, cioè pianificare la produzione, la gestione e la spartizione del plusvalore spremuto dal lavoro salariato a scala mondiale, come sospese nell’aria o meglio nascoste nelle tenebre “da qualche parte”. Questa rappresentazione (copertura dell’agitazione politica contro-rivoluzionaria per cui, ad esempio, gli stessi Stati Uniti sarebbero… un paese sotto “occupazione straniera” (!) ossia occupati dalle cerchie di un potere “cosmopolita” e apolide) è una caricatura del processo reale e inesorabile di feroce concentrazione di forza capitalistica che travolge ed espropria il piccolo capitale e le piccole proprietà, stracciando protezioni e rendite “nazionali” di cui i ceti medi e lo stesso proletariato dei paesi imperialisti hanno potuto beneficiare per un lungo periodo storico. Esiste invece nella realtà, insieme al processo di feroce concentrazione la feroce competizione fra mostruosi blocchi di forza capitalistica concentrata che si contendono ogni goccia del plusvalore spremuto, ogni fetta di terra e di potere in una lotta che coinvolge l’intero globo. L’intera valle di lacrime come viene definito dai cristiani questo mondo oggi tutto borghese e capitalistico. Le oligarchie “globaliste”, il Council for Inclusive Capitalism che hanno “votato” in massa per il tandem Biden/Harris non possono prescindere ma invece dipendono dall’esistenza di un Centro nevralgico e di un presidio armato del loro potere globale. La lotta fra le due frazioni della borghesia americana (e occidentale) verte nel suo fondo proprio sui metodi migliori per preservare e rafforzare il potere del presidio armato centrale, gli Stati Uniti d’America, nevralgico tanto per la frazione “globalista” vincente (Biden/Harris) che per la frazione sovranista-imperialista (Trump) uscita sconfitta dalla prova di forza ma in grado di raccogliere e mobilitare un vastissimo malessere sociale e popolare suscitato dal feroce processo reale di cui sopra.

A ben vedere la “sintesi” politica fra le “opposte” frazioni entrambe custodi del law and order borghese (dal quale ovviamente nessuno degli “opposti” può prescindere anche quando la frazione liberal-progressista tratta con Black Lives Matter le condizioni per un cosiddetto defund police), si è già realizzata sul campo, nella gestione della fase acuta della rivolta sociale scaturita dall’assassinio di George Floyd. Il gioco di sponda fra poliziotto buono (colomba Biden) e poliziotto cattivo (falco Trump) di fronte all’eruzione di violenza proletaria, ha messo capo ad una politica di contenimento e di repressione controllata (e mirata, vedi la spietata esecuzione del militante antifa Michael Forest Reinoehl) che si è ben guardata dal rispondere col piombo all’ondata barbara-proletaria dei saccheggi e delle devastazioni di sedi e simboli del potere. Il pericolo per tutta la borghesia era (ed è) che il ricorso ad una repressione “hard” (come quella usata per domare gli altri riots) alimenti e scateni un furore proletario incontrollabile se non ricorrendo al bagno di sangue.

Quando il capo del Pentagono Mark Esper disattende l’ordine di Trump di mobilitare l’esercito per domare la rivolta, obbedisce ad una più lucida valutazione complessiva politico-militare. Il William Barr, Procuratore generale degli Usa fedelissimo di Trump che in nome dello Stato americano ha rivendicato l’esecuzione di Michael (“…plaudo alla straordinaria collaborazione tra le forze dell’ordine federali, statali e locali… le strade delle nostre città sono più sicure con questo violento agitatore rimosso”: ndr: rimosso!) è lo stesso Willam Barr che ha tradito Trump non avallando la sua guerriglia legale sulle frodi elettorali e perciò silurato su due piedi come il generale Esper e una miriade di altri “traditori”. “Traditori” di una linea politica avventurista (e allo stesso tempo impotente in “politica estera”) che se non rettificata in tempo porta gli Stati Uniti ad un passo dalla catastrofe, dalla guerra civile. Traditori di Trump ma sempre fedeli servitori dello Stato americano, a disposizione di una politica “di sintesi” che deve passare, volenti o nolenti, da una più o meno mascherata intesa “di salvezza nazionale” fra le due “opposte” frazioni, una volta ottenuto lo scalpo di Trump.

La necessaria ricomposizione politica e sociale a cui i due “opposti” devono in qualche modo addivenire pena la catastrofe (per l’America e quindi per tutto “il mondo libero”) è però possibile solo attraverso una straordinaria mobilitazione di risorse per placare la fame proletaria interna all’America, per dire di un ampio piano “riformista” e di concessioni sociali senza di che nessun law and order può tenere. Ma… Ma, giriamo sempre lì, una tale straordinaria mobilitazione per un qualcosa che rassomigli ad un nuovo New Deal è possibile solo se l’America è in grado di rastrellare risorse e ricchezze a scala globale, verificando e dimostrando sul campo il suo potere imperialista. Come Trump non ha dimostrato. L’America insomma ha urgente bisogno di mettere in campo uno straccio di concreto riformismo sociale al proprio interno ma per farlo deve battere un colpo sul piano dell’azione esterna-imperialista. Questa è la materia fondamentale dell’agenda politica che trapassa e che deve essere svolta dalla nuova amministrazione.

