RECENSIONE ALL’ INTRODUZIONE DI MAITAN
ALL’EDIZIONE ITALIANA DE “LA RIVOLUZIONE
TRADITA” DI TROTZKIJ
(Marzo 89)
Abbiamo sempre sostenuto che non si può giudicare i padri dai figli bastardi. Capita ai
giganti essere ingombrati da eredi mongoloidi (basta un cromosoma in più come ben si addice agli
“arricchitori” del marxismo).
Il “difetto” di Trotzkij è di non esser letto e giudicato (e non solo con riferimento ai testi) di
per se stesso, ma in riferimento a quel che del suo lascito han fatto i suoi “eredi”. Tanto varrebbe,
però, giudicare allora Marx e Lenin dall’infinita schiera di “marxisti-leninisti” che appestano la
scena da quel dì.
Per misurare la distanza tra Trotzkij e i “trotzkisti” prendiamo in sommario esame l’in-
troduzione che Maitan fece della prima edizione italiana de “La rivoluzione tradita” (Milano,
Schwarz, 1956). “Introdurre” in questo caso significa esattamente portar fuori di strada. Come dire:
leggi pure Trotzkij , ma con le lenti deformanti che qui ti fornisco in buon anticipo, altrimenti
potresti essere... deviato sulla via del marxismo, di oggi e di sempre.
“A vent’anni di distanza, in quale misura la definizione della natura dell’URSS fornita da
Trotzkij è ancora valida e quali sono i mutamenti sopraggiunti?” (pag. 14)
Prima topica. Trotzkij non parla di una astratta “natura” dell’URSS, ma delle sue
caratteristiche strutturali nel corso di un processo su cui influiscono dinamicamente forze sociali e
politiche divergenti. Non a caso, il capitolo conclusivo si pone la domanda non di “cos’è l ‘URSS” ,
ma “dove va l’URSS” ed offre delle risposte condizionate e, previsionalmente, opposte fra loro.
Se... se... Ed ognuno dei due “se” è legato a precisi sviluppi internazionali della lotta di classe, non
alla “natura russadell’economia e della società, che, come tale, semplicemente non esiste neppure
per astrazione.
Primo “arricchimento” (grazie al cromosoma di cui sopra): “La restaurazione capitalista non
ha avuto luogo, per un processo interno, per imposizione esterna.” In poche parole: l’URSS
non è andata da nessuna parte, tra quelle disegnate da Trotzkij di cui si smentisce così non una
semplice previsione, ma l’impostazione stessa del suo ferreo ragionamento marxista.
Veniamo alla spiegazione. “Le conquiste fondamentali della Rivoluzione d’Ottobre na-
zionalizzazione dei mezzi di produzione e pianificazione dell’economia, nazionalizzazione del
suolo, monopolio del commercio estero – restano alla base della società sovietica, motivo per cui (!)
il carattere non capitalista dell’Unione Sovietica non può che essere confermato”. (pagg. 14-15)
Trotzkij, a dire il vero, aveva parlato di “valore relativo” di queste “conquiste
fondamentali”, cioè relativo ai rapporti sociali e politici stabiliti sulla base di esse, e per loro natura
in movimento antagonista dentro la realtà dell’URSS (e mondiale) e perciò destinate a “risolversi”
in un senso o nell’altro. “Conferma” del carattere “non capitalista” dell’URSS? Già è esilarante
questa non-definizione applicata all’economia. Non più capitalismo, e non ancora socialismo. Che
diavolo sarà? Maitan afferma: post-capitalismo in quanto a basi strutturali economiche, pre-
socialismo in quanto il potere politico è espropriato al proletariato dalla burocrazia. L’esatto
opposto di quel che afferma Trotzkij: lotta in corso, sul terreno determinato dall’espropriazione
della titolarietà privata borghese, ma senza che ciò in nulla significhi “post-capitalismo”
economico; lotta tra due opposte opzioni sociali e politiche che la statalizzazione lascia
contemporaneamente aperte e che giudichiamo “economicamente” come base di partenza per il
proletariato in quanto l’espropriazione dei borghesi si è attuata ad opera di una rivoluzione ed essa
ha sancito un dato rapporto di forze.
