NOTE SU RELIGIONE, CHIESA, FEDELI E NOI
(Inizio 2005)
Finalmente torno su uno dei miei temi prediletti, quello della religione.
E’ assodato che per noi marxisti la religione costituisce una forma particolare di ideologia,
cioè di “falsa coscienza” sovrastrutturale. Meno assodato è che la lotta per sovvertire questa “falsa
coscienza” va condotta sul piano del richiamo materiale alla struttura e non su quello di una “vera
presa di coscienza” di tipo illuministico, anche se, dovrebbe essere ovvio, questo richiamo non può
fare a meno di un confronto scientifico con le controtesi ideologiche che la religione ci oppone.
Dovremmo anche precisare che quando parliamo di “falsa coscienza” (cosa che comprende
tanto la definizione di “oppio dei popoli” che quella di “gemito degli oppressi”; da tener fisse
entrambe) intendiamo, in qualche misura, una storica progressione verso un certo tipo di coscienza
materialmente data, e non una qualche forma di antitesi super-storica nei confronti della “vera
coscienza” (siamo sempre all’illuminismo, degenerato). Religione equivale a re-ligere, legare
assieme, associare le membra disperse della società, dando ad esse un indirizzo di “fede”, cioè di
regole (
regere latino)
, cioè di guida per la vita associata. Già detto tutto in Engels.
Ne consegue che questa sovrastruttura non sta a parte, ma è elemento fondante della società,
di un certo tipo di società cui va collegata, e che, quindi, essa è necessariamente un terreno di
scontro storico
tra forze sociali che in essa si riconoscono, si urtano tra loro, si modificano, si
superano in rapporto agli sconquassi della base che la determinano. La lotta per l’emancipazione
umana
passa
pertanto attraverso il quadro delle lotte sovrastrutturali, religiose nel nostro caso, da
cui non possiamo fare astrazione. Il che, ovviamente, non significa affatto trasferire alla
sovrastruttura ciò che è della struttura. Tanto per dire: qualche buontempone attuale (cito un nome
da nulla in sé, Moreno Pasquinelli, ma significativo, e non nuovo, come test) pensa che il “moderno
socialismo” possa rivendicare e far propri
a
l’istanza cristiana “originaria” (extra-storica, un’Idea,
una buona Idea) per combattere l’“oscurantismo” clericale, cioè brandendo una bandiera
sovrastrutturale per cambiare la struttura sociale portandola all’altezza delle “giuste aspettative”
(universali, fuori dal tempo e dallo spazio, del “cristianesimo autentico”). Più seriamente,
Lunacarskij pensava alla “fusione” tra l’istanza socialista e quella religiosa delle masse per arrivare
all’“inveramento” dell’istanza umana profonda che si agita nelle masse pervase dal sentimento
religioso. Qui ci ha pensato Lenin a dare una risposta.
Va osservato che nel trattare materialisticamente delle ideologie, il marxismo non ha mai
assunto un atteggiamento di disprezzo rispetto al fenomeno religioso “in sé” (contraddizione in
termini per noi) rispetto alle “altre” ideologie, quelle “laiche”. La presunzione laicista, in varie
forme, di aver “superato” l’“inganno” (razionale) religioso non vale più di quest’ultimo. Tutte le
chiacchiere sui diritti dell’uomo (astratto) della società borghese, a partire dai suoi punti più alti
(rivoluzione francese), non fa che nascondere una mistificazione sotto altre forme della realtà di una
società divisa in classi, la cui re-ligione diventa il
danaro
. Quest’ultimo ha trascorso poco tempo
prima di farsi Dio a sua volta, e la riforma protestante, il calvinismo in particolare, aveva già
anticipato la connessione materiale tra Dio dei cieli e Dio pecuniario in terra. La comunità umana
appare nel capitalismo sempre meno comunitaria, ma, esaurita la sbornia antiteista, essa si fonda
nondimeno su un particolare tipo di religione con tanto di un particolare Dio. Non ci stupirà che il
sogno di una cosa, il sogno della comunità umana, possa prendere l’aspetto, nelle masse, di una
petizione per una
diversa
religione, un diverso tipo di associazione collettiva. Ma, al di delle
rappresentazioni ideologiche, quale ne sarà il contenuto materiale? Qui sta il punto, qui s’incardina
la nostra azione per far sì che le spinte profonde rompano il muro immobilizzante delle vecchie e
sempre risorgenti ubbie di “falsa coscienza”. Corollario: la rivoluzione si farà con questo dato
materiale umano, e la liberazione dalla religione verrà dopo, e persino molto dopo, la rivoluzione (e
non dalla previa conversione delle masse al, mal definito, “ateismo” marxista, che, però, resta
d’obbligo per i marxisti come base della propria azione).