Un’agenda sulla quale lo “sconfitto” Trump può iscrivere le sue ipoteche sul tracciato continuo della strategia imperialista. Quella a più alto potenziale forse è rappresentata dalla marcia a ritmi incalzanti impressa agli “accordi di Abramo”, una trama che dopo Emirati Arabi, Bahrein e Sudan ora coinvolge la casa reale saudita, custode delle due sacre Moschee dell’Islam, sulla via della “normalizzazione” dei rapporti con Israele. Qui, l’imperialismo del sovranista Trump e, in continuità, del tandem globalista Biden/Harris tesse il suo ordito molto vicino alla fiamma sacra. Vicino al passo falso che può farlo ardere in un fuoco terrificante, in specie per tutti noi occidentali. L’attacco missilistico che ha subito l’8 di gennaio 2020 è stato solo una puntura di zanzara.

Due Presidenti, due Centri, due Papi

Soffermiamoci ancora sul discorso degli “opposti”, dei poli borghesi agli antipodi che possono e debbono, volenti o nolenti, trovare una “sintesi” una convergenza in nome del supremo interesse anti-proletario e contro-rivoluzionario. Dando la parola ad un prete, ad un cardinale americano incarnazione di uno degli antipodi.

La portata dello scontro “elettorale” in cui si riverbera, sotto la sferza della catastrofe capitalistica in atto, il movimento di forze storiche immense di popoli, di Stati, di razze, di classi ha trascinato e coinvolto in pieno nella lotta, né poteva essere altrimenti, un’altra istituzione portante di questo mondo, di questa borghese e capitalistica valle di lacrime ossia la Chiesa di Roma, Centro dell’universalismo cattolico. Un Centro di potere di questo mondo che però non coincide, non è simmetrico a quello del capitalismo bianco-occidentale e cristiano. Due Papi coesistono a Roma, con sempre maggior difficoltà. Essi rappresentano e si contendono “le anime” cioè la guida politica degli interessi terreni di milioni e milioni di proletari in un’area ben più vasta di quella bianca-occidentale. Come due Presidenti in America per dire di due frazioni borghesi si contendono la guida “del mondo libero”. Il parallelo non sembri campato per aria e che soprattutto non ci riguardi dato che appunto milioni di proletari trovano rifugio, senso delle cose e orientamento nella presente dannata bolgia borghese sotto le insegne di entrambi i Papi di Roma e non solo dietro a quelle del gesuita “progressista” Bergoglio.

L’ala “tradizionalista” cattolica è entrata decisamente e a piedi uniti nella lotta attraverso le lettere che il suo attuale capo-kamikaze Mons. Viganò ha indirizzato a Trump come campione-patriota difensore degli “autentici valori cristiani” su cui è fondato l’Occidente ossia degli interessi materiali dell’imperialismo bianco-occidentale. Un chiaro e netto pronunciamento, una chiara e netta chiamata a raccolta… “delle anime” bianche-occidentali diversamente dal viscido discorso… “internazionalista” di papa Bergoglio. Questo papa arriva a mettere in discussione la proprietà privata quando in contrasto “con il bene comune” (leggi: interesse generale del Moloch-Capitale, sin qui in perfetta continuità con la classica dottrina sociale della Chiesa cattolica: giusto salario-giusto profitto!) critica la cieca corsa al profitto e i conseguenti sacrifici sociali, umani e ambientali assecondando, da viscido gesuita, tanto i sinistri equi-e-solidali che i super-manager del Council for Inclusive Capitalism ricevuti e riveriti in pompa magna in Vaticano.

Lo scisma verso cui muove la Chiesa di Roma sarebbe senza dubbio un evento di portata storica eccezionale ma non tale da compromettere le basi del capitalismo mondiale, al contrario il collasso e il crollo del Centro americano significa il collasso ed il crollo dell’intero sistema. Ma torniamo a noi e diamo finalmente la parola al cardinale Raymond Burke del Wisconsin:

“…per ottenere vantaggi economici, come nazione abbiamo permesso a noi stessi di diventare dipendenti del Partito Comunista Cinese, portatore di una ideologia totalmente opposta alle fondamenta cristiane su cui le famiglie e la nostra nazione rimangono al sicuro e prosperano”.

Chiara l’antifona, o no? Per “rimanere al sicuro e prosperare” l’America deve “svincolarsi” da quella “satanica” dipendenza. Eh! già, bisogna prepararsi a “liberare i cinesi” (gli iraniani, i siriani, i venezuelani ecc. ecc.). Al prete sfugge il piccolo particolare di dove trovare un’altra fabbrica di plusvalore a cui attingere paragonabile a quella gestita dal PCC. Non solo a lui a dire il vero. Ma l’economia non è il suo mestiere. Il suo mestiere è di preparare “le anime” alla crociata “per la libertà”, di preparare le condizioni per la guerra imperialista. Comunque la si veda resta che l’osso(capitalistico e borghese)-Cina è duro da rodere per questa America dai denti cariati che, con Trump, non è riuscita nemmeno ad installare da qualche parte nel suo cortile di casa-pianeta terra un Guaidò qualsiasi. Tutto ciò a parte, domanda: attorno all’obiettivo strategico così mirabilmente individuato dal pretaccio “tradizionalista” e sfegatato pro-Trump non può forse essere trovata “una sintesi”, una convergenza con il polo “opposto” di Biden/Harris? Per conto nostro sì!