“Non capitalismo”? Trotzkij scrive esattamente: “Qualificare come transitorio o
intermedio il regime sovietico significa lasciare da parte le categorie sociali compiute come
capitalismo (compreso il capitalismo di stato) e socialismo. Ma questa definizione è in se stessa del
tutto insufficiente e suscettibile di suggerire l’idea falsa (sott. ns.) che la sola transizione possibile
per il regime sovietico attuale conduca a1 socialismo. Un regresso (nel senso della fissazione
politico-sociale, giuridica, dei rapporti economici verso lo zenith capitalista e non nel senso di un
suo “rinculo” da un post-capitalismo già raggiunto in economia, n.) verso il capitalismo resta,
tuttavia, perfettamente possibile.”
Segue la magistrale definizione per punti (nove, per 1’esattezza) dei tratti che definiscono la
natura transitoria della società sovietica; e si vedrà come in questi punti di tutto si parli, fuorché
dell’astrazione di un’economia che si sarebbe di già precostituite proprie basi post-capitaliste. Sin
dall’inizio. “a) le forze produttive sono ancora insufficienti a conferire alla proprietà statale
carattere socialista” (lo sarebbero anche mettendoci Trotzkij al posto di Stalin, si noti bene!); “b) la
tendenza all’accumulazione primitiva, nata dal bisogno, si manifesta attraverso tutti i pori
dell’economia pianificata”; “c) le norme di distribuzione di natura borghese sono alla base della
differenziazione sociale” (tra sfruttatori e sfruttati, tra capitalismo e proletariato, n.); e, saltando altri
paragrafi non meno importanti; “f) la rivoluzione sociale, tradita (ma significa qualcosa questo
termine per i “trotzkisti”? , n.) vive ancora nei rapporti di proprietà e nella coscienza dei
lavoratori” (diremmo meglio: nei rapporti di proprietà in quanto frutto di una rivoluzione proletaria
di cui rimane viva, materialmente, la coscienza, n.); “e) la burocrazia, sfruttando gli antagonismi
sociali, è divenuta una casta incontrollabile (non dotata di una storia propria, ma irresistibilmente
attratta dal capitalismo, dal quale è trattenuta non dalle virtù intrinseche dei “rapporti proprietari”,
ma dal proletariato, n.) , estranea al socialismo (e che vuol dire estranea, se non antitetica, se non
spinta verso quel qualcos’altro che è... il capitalismo? , n.); “g) l’evoluzione delle contraddizioni
accumulate può portare al socialismo o rigettare la società verso il capitalismo”. Sino alla lapidaria
, splendida conclusione : “La questione sarà risolta in definitiva dalla lotta delle due forze vive
(quali?: proletariato e borghesia, non proletariato e burocrazia, n.), sul terreno nazionale e
internazionale.”
Il nostro iperdotato cromosomico, in spregio a tutto ciò, ci spiega in che senso il socialismo
in URSS non si è ancora pienamente realizzato. Mentre 1’industria è già “collettiva” (sinonimo qui
di “statizzata”, contro Trotzkij che, con Lenin, parla di tendenze all’accumulazione capitalista
dentro la cornice della statizzazione, che non è mai sinonimo di “collettivizzazione”, per tanto poco
che uno abbia sfogliato l’indice di Marx) , mentre nelle campagne predomina “una forma
intermedia (!) tra l’economia particellare e 1’economia collettiva” (pag. 15). “Intermedia”: verso
dove?, secondo quale dinamica? Maitan ci assicura col dire che “rapporti di tipo socialista non sono
ancora istituiti in uno dei due settori fondamentali dell’economia sovietica” (pag . 16). Breviter:
socialismo in industria , “intermedismo” in agricoltura.