In aggiunta, e di conseguenza: non s’intenda mai che la religione “di per sé” costituisca un
freno ad un certo tipo di rivoluzione (salvo quella comunista). Autentiche rivoluzioni si sono
storicamente date sub specie religiosa, come si può desumere a piene mani dalla letteratura
marxista. C’è un nesso preciso tra sconvolgimenti “religiosi” sul piano sovrastrutturale e
sconvolgimenti nella base. Dico questo sino al passaggio alla rivoluzione socialista che se ne libera
(a livello di coscienza ed azione di partito, di classe; non a quello delle masse). Oltre al
cristianesimo, si pensi all’Islam. L’errore sarebbe nel dire oggi che l’Islam, ad es., è il motore di una
rivoluzione, o quantomeno dell’anti-imperialismo, come mi sembra di aver anche sentito tra noi.
Dovremmo piuttosto parlare di un dato Islam, storicamente determinato, in cui si riassume a livello
ideologico un’istanza materiale che, insieme, si raccoglie attorno ad una specifica re-interpretazione
dell’Islam “in generale” e vi inietta i semi di una serie di contrasti di classe, per quanto duri a
definirsi, che mirano ad una sua ridefinizione storica, materiale che va nel senso del suo
scioglimento rivoluzionario autentico.
Poste queste premesse, vengo al tema più a noi immediatamente vicino, quello del
cristianesimo, e in particolare del cattolicesimo.
Ciò che noi abbiamo sotto gli occhi è la presenza di una massa di giovani che in qualche
modo troviamo accanto a noi e persino, sotto certi aspetti, con noi in determinate battaglie. E’ un
mondo che noi, come collettivo organizzato, non conosciamo affatto. Non sappiamo nulla o quasi
della loro vita associativa, della letteratura cui si riferiscono, delle loro idee ed aspettative. C’è,
anche tra noi, un senso abbastanza pronunciato del fatto che dobbiamo fare i conti col “problema
cattolico”, ma, quasi sempre, il tema è bellamente rimandato alle “lotte concrete” che dovrebbero
dirimere tutte le questioni per noi ostiche o a qualche sortita “tattica” (come parlare ai cattolici per...
scattolicizzarli). Portarli su un “altro” terreno o “mediare” con essi in rapporto al “concreto”. La
cosa è assai più complicata. Per portarli sul nostro terreno, stando ben fermi sulle nostre gambe,
occorre una ricognizione attentissima del terreno “ideologico” loro, con tutte le contraddizioni che
in esso si determinano (sì, per ora, anche senza di noi come fattore agente, se crediamo un tantino
all’oggettivismo).
Non è un mistero che i cattolici vivono una loro vita associativa, comunitaria, che, guarda a
caso, il movimento operaio tradizionale ha smarrito (ragione principe per cui non può darsi,
all’immediato, un’alternativa comunitaria catalizzatrice in carne ed ossa). Questa vita associativa
non è, oggi, la stessa di sempre, o solo di un secolo fa. Per quanto lasciata ad essi pressoché in
esclusiva
, col ritiro in buon ordine del partito di classe onnilaterale, centro magnetico, questa
nondimeno risente del cambiamento sociale e politico, delle contraddizioni che si agitano nel
profondo della società. Già la Rerum Novarum era una risposta (reazionaria) al socialismo ed una
presa in carico di problemi sociali nuovi e non eludibili tali da doversene fare carico a suo modo.