Passando dall’altra parte della barricata cioè dalla parte della Rivoluzione proletaria, unico effettivo campo diametralmente opposto e inconciliabile con quello delle bestie e dei preti patrioti o pitturati di green e dei colori arcobaleno, è perciò urgente impegno di lotta politica, lo diciamo soprattutto ai compagni americani che ci leggono, fare i conti fino in fondo con i cosiddetti “antagonisti” del tipo Joshua Wong di Hong Kong e simili prostituti che pullulano fuori dal “mondo libero” e che attendono ansiosamente di essere liberati. Tanto meglio se per opera dei democratic snakes alla Obama, non per niente insignito del premio Nobel per la pace.

Per i compagni americani: il che non significa in alcun modo “stare dalla parte” di nessun blocco di potere capitalistico concorrente agli Stati Uniti, e non stiamo qui a ripetere il perché e il percome (vedi QUI).

Preparare la crociata “anti-totalitaria”, preparare le condizioni per la guerra imperialista

Il democratic snake Obama ci dice che si stanno scontrando “due visioni opposte di ciò che è l’America e di ciò che dovrebbe essere” aggiungendo inoltre che il bene dell’America “non è il bene esclusivo delle future generazioni di americani ma vale per l’intera umanità”. (Corriere della Sera 15/11) Altroché la visione rozza, “esclusiva”, “isolazionista” di Trump e dei suoi!

Abbiamo detto cosa ne pensiamo di queste “due visioni opposte” e di come, secondo noi, persino gli antipodi borghesi Soros-Mons. Viganò possano darsi la mano. Si prenda visione fra l’altro (quasi lo dimenticavamo) dell’intervento del filantropo e mecenate dell’Open Society (autentica pestilenza da cui immunizzarsi) al solito sinedrio di Davos, questa volta nel gennaio 2019: il male da estirpare è precisamente individuato nel “totalitarismo” russo e più ancora in quello cinese. E’ la potenza borghese e capitalistica della Russia e della Cina che occorre incrinare e colpire.

Per il Council for Inclusive Capitalism, per la Corporate America e per Wall Street la resa dei conti (per far tornare i conti maledettamente in rosso ancorché più truccati di quelli elettorali) con i due grandi blocchi di potere concorrenti va, appunto, preparata e la manovra ad ampio raggio di preparazione può passare benissimo anche attraverso politiche di “accordi” e “collaborazioni” transitorie. Come la resa dei conti 1939-45 passò per gli “accordi di pace” di Monaco ’38 e… di Mosca/Berlino agosto ’39.

Seguiamo il filo del tempo. Ieri, post crollo 1929: una accanita lotta contrapponeva “la visione” dell’America “isolazionista” rispetto a quella del “socialista” Roosevelt. Ma questa opposizione si è disfatta in vista della grande impresa, del grande affare che ha messo d’accordo tutta la borghesia cioè la partecipazione alla guerra imperialista. Il “socialista” Roosevelt svolse perfettamente il compito di preparare le masse all’evento culminante della civiltà borghese. Oggi: una accanita lotta contrappone “le visioni” dei due blocchi di potere borghese –  “patriottico-isolazionista” vs “liberal-globalista” – che come abbiamo detto, andando al fondo delle cose, sono divisi sulle condizioni di preparazione della guerra imperialista verso cui muove il capitalismo mondiale ma possono e, a nostro avviso devono, trovare una sintesi.

Metodi, alleanze, calcolo dei tempi di preparazione diversi. Obama prima di seminare morte e distruzione nel mondo arabo-islamico dalla Libia alla Siria all’Afghanistan ecc. (continuando l’opera del suo “opposto” Bush) ha preparato “sapientemente” le condizioni per tale semina. Si pensi allo “storico” discorso pronunciato all’Università del Cairo nel 2009 in cui il democratic snake ha osato presentare “la sua America” come forza di liberazione dei popoli oppressi, cosa che per un Trump o per un qualsiasi altro rozzo patriota-imperialista riesce assai più difficile.

I due blocchi di potere (e… i due Papi di Roma) si dividono e si scornano attorno ai metodi migliori per consolidare un potere di classe sul quale non si discute né si lascia mettere ai voti.

Per entrambi vale come comandamento il law and order e il comandamento del Dio-Dollaro onnipotente, l’almighty dollar come dicono loro. La frazione “patriottica-isolazionista” dell’imbonitore Trump pretende che l’America debba e possa badare prioritariamente “solo” ai suoi affari nazionali e al “benessere del suo popolo”, pretende che essa possa chiudere “il capitolo” delle guerre infinite aperto dai predecessori facitori incessanti di guerre e al tempo stesso assegnatari… di Nobel per la pace. Si dà però il caso che i cosiddetti “affari propri” dell’America siano, necessariamente, gli affari del mondo intero, e che il cosiddetto “benessere del popolo” dipenda non solo dalle “ingerenze”, armate e non, in ogni angolo del mondo ma dal buon esito (imperialista) delle stesse. E qui i conti non tornano.