Qui si rincula davvero rispetto allo stesso Stalin ’52, di cui si riportano “polemicamente”
alcuni passi. Diceva Baffone: “La proprietà kolkhoziana non è proprietà di tutto il popolo”, e
Maitan di rincalzo: “per un qualsiasi marxista” è chiaro che “proprietà non di tutto il popolo” e
“proprietà socialista” sono termini antitetici” (ivi). A dire il vero, per un qualsiasi marxista (diverso
da un qualsiasi “marxista”) è chiaro che sono antitetici gli stessi principi di “proprietà di tutto il
popolo” e di socialismo. Stalin ha il coraggio di parlare di produzione di merci e di legge del valore
compatibili col socialismo entro il settore di “proprietà di tutto il popolo”, descrivendo la realtà
economico-sociale sovietica. Il “marxista qualsiasi” Maitan può prendersi la briga di dirci se queste
categorie sono o no compatibili col socialismo? Scansando la domanda, dietro il paravento della
“proprietà collettiva”, “di tutto il popolo”... in industria, egli afferma di sì. Contro Marx Trotzkij e,
più modesti, nci.
Ma, imperterrito, il nostro prosegue marxisticamente”: per parlare di pieno socialismo non
bastano i contenuti giuridici (che egli stesso assume a contenuti sostanziali); ciò “implica anche e
soprattutto un preciso contenuto”. Vediamo un po’. “E’ per questo che (il socialismo) presuppone
uno sviluppo delle forze produttive superiore a quello della società capitalista”; il socialismo avrà
riportato “una vittoria decisiva sul sistema economico capitalista solo quando sarà in grado di
produrre di più di qualsiasi paese capitalista non soltanto in assoluto, ma per abitante, a un prezzo
di costo inferiore ad una quali superiore.” Qui davvero affiora la spirito del bottegaio! Produrre
“di più” (non si sa , tra l’altro, se a scala di rapporti mondiali o, competitivamente, tra paese/paesi
“socialisti” singoli e gli altri “qualsiasi paese capitalista”).
Ma che significa “produrre di più”? Si parla della produzione per i bisogni sociali o della
produzione di merci? Se si guarda al primo aspetto, possiamo dire che ogni paese in cui la
rivoluzione proletaria abbia trionfato e goda alla base di un tantino soltanto di livello di
maturazione delle forze produttive produce di più. Se si guarda al secondo, diciamo che la
riorganizzazione socialista della società implicherà produrre sempre di meno, sino ad arrivare a
zero. Ma, può obiettare Maitan, non andiamo a sofisticare. Qui si parla di quantità fisiche di
prodotto, al di della destinazione sociale. Ebbene, marxisticamente non ha alcun senso parlare di
entità fisiche, anche matematicamente non misurabili (le famose tre pere che non si addizionano
con tre mele o con... un asino della fatta del nostro). In capitalismo una precisa misura c’è, ed è
quella del valore. Stalin l’ha portata dentro il “socialismo”, pretendendo che il copyright da esso
brevettato ne cambiasse natura. Maitan sta con Stalin, se mai arriva a tanto. E sarebbe straordinario
se egli potesse chiarirci cosa significa il “prezzo di costo” inferiore. Noi, da marxisti, consideriamo
che il “prezzo di costo” di una produzione che va verso il socialismo per abbassarsi debba veder
abbassarsi il peso della quota di plusprodotto alienata capitalisticamente al lavoratore, sino
all’ottimale: saggio di profitto = zero. Qui, evidentemente, si allude invece al calcolo in termini
mercantili. Costi sociali da una parte, costi aziendali del “patron” dall’altra, e Maitan ha scelto la
sua via. Inorridirebbe sicuramente se leggesse il programma economico dei comunisti: aumento dei
costi di produzione, disinvestimento e nella spazzatura la quota crescente di produzione inutile e
nociva cui il capitalismo si dedica a “bassi costi” e con profitto (e pari alti costi sociali e nessun
profitto per la specie).
E’ la caricatura penosa delle posizioni di Lenin e Trotzkij quando dicono che bisogna
“imparare dal capitalismo” ad organizzare le basi materiali della riorganizzazione socialista della
società. Giusta in essi la preposizione: abbiamo bisogno di “un certo grado di civiltà borghese” per
rompere poi con la sua inciviltà; abbiamo bisogno di “bassi costi di produzione” (in quanto ancora
dentro la compatibilità e la macchina sociale del capitalismo) non per emulare” e “superare” il
capitalismo ed avere il diritto a trionfare su di esso in quanto... più capitalisti per portare il livello
delle forze produttive (che oggi, 1919 si noti ha già raggiunto la maturità sufficiente ed oltre,
mondialmente misurato) al grado sufficiente a seppellire il capitalismo. E quando ciò avviene non si
fanno, non si possono più fare i calcoli in cui Maitan si diletta a misurare la “competizione”
produttiva-mercantile capitalismo-”socialismo” (nazionale).