Questa tendenza è oggi molto più accentuata e pone le premesse di uno sconvolgimento all’interno
della Chiesa e della società cui dobbiamo molto attentamente guardare. Azzardo un’ipotesi (credo
ben fondata): nella società presente, in cui esponenzialmente, né la borghesia il
proletariato
possono vivere come prima, neppure la Chiesa storicamente determinata può farlo; la tendenza di
fondo va nel senso di una rottura, una neo-Riforma (non più pro-borghese, come al tempo del
protestantesimo, ma rispetto all’insostenibilità del sistema borghese attuale) tra anima
conservatrice-reazionaria ed anima “rinnovatrice” di un “altro mondo possibile” (da disinchiodare
dal punto di partenza per quel che ci riguarda). Segnali di questa tendenza si avvertono già nel ’68
cattolico
di cui nessuno tra noi sa quasi nulla, ma, guarda caso, intimamente legato a quello
“rosso” –. Il fenomeno delle “comunità di base” ha molto prodotto all’epoca, di contestazione
teorica e di fatto ad un certo tipo di Chiesa, cioè di “comunità” (cito, tra tutti, la Lettera al vescovo
delle comunità milanesi, ed. Laterza, che contiene una circostanziata condanna del carattere
“simoniaco” dell’ufficialità “regnante” che sarebbe largamente da riprendere per imparare a
“colloquiare”). Ancor più vale la teologia della liberazione (al solito interpretata da “Programma”
solo come estremo inganno nei confronti della “vera rivoluzione”). A scala planetaria, “il
cattolicesimo”, in questi decenni, ha conosciuto un notevole déplacement non solo geografico, ma
sociale: è diventato più latino-americano, più nero, persino più asiatico, con uno spostamento di
toni, aspettative, motivi ideologici incontenibili alla distanza entro il vecchio quadro eurocentrico e
capitalista affluente. Nella metropoli può sembrare che il livello della vecchia contestazione
sessantottina sia andato deperendo così come è anche vero sul versante “rosso”-, ma va colto il
filo sotterraneo, sempre meno elitario, del “solidarismo” a proiezione internazionale che è andato
crescendo e che ci da sperare in proiezione come risultante, per l’appunto, della globalizzazione
progressivamente “combinata e diseguale” capitalistica.
Per esemplificare la linea di frattura prendo da un giornale (Repubblica, 23 aprile), ma,
spero, non giornalisticamente, due interviste riguardo Benedetto XVI, l’una con il leader CDU,
responsabile degli esteri, Wolfgang Schauble e l’altra con Leonardo Boff.
Mettiamo a confronto i due.
Schauble: “La gente è sempre più insicura in ogni campo (n.b.). E l’insicurezza è un buon
terreno di coltura per la nascita tra la gente d’un bisogno di ricerca di orientamento, di valori certi.
(..) I giovani cercano autorità, capacità di dar loro orientamento. Come è stato con Giovanni Paolo
II. E’ un errore della sinistra pensare che ridurre il ruolo dell’autorità migliori la condizione dei
giovani, li renda più felici”. (Traduco: il capitalismo genera anche da noi crescente insicurezza;
occorre autoritariamente ridare sicurezza in vista di uno scontro “cristiano” contro chi ci fragilizza,
il nemico “religioso”, ben individuabile, “non cristiano”, ribelle).
Boff: “Penso che la drammatizzazione mediatica (l’autorità di Schauble, incarnata da
Giovanni Paolo II e, più, da Benedetto XVI, n.) non è un buon criterio di religiosità,
un’esperienza di fede cristiana. E’ soltanto una manifestazione della delusione dell’umanità per i
leader che dominano la Terra (delusione oggi, ma domani?, n.). Bellicosi, come Bush; burocratici,
come gli europei; corrotti, come la maggioranza di quelli del Terzo mondo. (..) Quando una chiesa
(ha) una dottrina astratta e lontana dalla vita concreta dei suoi fedeli, molti non la percepiscono più
come un focolare e l’abbandonano. Ma in Brasile ci sono centomila comunità di base e un milione
di circoli biblici dove i cristiani vivono guidati dalla Teologia della liberazione condannata dal
cardinale Ratzinger ma così importante come ispiratrice di cambiamento della società. Finché ci
saranno poveri e oppressi che lottano per la vita e per la giustizia ci saranno ragioni per vivere la
fede come atto di liberazione, lo vogliano o no i custodi di una fede pura e irreale. Io mi sento
ancora erede di un Cristo che è stato perseguitato, accusato di essere un sovversivo e condannato a
morire in croce perché lottava a favore di una liberazione integrale dell’uomo” (Qui c’è poco da
tradurre, ovverosia ci sarebbe da tradurre l’istanza di Boff nei nostri termini partendo da ciò che
bolle in pentola, n.n.).