Preparare la Rivoluzione proletaria

Per le forze antagoniste al potere borghese vale giusto il contrario. Così che, ad esempio, la lotta per il defund police se non vuole essere una impostura, un inganno, un imbellettamento del sistema di oppressione (che porta ad una situazione insostenibile per le stesse comunità oppresse se non significa la messa in pratica di un contro-potere e di un ordine proletario seguendo l’esempio delle Black Panther) deve andare congiunta alla lotta per il “defund U.S. world police” cioè al gendarme che monta la guardia in ogni angolo del mondo in difesa dell’oppressione e dello sfruttamento imperialista. Gendarme tanto più odioso in quanto si ammanta da difensore della “libertà” dei “diritti umani” addirittura dell’”internazionalismo” (come, facendoci trasalire, abbiamo sentito dire su un canale televisivo di cui è padrone il signor Murdoch) ecc. ecc. mascheratura in cui sono insidiosi specialisti gli Obama-Clinton-Harris molto di più che la “opposta” cordata dei Bush e “dell’isolazionista” Trump.

Ma da questo orecchio le Patrisse Cullors, fondatrice e dirigente del Black Lives Matter lestissima a congratularsi col tandem Biden/Harris, non ci sentono. Quando si parla di concreto impegno anti-imperialista (via le truppe dall’Iraq, via dalla Siria, via… da tutto il mondo; denuncia dei prostituiti alla democrazia imperialista di Hong Kong e così via…) questi dirigenti hanno i tappi nelle orecchie. E gli assegni della Open Society Foundation nelle tasche (in quelle dell’organizzazione BLM s’intende).

Le valorose minoranze di compagni che non si sono affatto congratulate col tandem “vincente” ma al contrario hanno avuto il grandissimo merito politico e il coraggio di rompere in tante piazze d’America il clima di festeggiamenti per la presunta vittoria o se non altro per il presunto “scampato pericolo”, non devono avere alcuna esitazione a porre dentro il movimento la questione politica della copertura data all’imperialismo dalle Patrisse Cullors e simili. E a snidarli proprio e soprattutto sulla materia cruciale dell’anti-imperialismo. (Delle minoranze degli afroamericani separatisti auto-organizzati in milizia diciamo in riquadro a parte).

I conti che non tornano e il deficit da colmare

Sulla materia cruciale i conti non tornano. Lo score del patriota-imperialista Trump non è affatto brillante. Ripassiamolo al volo.

Doveva far abbassare la cresta al coreano Kim: non pare esservi riuscito. Doveva procedere ad un generale reset in America latina a cominciare dalla destituzione di Maduro: idem. Doveva piegare l’Iran che Trump è arrivato a minacciare terroristicamente di polverizzare salvo dover incassare i missili iraniani piovuti sulle sue basi irachene l’8 di gennaio. Doveva “ritirarsi” dalla Siria, e tutti hanno potuto constatare i brividi corsi sulla pelle della borghesia americana ed occidentale provocati da un tale “ritiro” (ottobre 2019) che rapidamente si è trasformato nella sfacciata occupazione dei pozzi petroliferi siriani (al cui sfruttamento è concesso di partecipare all’alleata borghesia stracciona curda del mitico Rojava, detto di sfuggita). Quanto alla messa in riga delle super-potenze borghesi concorrenti russe e cinesi, ha sbattuto la testa contro il muro. Come un cow-boy sbronzo, i patrioti americani di Trump si sono lasciati andare brindando pubblicamente alla diffusione del virus in Cina. Flagello che avrebbe dovuto piegarla e aprire la strada all’obiettivo storico del capitalismo americano, al suo sogno storico (che sogno rimarrà): penetrare la Cina, mettere le mani sul suo immenso mercato. Invece il virus come un boomerang di ritorno ha scoperchiato il disastro sociale interno all’America, fino alla fame di massa attestata in copertina dal New York Times Magazine.

Questo deficit di potenza imperialista che il futuro Presidente dovrà cercare di colmare e piuttosto urgentemente anche, spiega perché Wall Street e il Big business abbiano “votato” in massa in favore del cambio della guardia, pur avendo abbondantemente beneficiato degli enormi “sconti fiscali” concessi dalla gestione altamente patriottica in questo senso del trombato Trump. La mostruosità della situazione non sta certo nel “voto” di Wall Street ma semmai nel voto di massa dei minatori della West Virginia, per dire in generale di una parte consistente di classe lavoratrice bianca, per l’imbonitore patriota Trump il quale riesce a presentare la sua frazione come il “partito dei lavoratori” opposto ai dem-liberal “partito di Wall Street” nello stesso tempo vantando gli indici stupefacenti (in ogni accezione del termine) raggiunti… da Wall Street sotto la sua Amministrazione.