Dopo aver suonato la fanfara stalinista per cui “nonostante le distruzioni causate dalla
guerra, l’URSS ha compiuto progressi così rilevanti che neppure il più accanito dei suoi detrattori si
azzarda a contestarli” ed “è divenuta la seconda potenza industriale del mondo” (fosse la prima
avremmo la “vittoria definitiva del socialismo”!), Maitan ammette sì che “non si può parlare ancora
di salto qualitativo” (pag. 16).
Ma di che si tratta? Della “bassa produttività”, soprattutto in campo agricolo. Salto
qualitativo = superiore pil/ab. rispetto alla concorrenza. E non una parola si badi bene! sulla
radice del ritardo” agricolo, che appare qui come un puro dato tecnico e non come la conseguenza
dei più generali rapporti economico-sociali e politici che ne determinano la crisi permanente che
preme dal “basso” del settore produttivo privato (“cooperativismo” e “collettivismo” agrario
compresi) verso un pieno, “libero”, sviluppo borghese.
Poiché però Maitan si considera davvero “trotzkista”, ecco che, smaltita la sbornia da
“seconda potenza”... con riserva “qualitativa”, va a toccare quello che per lui è il punto dolente del
sistema: quello politico, rispetto al quale gli anni trascorsi dopo il ‘36 hanno indicato un
peggioramento della situazione, almeno sino alla svolta segnata dalla morte di Stalin” (una svolta
fisiologica, di cui dovremmo esser grati a Sorella Morte). Ai proletari è stato, difatti, confiscato il
potere politico. A dimostrazione di ciò, “c’è appena bisogno di ricordare che la gestione operaia ha
continuato – e continua ad essere assente dalle fabbriche sovietiche; e quando tale gestione è stata
introdotta , sia pure in forme limitate (i “trotzkisti” l’avrebbero portata “sino in fondo”, n.), in
Jugoslavia (siamo ancora negli anni degli amori “trotzkisti” per Tito! , n.), la polemica dei teorici”
sovietici si è scatenata furibonda, per il timore evidente dei burocrati che l’esempio potesse riuscire
contagioso” (pag. 19).
Impariamo così che il potere gestionale” è politico e non anche sociale su base politica. A
che valgono per i sordi le pagine vibranti di Trotzkij in cui il potere collettivo degli operai
sull’economia (che è tutt’altra cosa rispetto a quello “autogestionale” aziendale) è strettamente
connesso alla qualità, qui sì, del “tipo di sviluppo”, della destinazione del potenziale produttivo per
un determinato scopo sociale contro la logica degli interessi della “burocrazia”, la cui
appropriazione privata diseguale nella ripartizione del prodotto cova la tendenza alla
“restaurazione del capitalismo”, dalla struttura economica alla sovrastruttura politica? Il risultato è
che laddove tra sovietici e jugoslavi era in corso una lotta d’interessi nazionali (borghesi per
definizione), Maitan legge quello tra una “rivitalizzazione democratica”, per quanto limitata, del
potere “politico” della classe operaia e il timore di un contagio del genere!