Il vecchio conciliarismo di Giovanni XXIII, in un’epoca di “coesistenza pacifica che
preludeva alla “fine del comunismo” e ad un supposto “nuovo ordine” mondiale buono per tutti, si
azzardava ad ipotizzare non solo l’uni dei cristiani, ma una sorta di ecumenismo tra tutte le religioni
“egualmente degne”. Giovanni Paolo II ha mantenuto il “dialogo”, ma in una situazione di rinnovata
frattura mondiale, reincentrando la questione attorno al primato della Chiesa cattolica, senza con ciò
“rompere con le “altre fedi” (id est col mondo islamico, non ancora dato per diabolico, tant’è che si è
potuto anche ammantare delle vesti dell’anti-Bush con juicio) e, dopo essere assurto a protagonista
della “caduta del comunismo, ha anche dovuto, in qualche modo, prendere le distanze (teoriche)
dagli “eccessi del liberalismo”. Con Benedetto XVI, e non è una questione di nomi che si
avvicendano casualmente, il gioco si fa più duro. La sponda astrattamente più vicina, quella
ortodossa, sente bene l’attacco contro la Jugoslavia (benedetto da Giovanni Paolo II, “in deroga”) e la
Russia, e non ci sente dall’orecchio ecumenico. Il protestantesimo classico sta bene incardinato
sull’asse capitalista occidentale, salvo talune frange significative (in Italia i valdesi, ad es.), che
avranno anche loro, pur sempre più distanti dal cattolicesimo, problemi a ridefinirsi rispetto alla
variante protestante egemone. L’Islam può anche profittare della presa di distanze da Bush, ma sa fino
a che punto essa si spinge e ne conosce, al di là delle attestazioni diplomatiche del momento, gli esiti.
Di p, la frattura, come attesta Boff, è ormai interna alla Chiesa cattolica stessa, per quanto ci si
voglia ritrarre da atti immediati di rottura (ricordo che lo stesso Lutero, a suo tempo, non arrivò come
un fulmine a ciel sereno, ma fu preparato da travagli secolari interni alla Chiesa). Quindi: persino un
“ecumenismo cattolico” si fa oggi più difficile e, in prospettiva, insostenibile. Non so se già questo
papa ne trarrà tutte le conseguenze nel senso di una stretta di parte, con Roma (per dire l’Occidente)
padrona e colonizzatrice, ma, di certo, di qua non si scappa. Lo spostamento della “cristianità” dalla
centralità europea, con tutto quel che ne consegue. Prendo come es. un’altra derivazione “cristiana”,
quella dei Testimoni di Geova (alle cui pubblicazioni sono abbonato). Compulsando le statistiche
degli affiliati, vedo che nelle metropoli ristagnano, mentre guadagnano fedeli in abbondanza laddove
più si soffre, dall’Africa all’Europa dell’Est liberalizzata”. La peculiari di questa setta” sta nel
mostrare che siamo alla “fine dei tempi”, che la cristiani ufficiale è corrotta e la pretesa lotta al
“comunismoaltro non è che una lotta per una dominazione economica basata sullo sfruttamento da
parte dei vari capitalisti in combutta con le rispettive chiese “cristiane”. Il criterio della “religiosità”,
quand’anche nominalmente cristiana, non è “preferito al vecchio “ateismo marxista. Certe
condanne dei fatti del capitalismo della loro letteratura non sarebbero indegni di figurare tra le nostre
(salvo che...). E salvo il fatto che costoro “non partecipano alle contese di questo mondo, si
dichiarano “neutrali” rispetto ad esse, in attesa del governo di Dio a venire. Tuttavia, anche qui
avverto che il senso comune dell’insopportabilità della situazione presente comincia a farsi p
pressante nei confronti dell’“attesa.
Esiste qualcosa di diverso se guardiamo
all’Islam? Guardate, cari compagni, per non incorrere
nell’errore di applicare ad esso una “uniformità” che invece non riconosciamo alla “nostra” religione come
istituzione, che il dibattito sull’interpretazione del Corano di fronte alla realtà presente è vivacissimo.
Prendete uno Scialoia e un imam “sovversivo” anche di casa nostra e ne avrete la conferma. Limes intitolò un
suo fascicolo ai varii Islam, ed è esatto. C’è, evidentemente, un collante maggiore rispetto al cattolicesimo
od altro allorché si parla comunque di Stati “islamici” oppressi e/o dominati, il che vale per tutto l’Islam
(quantomeno alla base di massa), ma i problemi restano gli stessi: quale Islam, e come, attraverso quali
soggetti deve emanciparsi dalla stretta degli “infedeli” (e chi sono gli infedeli?). Noi spesso blateriamo di
Islam, ma chi sa qualcosa del Corano, delle sue interpretazioni “attuali”, degli scontri che su ciò si danno in
quest’ambito che tutto è fuorché univoco
, indifferenziato?