Come in un incantesimo sinistro e maledetto, il cerchio serrato dalle forze complementari della contro-rivoluzione attorno al proletariato sembra non lasciare scampo.

Un “voto” pesante “per il cambiamento” che era stato del resto preannunciato perlomeno dall’agosto 2019, allorché il gotha della Corporate America riunito attorno al Business Roundtable (presenti i manager di circa 200 super-aziende che dispongono del lavoro di 15 milioni di salariati per un fatturato di 7 trilioni di dollari. Un trilione fa un miliardo di miliardi: “una testa fa un voto” come vuole la barzelletta, la truffa della “vera” democrazia?) ha annunciato all’umanità la lieta novella di una necessaria “riforma” del capitalismo. Tale da renderlo “inclusivo”, attento alle esigenze non solo del profitto ma anche a quelle dei lavoratori e della “sostenibilità ambientale”… Insomma una specie di Rerum novarum laica del XXI secolo dalla quale si è capito che il sinedrio intende pitturare di azzurro le galere del lavoro salariato, di green la produzione delle merci e dei colori arcobaleno le bombe che andranno usate massicciamente per tentare di fare in modo che la macchina del capitalismo “inclusivo” possa riprendere a generare “valore in più” e non “valore in meno” cioè perdite cioè debito, come accade oggi inchiodata dalla storica e inesorabile “Legge-Marx”. E si è capito che alla bisogna forse era più funzionale ricorrere ai gestori liberal-progressisti.

Incassata l’investitura (e la relativa montagna di dollari) da parte di Wall Street e del grande capitale, il conglomerato politico liberal-progressista non garantisce però affatto una guida salda e sicura della macchina da guerra americana e del “mondo libero”.

Ai dem “vincenti” le ciambelle non riescono col buco

I due grandi eventi che hanno investito gli Stati Uniti, cioè la rivolta sociale scaturita dall’assassinio di George Floyd e l’emergenza socio-sanitaria seguita alla diffusione del Covid-19, che avrebbero dovuto gonfiare il consenso a Biden e sbaragliare un Trump messo alle corde dal disastro sanitario e dalla lotta sociale, hanno invece evidenziato la fragilità politica della cosiddetta, super-pompata dai media mainstream, “alternativa” liberal-progressista.

Dopo George Floyd

I democratic snakes hanno blandito e lisciato il pelo alle piazze in rivolta e ciò ha certamente portato una messe di schede elettorali nel sacco di Biden. Ma non hanno avuto il pieno controllo su di esse, né sul piano politico né sul piano “militare”. La violenza di classe con cui una massa di senza-riserve ha risposto alla violenza dello stato di cose presenti ha graffiato sul volto l’America borghese, mettendo in imbarazzo e alle corde più i Dem (poliziotto buono) che Trump (poliziotto cattivo) il quale ne ha anzi tratto abilmente motivo per galvanizzare il suo popolo attorno alla necessità di difesa dell’ordine costituito minacciato dai “terroristi” Antifa e BLM cui tengono bordone i Dem; Biden “cavallo di Troia… del socialismo in America” (sic!).

Come in un incantesimo sinistro e maledetto, il cerchio…

I liberals “vincenti” possono incasellare nella cornice di uno sbiadito riformismo le Patrisse Cullors (cui dovranno pagare un dazio politico per il servizio svolto e che si apprestano a svolgere) cioè il quadro dirigente della piccola-borghesia (bianca e nera) organizzata dal BLM. Possono raccogliere il consenso e le aspettative di questo strato sociale. Ma sono lontani dall’incasellare sotto il loro controllo politico la marea dei senza-riserve americani e corrispondere all’enorme sofferenza sociale che essi esprimono. Allo stato attuale delle cose non c’è ombra, anzi c’è solo l’ombra di una concreta prospettiva “riformista” da far balenare agli occhi (e allo stomaco) delle masse lontanamente paragonabile a quella che il capitalismo americano, attraverso “la politica socialista” di Roosevelt, seppe (avendone i mezzi cioè la ricchezza materiale accumulata) mettere in campo con il New Deal dopo il 1933. Di quel prodigioso sforzo per la salvezza della società borghese oggi c’è solo l’ombra.

Covid 19 e disastro sociale

Nemmeno la gestione disastrosa della pandemia Covid-19 (che ha seminato lutti secondo precise discriminanti di classe e di razza) da parte di Trump è stata materia che i Dem hanno potuto utilizzare per schiantarlo agevolmente in quanto specie di “criminale che lascia uccidere il popolo”. Nemmeno questa è una ciambella riuscita con il buco ai “vincitori” Dem.