“Abbiamo visto prosegue il nostro – che, secondo Marx e secondo Lenin, uno Stato
operaio avrebbe dovuto preoccuparsi di evitare il monopolio delle funzioni amministrative e
burocratiche e assicurare la partecipazione di tutti all’esercizio di queste funzioni”. Quante
bestialità in un solo periodo! In quanto vi è lo Stato, afferma Lenin, con Marx, permangono le
categorie borghesi che si tratta di “incanalare” nell’alveo Russia ’19 del capitalismo di Stato “e
di contrapporre a questo delle misure politiche che assicurino una rapida trasformazione del
capitalismo di Stato in socialismo”. Il “monopolio” burocratico, in quanto derivato da una precisa
dinamica economica (il dilagare di rapporti di produzione piccolo-borghesi), non attiene solo o
principalmente a pure funzioni amministrative”, ma rappresenta appieno il pericolo che questa
pressione “dal basso”, dagli “infiniti pori” della società reale, facciano uscire il potere politico dalla
sua “canalizzazione”. La “partecipazione di tutti” alla “gestione” ha un significato in quanto scontro
tra imperativi collettivi e tendenze borghesi spontanee, a livello politico, economico e sociale. Si
leggano le righe di Lenin sulle “origini del nostro burocratismo” e sui modi per reagire ad esse. C’è
tutto l’essenziale marxista, meno la “preoccupazione” democratica , giuridica, borghese per dirla
tutta, di stabilire paragrafi di legge sul “diritto” di “tutti” alla “partecipazione” amministrativa
della stessa macchina. Trotzkij non è da meno.
Leggere, per credere, il “Programma di transizione”, che pure non giudichiamo tra i parti
migliori del grande Leone:
“La burocrazia ha sostituito i soviet, come organo di classe (quindi: contro gli interessi
della classe operaia, n.), con la finzione del suffragio universale nello stile Hitler-Göbbels (o
Gorbacev, o Maitan, n.). Bisogna restituire ai soviet non solo la loro libera forma democratica ma
anche il loro contenuto di classe. (..) Revisione dell’economia pianificata dall’alto in basso,
tenendo presenti gli interessi dei produttori e dei consumatori! I comitati di fabbrica debbono
riprendere il diritto di controllo sulla produzione.” (pag. 69) E, si noti accuratamente, Trotzkij parla
qui di “transizione”, di un programma di transizione-ponte, in direzione di un socialismo ancora
tutto da “costruire” ed in cui, pertanto, le categorie economiche e politiche sono esse stesse
transitorie (“controllo sulla produzione” non è ancora collettivismo né può esserlo dal momento che
si parla ancora di prezzi” delle merci – e della merce-lavoro in primis –, che restano tuttora dentro
i confini borghesi). Per Maitan, all’opposto, abbiamo un collettivismo “imperfetto” perché non
“democratizzato” politicamente, giuridicamente. La capite la differenziucola?
E’ vero, lo riconosciamo onestamente, che altrove Maitan “recupera” alcune definizioni di
Trotzkij sul carattere “transitorio” della società sovietica ma non andiamo più in là di citazioni
ininfluenti sullo svolgimento del discorso fondamentale, e del resto questo “metodo” di richiamarsi
alle sacre fonti per farne poi strame è tipico dello stesso Stalin, presso il quale, all’occorrenza, si
potranno ben trovare passaggi “trotzkisti” sul pericolo della burocrazia, la necessi di una più
ampia democratizzazione etc. etc., forse un tantino al di là del livello piccolo-borghese di un
Maitan.
A riprova di questa giurata “fedeltà a Trotzkij” che nasconde una sequela interminabile di
corna, si legga la smentita delle cosiddette “previsioni” di Trotzkij (“previsioni” coerenti ad un
preciso discorso di analisi e prospettiva che, di conseguenza, non può essere accettato a bocconi: sta
in piedi o cade come un tutto). (Ovvio che non parliamo delle previsioni sui tempi e i modi dello
svolgimento dello scontro di classe, su cui errare humanum est, ma delle linee di contenuto di
esso). Leggiamo:
“Di nuovo, rispetto al 1936, vi è soprattutto, insistiamo su questo, il livello delle forze
produttive, oggi molto più elevato” (pag. 24), come se mai Trotzkij avesse legato la soluzione dello
scontro in URSS, e nel mondo, a questo sviluppo, che egli invece, in assenza di precise
controindicazioni politiche, vede sempre e più che mai esposto alla “restaurazione del capitalismo”
(se vi sono tendenze all’accumulazione presenti nella burocrazia, con l’accresciuto livello delle
forze produttive cresce la tendenza al pieno riconoscimento di esse” secondo capitalismo, ove esse
non siano rovesciate dal proletariato in armi; e se questa scesa in armi non c’è stata e la burocrazia
ha più che mai sviluppato il suo “incontrollabile” dominio “estraneo alla classe operaia” che se ne
deriva logicamente?).