Lasciando stare la gestione razionale dell’emergenza sanitaria che una effettiva Comunità Umana affronterebbe senza alcun risvolto tragico e sinistro per la società, essendosi liberata dai ceppi del Dare e dell’Avere, della misura monetaria e mercantile del valore (la banale mascherina, ad esempio, sarà semplicemente valore d’uso/oggetto utile-mascherina avendo ucciso il valore di scambio) ci si confronta nel presente stato di cose (Mercato-Merce-Denaro l’esatto opposto della Comunità Umana-Gemeinwesen di Marx e nostra, del comunismo rivoluzionario) sulla base della razionalità borghese-capitalistica e della gestione della macchina dello Stato che è il surrogato di una effettiva Comunità Umana. Questo surrogato di Comunità Umana può essere più o meno efficiente, può saper corrispondere più o meno adeguatamente alle esigenze, ai problemi, alle emergenze sociali. Surrogati di comunità umana quali gli Stati borghesi cinese o tedesco ad esempio, dimostrano una maggior efficienza nella gestione del problema Covid 19 rispetto agli Stati Uniti d’America. Colpa solo della gestione “negazionista” di Trump?

Otto anni, due mandati presidenziali, non sono bastati al campione dell’”altra America” Obama per riformare/approntare un sistema sanitario decente per il proletariato americano. Come mai? Con quale faccia di bronzo i liberals possono dare addosso a Trump, quando è l’intero sistema di protezione sociale a fare acqua da tutte le parti nel “paese più potente del mondo” e non certo a partire dall’anno di disgrazia 2016?spesa proletaria

Trump “criminalmente” se ne infischia dell’uso delle mascherine e suoi seguaci del rispetto del distanziamento sociale contravvenendo alle elementari norme per evitare la diffusione dell’epidemia? Ma proprio la sollevazione di massa seguita all’assassinio di George Floyd ha violato (nella reticenza e nell’imbarazzo generali dell’ambiente liberal-progressista) queste norme di prevenzione sanitaria. Le masse che si sono sollevate dovevano forse starsene tappate in casa? I liberals-progressisti non si azzardano a dirlo. Oppure forse dovevano dare l’assalto alle stazioni di polizia, saccheggiare i supermarket, dare fuoco alle banche ecc. solo debitamente munite della mascherina d’ordinanza?

Ma la questione di fondo su cui i Dem, a nostro avviso, hanno fatto e fanno cilecca è un’altra. Spinosissima in effetti.

Quando Trump (e i trumpisti di tutto l’Occidente) afferma che “l’America è un paese che non è fatto per rimanere chiuso”, afferma una cinica e spietata verità borghese. Corrisponde ad una effettiva razionalità borghese-capitalistica (l’esatto opposto della effettiva Comunità Umana-Gemenivesen che è in capo al programma comunista). Il business non può fermarsi, il Valore-Denaro non può smettere il moto perpetuo per Valorizzarsi nella produzione, in breve: la vita del Capitale, e di tutti gli umani che da essa dipendono, non può morire di Covid 19. Biden e soci, volgare demagogia a parte, ne hanno un’altra di razionalità borghese-capitalistica da opporre credibilmente alla cinica verità di Trump in attesa del vaccino “risolutore” per entrambi? (grazie alla scienza… “al di sopra delle parti” di Big Pharma, a proposito di effettiva Comunità Umana vs Mercato-Merce-Denaro)

Ora, questo stato di cose questo ricatto bestiale “morire di Covid o morire di fame” grava e fa materialmente presa, non soltanto sulla massa dei ceti medi, del piccolo commercio e della sterminata rete dei servizi (dove non si produce il plusvalore, ma gli addetti vivono di quello già prodotto) ma anche sulla working class produttiva.

La working class non accetta di essere carne da macello-profitto e si batte per imporre le chiusure di fabbriche e dei luoghi di lavoro in elementare difesa della sua vita. Ma allo stesso tempo avverte che le cose non possono andare avanti a forza di sussidi, di stimulus plan (per ottenere i quali pur deve lottare) che sembrano piovere dal cielo ma che essa giustamente e istintivamente avverte gli saranno fatti ripagare con gli interessi. Il moderno proletariato (dell’epoca borghese) non è, e non vuole essere ridotto (nemmeno nell’Occidente bianco-imperialista), nella condizione del proletariato dell’antica Roma, dove il proletario non lavorava ma viveva a spese della società cioè sul lavoro degli schiavi. (Solo qualche testa bacata o una massa abbrutita e avvilita può pensarlo e volerlo. Può pensare e volere di campare a forza di “redditi di cittadinanza” o, come sentiamo dire, “universali”. Degradandosi al ruolo di clientes attaccati alla mammella dello Stato-scrofa. No! il proletariato, anche quello d’Occidente, non si farà degradare. Ucciderà lo Stato-sbirro e lo Stato-scrofa. Instaurerà il potere della Comune. Per la Gemeinwesen! Per la Comunità Umana!).

Anche fra una working class stretta nella morsa, la cinica razionalità borghese di un Trump guadagna spazio e ne guadagnerà (in America e fuori) tanto più a lungo si protrae l’emergenza sanitaria. Alla brutalità del discorso trumpiano non vale nulla opporre il fumo del “riformismo ” impalpabile dei liberals. Serve opporre altrettanta brutalità di classe, proletaria, in difesa del suo pane e della sua vita mandando al diavolo il conto Dare-Avere capitalistico al quale tutta la società è inchiodata. Oppure certo, mettere in tavola l’arrosto riformista se ve ne fosse la materiale possibilità cioè, torniamo sempre lì, una reale prospettiva “alla Roosevelt” di cui, come detto, c’è solo l’ombra. Al momento.