“L’altro aspetto risiede nel fatto che le tendenze alla restaurazione capitalistica, data la
dinamica delle forze economiche e sociali all’interno e nel quadro della situazione mondiale di
crisi senza precedenti dell’imperialismo, sono senza confronti meno forti di vent’anni fa.” (ivi) Si
confronti Trotzkij, sempre nel “Programma di transizione”: “La nazionalizzazione (non
“collettivizza zione, n.) dei mezzi di produzione, condizione necessaria per uno sviluppo socialista
(non suo sinonimo, n.) , ha reso possibile un rapido incremento delle forze produttive (anche
Trotzkij, quindi, se l’era “immaginato”, n.). L’apparato dello Stato operaio isolato subisce nel
frattempo una degenerazione completa, trasformandosi da strumento della classe operaia in
strumento di violenza burocratica contro la classe operaia, e sempre di più in strumento di
sabotaggio dell’economia (ovvero, se si va oltre la pessima espressione: in sabotaggio del suo
indirizzo socialista, n.). Il pronostico politico ha un carattere alternativo: o la burocrazia divenendo
sempre più (il che significa: lo è già, ad un determinato grado, n.) l’organo della borghesia
mondiale nello Stato operaio, distrugge le nuove forme di proprietà e respinge il paese nel
capitalismo, o la classe operaia schiaccia la burocrazia e si apre la via verso il socialismo” ( pag.
65).
Maitan è costretto a “smentire” Trotzkij distruggendo la sua analisi e il suo pronostico
politico, e il “metodo” di dire: aveva ragione lui, ma si è sbagliato quanto a “previsioni” è
brigantesco. Basta cancellare da Trotzkij l’analisi internazionale del capitalismo, quello della
burocrazia sovietica come suo “organo dentro lo Stato operaio” e soprattutto il ruolo della classe
operaia e i conti tornano. Tornano sì...
Protesta Maitan: ma io non dico che “in assoluto” l’alternativa posta da Trotzkij abbia perso
tutto il suo valore; dico solo che “le questioni di ritmo sono sempre le più difficili da precisare e a
posteriori le cose appaiono quasi sempre sotto una diversa luce” e che “1’elemento nuovo consiste
nel fatto che la prima alternativa è divenuta infinitamente meno probabile della seconda” (pag.
25). E’ vero che qualsiasi sinfonia può essere eseguita con ritmo diverso; ma qui quel che cambia è
proprio la partitura. Da Beethoven a Jovanotti, questione di “ritmi”!
Ebbene, stiamo a vedere in che cosa “a posteriori” i “fatti” abbiano “smentito” Trotzkij e
che strada essi aprano per il futuro.
Siamo nel ‘56, torniamo a ricordarlo, a1l’indomani del XX Congresso. Alla luce di questo
dato si comprende perché Maitan corregga Trotzkij “alla luce dei fatti”: la destalinizzazione
kruscioviana è venuta a dimostrare, agli occhi di lui e dei suoi consimili antitrotzkisti, che non solo
in URSS la vittoria del socialismo, per quanto “degenerato”, è diventata più o meno irreversibile,
ma che contestualmente si è aperta la strada verso un ritiro dell’invadenza burocratica. A trentatré
anni di distanza , questa specie di bestie non ha tratto alcun bilancio dalle castronate scritte allora,
ma le ha, semmai, spinte all’estremo grado. Dopo la reazione antikruscioviana e i cosiddetti anni
della stagnazione” brezneviana , con Gorbacev si ripesca il ‘56 ad un gradino più alto e siccome,
stavolta, par proprio che la democrazia politica (borghese) stia facendo dei passi in avanti più
spediti, ecco che sta per realizzarsi la “rigenerazione” del sistema, rispetto al quale la consegna
della “rivoluzione politica” perde sempre più significato, quand’anche e sempre meno essa è
mantenuta formalmente. Una “piccola” spia di questa “evoluzione”: nel ‘56 i “trotzkisti” si misero a
rimediare appelli a Krusciov per la riabilitazione di Trotzkij; nell’89 essi possono confidare che
Gorbacev stesso (o qualche suo “sinistro”, alla El'tzin) provvedano spontaneamente alla bisogna,
ristabilendo così la “legalità” del sistema sovietico. E questa che altro è se non una rigenerazione
parziale che nasce dalle viscere stesse di un sistema di per in grado di sconfiggere i virus del
burocratismo? La compagna di Trotzkij, Natalija Sedova, rispose allora: avete deviato dalla linea di
Leone; non si può chiedere ai boia di riabilitare la loro vittima (i boia = i rappresentanti di un
sistema in cui la “destalinizzazione” segue senza soluzione di continuità allo stalinismo); nel
“Programma di transizione”, Trotzkij chiedeva al proletariato sovietico di revisionare i processi
“antitrotzkisti” per rovesciarne la condanna sulla testa dei responsabili sociali e politici, sulla testa
dell’intero sistema “burocratico” ed avvertiva che ciò non si sarebbe potuto fare prima, ma dopo il
rovesciamento della burocrazia. Che direbbe oggi, quando Gorbacev riabilita l’onore del
“compagno russo” Trotzkij per inserirlo, a dispetto di Stalin, nel novero dei propugnatori
dell’attuale sistema e i “trotzkisti” vanno letteralmente in brodo di giuggiole?