Fumo e possibile arrosto riformista

In teoria questa materiale possibilità esiste sempre. In pratica non è affatto vero che “i soldi ci sono” come qualche “lottatore anticapitalista” in buona fede pensa e una manica di ciarlatani e mascalzoni politici (bipartisan) sostiene e spaccia “al popolo” il che equivale a dire che il capitalismo è eterno e onnipotente. Il che non è (ma della questione che “i soldi ci sono” e che si tratta di andarseli a prendere e/o di distribuirli “equamente” ne parleremo prossimamente). In pratica una nuova edizione di New Deal o qualcosa del genere significa oggi, cento mille volte più di ieri la assoluta necessità, la improcrastinabile necessità, di colmare il deficit di potenza imperialista che affligge lo sparviero Usa. Significa far tornare i conti, con “le buone” possibilmente o con le cattive, in Venezuela e nel “cortile di casa” latinoamericano in generale, in Iran, in Siria e via difendendo “diritti umani” e “libertà” in giro per il mondo. Prima di fare i conti definitivi coi pesi massimi concorrenti con cui, a scala planetaria, si lotta per appropriarsi di ogni goccia possibile di preziosissimo plusvalore e per contendersi e spartirsi ogni piccola fetta di potere.

Scriveva Trotzky a proposito del New Deal cioè della possibile politica riformista, che essa è realizzabile solo “grazie alle colossali ricchezze accumulate dalle generazioni precedenti. Solo un paese ricchissimo come gli Stati Uniti poteva permettersi una politica così eccezionale”, mai dimenticando di dire la cosa essenziale che tutti quanti oggi si dimenticano di dire persino delle attuali ombre di New Deal: “La politica del New Deal con i suoi risultati fittizi e l’incremento effettivo del debito nazionale, deve portare inevitabilmente a una feroce reazione capitalista e a una devastatrice esplosione imperialista”. (cfr. “Il marxismo e il nostro tempo”, scritto del 1939)

Non sappiamo e nessuno sa a quanto ammontino le riserve di oro custodite nei forzieri di Fort Knox ma la base materiale della fortezza del capitalismo mondiale è certamente meno solida rispetto al tempo in cui agli Stati Uniti è stato possibile di varare una straordinaria politica riformista. Ieri detenevano il record della produzione industriale, non più. Detenevano crediti verso tutto il mondo, oggi detengono il record mondiale del Debito ed altro ancora sgretolando. Il tempo non è passato invano per la preparazione rivoluzionaria, la Vecchia Talpa ha scavato le sue gallerie sotto la fortezza. Ha svolto perfettamente il suo lavoro.

fort knox

Toccherà ora a noi, toccherà alla marea proletaria e dei senza-riserve rompere l’incantesimo sinistro e maledetto, in una parte qualsiasi dell’arena mondiale in cui avviene la lotta e su cui si misurano le forze. Salutando la rivolta dei nostri fratelli di classe degli Stati Uniti abbiamo detto che il corso della lotta di classe negli Usa è tortuoso e complicato all’inverosimile. La lotta “elettorale” con tutte le sue implicazioni e ricadute lo sta dimostrando. Come sta dimostrando il valore e il coraggio di quelle ristrette minoranze di compagni americani che non intendono essere massa di manovra di nessuna frazione borghese, che non intendono essere la “coda radicale” della democrazia borghese. Il coerente anti-imperialismo sarà il cruciale e difficile terreno di lotta. Tanto più difficile se dovrà affrontare la politica dei viscidi democratic snakes e dei loro reggicoda, la politica del Council for Inclusive Capitalism imperialista e pitturata green, pink e arcobaleno.

La storia ha già fatto saltare in aria tanti mucchi di letame che le sbarravano la strada. Anche questa volta farà ciò che occorre. Più le cose appaiono senza speranza, più il repulisti sarà radicale” (Rosa Luxemburg, febbraio 1918)

P.S.

Trauma in America e in tutto l’Occidente

Abbiamo detto di un trauma non facilmente ricomponibile che si è prodotto, di un grosso guaio che si profila dietro l’angolo sia negli Stati Uniti che in tutto l’Occidente “libero e democratico”.

Una massa crescente di “liberi cittadini” avverte di non contare nulla, che il suo voto non conta nulla di fronte ad un potere reale che non si può e non si fa certo “mettere ai voti”. Anche quella parte di America proletaria che ha votato per sloggiare Trump non nutre alcun particolare entusiasmo per il tandem “vincente” e senza una particolare fiducia nei “piani sociali”, nell’arrosto riformista promesso.

La cerniera del sistema di controllo sulle masse manovrata dagli apparati orwelliani liberal-progressisti (gli odiati, i giustamente odiati, “globalisti”) sta vistosamente cedendo: che attendibilità hanno i governi agli occhi di parti sempre più vaste di popolazione? Chi gli crede più? La gestione dell’emergenza-Covid 19 ha solo fatto deflagrare il fenomeno, lo ha enormemente accelerato. Così come ha fatto deflagrare la questione della fame nel centro del capitalismo mondiale: “Nearly one in eight households doesn’t have enough to eat”! “Quasi una famiglia su otto non ha abbastanza da mangiare… milioni di esseri umani in America stanno lottando per sfamare le loro famiglie” scrive il numero del New York Times Magazine che abbiamo sopra citato.