Ecco infatti le conclusioni cui arriva Maitan:
“I1 proletariato sovietico ha accresciuto in modo deciso il suo peso specifico poiché, se
anche la burocrazia si è sviluppata, ciò è avvenuto in misura assai inferiore e ciò grazie “agli
effettivi progressi dell’economia” ed avendo il proletariato raggiunto “un certo livello tecnico-
culturale” che permette loro di concepire “più chiaramente la nozione della loro forza e dei loro
diritti”. Dal che dovremmo dedurre che i proletari del ‘17, in assenza di quel “certo livello”, non
potevano avere quella “chiara nozione”, e difatti hanno fatto solo la rivoluzione bolscevica. Inoltre,
apprendiamo da Maitan che il motore dell’ascesa proletaria è “lo sviluppo dell’economia”
(statizzata), dentro la quale la burocrazia è spontaneamente condannata a svilupparsi “in misura
assai inferiore” rispetto al proletariato.
C’è di più. Con gente simile il meglio deve sempre venire. Il quadro non sarebbe completo
e peccherebbe di schematismo, se ignorassimo la situazione interna della stessa burocrazia” (pag.
28). Questa, “pur avendo un comune denominatore di interessi (..) è ben lungi dall’essere omogenea
e in effetti esistono nel suo seno sensibili differenziazioni sia orizzontali che verticali”. La
“comune” appartenenza alla burocrazia “non toglie che (i varî suoi segmenti, n.) appartengano a
gruppi diversi, che, sia pure entro certi limiti, hanno esigenze e interessi particolari”. Così, un altro
mattone dell’unitaria costruzione di Trotzkij viene fatto cadere: parlare di burocrazia senza tali
distinguo è sinonimo di incompletezza e schematismo, perché non si tiene in conto che vasti settori
(la “base”) della burocrazia sono costituzionalmente più vicini alla classe operaia che al vertice
della “casta” (“L’egemonia di Stalin ha rappresentato una necessità per l’instaurazione e la difesa
dei privilegi burocratici. Ma, nelle forme in cui quest’egemonia si è esercitata, essa ha costituito un
prezzo elevato (per la base burocratica, n.)”. “Giunta ad un certo livello di maturità, era logico che
la burocrazia nel suo insieme sentisse l’esigenza di un maggior equilibrio interno, di una maggior
stabilità, di un godimento meno inquieto dei propri privilegi”. Questi ultimi, restano in piedi, ma,
d’altra parte, la burocrazia è legata alla “necessità di difendersi dall’imperialismo” e perciò “sente
l’esigenza di assicurare, sia pure a modo suo, il funzionamento e lo sviluppo della società, in cui
opera” altro che organo del capitalismo mondiale” di Trotzkij! La burocrazia è “per sua natura”
anti-imperialista, il che significa “a modo suo” internazionalista, se le parole hanno un senso –.