In questo contesto l’involucro della democrazia formale che come diceva Trotzky “è un lusso” che solo pochi paesi (imperialisti) possono permettersi, si sgretola persino nel loro perno. Nell’ambiente puttano di consolidato ménage democratico occidentale così tremendamente ostile e ostico alla Rivoluzione (ambiente puttano: definizione di Bordiga, righe finali dal classico-pietra d’angolo “Dialogato con Stalin”, dove lo si mette in contrasto col “terreno vergine” della Russia in cui la forza della Rivoluzione potette procedere con tutto il suo vigore) nel nostro ambiente puttano occidentale dicevamo, accade ora che alla vecchia e consumata baldracca-democrazia si disfi il belletto sul volto. La Vecchia Talpa prosegue, anche su questo piano, il suo lavoro metodico, inesorabile.

Si dirà che sono le forze della Destra americana ed occidentale in generale ad essere in avanscena nel brandire la “fiaccola della libertà” conculcata “dalle élite” alla testa del vastissimo ceto medio in via di macellazione; che è la contro-rivoluzione borghese aperta che si fa avanti mentre il fuoco brucia quell’involucro formale. Indubbiamente il passaggio è pauroso. Doloroso, traumatico per la mentalità “di sviluppo progressivo” delle cose che ci portiamo, incarnata e incancrenita, addosso. Il mondo in cui siamo cresciuti e pasciuti sta inesorabilmente franando. Sta franandoci addosso.

E allora? Noi, con Marx, diciamo che la aperta contro-rivoluzione è… rivoluzionaria, in quanto pone apertamente le cose sul terreno reale della Forza. Ed è su questo piano che la marea proletaria e dei senza-riserve deve raccogliere la sfida. Al diavolo “la libertà” e la truffa “una testa-un voto” della democrazia concesseci da Sua Maestà il Capitale!



IL SILENZIO DELLE ORGANIZZIAZIONI SEPARATISTE
DEGLI AFROAMERICANI

Possiamo incorrere in topiche clamorose date le precarie linee di contatto con le organizzazioni separatiste black (New Black Panther Party, milizie NFAC), in questo caso ne prenderemo atto e non sarà morto nessuno, MA… quello che ci balza agli occhi della posizione di questa parte della classe nostra rispetto alla lotta “elettorale” e ai suoi colossali significati è il più assordante silenzio. Ed è una constatazione purtroppo negativa.

Certo, in quanto nulla noi non abbiamo alcun titolo di “ficcare il naso” nelle “faccende degli altri”. Fino a quando non metteremo in campo delle organizzazioni e delle milizie RED c’è poco da arricciare il naso. Tuttavia non nascondiamo la nostra critica aperta su… una faccenda che è nostra, che riguarda in pieno il proletariato internazionale.

Pensiamo che questo assordante silenzio sia una manifestazione di impotenza politica. E pensiamo che per primi gli stessi militanti e miliziani black la sentano come tale. Fatto tanto più bruciante in quanto milizie armate ma disarmate politicamente. Questo silenzio vuole più o meno significare: “le elezioni, la scelta di un tale presidente piuttosto che un altro, non ci riguarda, sono cose dei bianchi, noi non riconosciamo le loro istituzioni, affari loro…”. Tale astensione potrebbe sembrare essere espressione di una massima intransigenza ed estraneità rispetto all’AmeriKKKa. Invece è astensione dalla lotta politica che lascia spalancata la porta all’apertura di credito se non alla collaborazione con la parte borghese (di pelle bianca e di pelle nera) che “nel concreto” si può ritenere e si ritiene “la meno peggio”.

Altra cosa purtroppo negativa è la faida interna alle organizzazioni e milizie black . Quelli dell’FBI e tutti gli altri apparati di sicurezza dello Stato ne saranno senz’altro molto contenti avendo come loro scopo quello di seminare zizzania fra i ranghi delle milizie nere auto-organizzate e di evitare nel modo più assoluto che possa emergere una leadership catalizzante.

Anche in questo caso il male non è nelle aspre contrapposizioni e nelle spaccature fra organizzazioni che naturalmente si verificano. Ad esempio la contrapposizione e la spaccatura fra un Stokely Carmichael (ala “identitaria/nazionalista”) e i Eldridge Cleaver (ala “classista”) del vecchio Black Panther fu una dolorosa spaccatura ma positiva in quanto chiariva le differenti posizioni politiche e differenti prospettive presenti nel movimento che decidevano di andare ognuna per la sua strada.

Quello che manca oggi: delle chiare posizioni politiche sulle quali apertamente scornarsi e, se occorre, dividersi. E il modo migliore, fra l’altro, di non facilitare il lavoro a quelli dell’FBI.


19 dicembre 2020