Inoltre essa è interessata, con il raggiungimento della propria maturità, a colpire l’elefantiasi
stagnante del modello staliniano “per lo stesso incremento della produttività del lavoro” e poiché,
“dato che dal punto di vista tecnologico, in settori fondamentali, l’industria sovietica è
all’avanguardia (!), “l’aumento della produttività dipende, più che da ulteriori progressi su questo
piano, dallo stimolo dell’iniziativa delle masse, dalla loro effettiva partecipazione alla direzione
del processo produttivo (!!!). Per mantenersi in sella, la burocrazia, quindi, “stimola” tutto ciò,
facendo ulteriormente crescere il “peso specifico” delle masse, soprattutto da parte degli “strati
inferiori della burocrazia il 90% minimo, poniamo, n. –, che, in virtù del loro ben più diretto
contatto con le masse, si sono fatti in sostanza veicolo della loro pressione nei confronti dei vertici
della casta dominante: tanto più che talune, almeno, delle rivendicazioni degli operai rispondevano
alle loro medesime esigenze.” (pag. 30).
Così il dramma si scioglie nel lieto fine. Il nemico di ieri, il blocco burocratico
controrivoluzionario contro cui si è battuto Trotzkij, si scompone “naturalmente” al suo interno ed
una parte di esso addirittura ha le medesime esigenze” del proletariato e perciò le “veicola”, per
e per il proprio compagno di strada, cui implicitamente si domanda di non rompere l’alleanza
oggettiva così stabilitasi e, soprattutto, di non muoversi per sé, visto che c’è già chi si prende carico
della sua “pressione”. Quest’ultima cosa non è detta, ma è notorio e denunziato da altri
“trotzkisti”, cosiddetti “ortodossi” che la IV
^
Internazionale si è sempre ben guardata dal
promuovere una propria organizzazione rivoluzionaria nei paesi dell’Est. Col cosiddetto “pablismo”
questa tendenza all’esplicita rinunzia a disturbare il manovratore ha raggiunto i suoi fasti e nefasti;
ma col “post-pablismo” essa non è mutata di una virgola. Non solo in URSS, in Cina e nel blocco
dell’Est si rinunzia a questo compito (in assenza del quale Trotzkij non vedeva – poverino lui! – via
d’uscita per la rivoluzione “vittoriosa” in URSS per quella mondiale), ma persino in paesi
come il Nicaragua, pur in esplicita assenza di un potere degenerato magari, ma uscito da una
rivoluzione proletaria autentica , i “trotzkisti” non intendono rompere il “fronte unitario” della
“costruzione del socialismo in un solo paese”.
A conclusione, non possiamo che rivolgere ai compagni un reiterato invito a riandare
realmente alle fonti, da Marx a Lenin, al continuatore della battaglia di Lenin, Trotzkij, sino a
Bordiga. Da una lettura non a spizzichi di Trotzkij, cogliendo il nesso potente che vi è in lui tra
prospettiva teorica e battaglia politica, emergerà (pur tra debolezze che sono il portato di una ritirata
disastrosa del fronte di battaglia arduo da “abbandonare” alla disfatta per un “temperamento da
gladiatore” par suo –) la continuità marxista del suo discorso e si capirà meglio l’affermazione non
retorica, non sentimentale, ma storica di Bordiga:
“Davanti allo sviluppo delle forze produttive ed alla statizzazione totale dell’ industria di
oggi, 1956, che ha conservato in pieno, arrestando lo sviluppo verso il socialismo che allora
consisteva nel “salire al gradino del capitalismo di Stato”, le forme aziendali e mercantili
(inevitabili allora in ragione della bassissima potenza industriale del paese), e soprattutto davanti
alla degenerazione del partito al potere, di cui primo indicò il carattere controrivoluzionario,
Trotzkij, in coerenza all’analisi di allora, adotterebbe non solo la formula di capitalismo di Stato per
l’economia russa, ma anche quella di Stato capitalista per la politica russa, abbandonando la
definizione di Stato proletario degenerante che gli fu cara in anni meno luminosi. E quando egli
disse Stato proletario «degenerato» disse con altre parole Stato capitalista e borghese. Se quello
Stato era all’inizio di genere proletario, a degenerazione scontata era uscito dal suo genere, lo
aveva cambiato in quello capitalista”. (Struttura, pag. 415)