nucleo comunista internazionalista
interventi





IL NOSTRO INTERVENTO
ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE
DEL “MOVIMENTO NO DEBITO”

Per motivi di tempi non è stato possibile svolgere il nostro intervento di fronte all’assemblea cui abbiamo presenziato diffondendo il nostro materiale. Ne pubblichiamo la “nuda traccia” così come era stata predisposta.

Battiamo e ribattiamo, come si noterà, su alcuni chiodi. In particolare sulla questione della “democrazia violata, concussa” ecc. dai diktat di ristrette cerchie di potere capitalistico: l’1% che decide sul e del 99% insomma, come per primo ha detto e sintetizzato il movimento Occupy Wall Street. Si tratterebbe di dare o ridare effettivamente la parola a quel 99% perché l’opposizione “del popolo” turlupinato e schiacciato dagli effetti della crisi capitalistica si manifesti e imponga le sue ragioni e i suoi voleri contro quelli dell’infima minoranza oligarchica che comanda.

Ma le cose non si danno così nei fatti, né nella maniera più assoluta così, su questo piano, si pongono ed è persino probabile che di ciò se ne avvedano gli stessi gruppi politici animatori ed organizzatori del movimento. Essi non solo annacquano ma addirittura celano del tutto le determinazioni ed il contenuto di classe dell’attacco sferrato a scala planetaria dal capitale e che dobbiamo fronteggiare (mai, né nel documento originario “Dobbiamo fermarli”, né nel documento conclusivo dell’assemblea del 17 dicembre è persino nominato il vocabolo “capitalismo”. Mai!) forse con l’intento di così allargare la potenziale sfera di influenza del movimento senza porre troppe “pregiudiziali” anzi senza porne nessuna dal punto di vista proletario di classe: prima “il movimento” poi ...si vedrà.

Pia e micidiale illusione. Tanto più che nel documento conclusivo l’assemblea dichiara di volere andare oltre all’opera di agitazione sul tema del debito e di voler predisporsi a “costruire e dar voce a una opposizione politica e sociale a questo governo contrastando l’immagine di un quadro politico a cui si opporrebbero solo il razzismo della Lega e il fascismo dell’estrema destra”.

Giustissima preoccupazione, giustissimo intendimento quello di mettere in campo un’autentica opposizione politica e sociale al governo Monti, al governo del grande capitale: ma attorno a quale indirizzo, a quale programma incardinare una tale opposizione? Si tratta di rivendicare la “democratizzazione” del capitalismo, di chiamare alla lotta contro una sua variante ossia contro “il liberismo” per invocare l’interventismo “sociale” dello stato borghese, o che altro ancora?

Per quello che abbiamo visto, letto e sentito fino ad ora c’è un po’ di tutto e di più. Un po’ di tutto tranne purtroppo un’affermazione minimamente coerente dei criteri e dei principi di classe.

“Il movimento”, anche qualora fosse in piedi come realtà incisiva e non marginale, non si dà affatto e non ci consegna spontaneamente la politica anticapitalistica che è necessaria. Dobbiamo metterci del nostro. Questa è la nostra consegna!

31 dicembre 2011


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IL NOSTRO INTERVENTO ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE
DEL 17 DICEMBRE 2011 INDETTA DAL COMITATO
CONTRO IL PAGAMENTO DEL DEBITO

Il passaggio della staffetta dal governo Berlusconi a quello Monti ha messo a nudo alcune cose.

Secondo noi, una volta defenestrato il Cavaliere, è scoppiata la bolla di sapone dei cosiddetti “movimenti civili e democratici contro il berlusconismo”.

E’ risultato chiaro che le “vaste mobilitazioni” evocate anche nell’appello “Dobbiamo fermarli” (a cui a suo tempo abbiamo prontamente risposto, vedi su queste pagine “Dobbiamo fermarli: ma sarebbe questo il posto di blocco”, ndr) del “Comitato contro il pagamento del debito” non corrispondono alla realtà e così le altre cose che si dicevano in quell’appello: “il movimento di lotta diffuso che cresceva in tutta Italia... gli operai della Fiat insieme ai movimenti democratici contro la corruzione e il berlusconismo... la domanda di cambiamento e di democrazia che già aveva raggiunto la maggioranza del paese” etc.

Se fosse stata in piedi una vera opposizione, questa non sarebbe sparita di fronte al governo Monti.

In realtà in questi anni le lotte ci sono state, ma sono state sempre orientate e spese nella prospettiva smobilitante del cosiddetto “cambiamento”, cioè della cacciata del tiranno, della difesa della democrazia messa in pericolo da Berlusconi, etc.

Gli scioperi dei lavoratori (indetti nelle modalità più inefficaci) sono stati finalizzati non a contrastare l’attacco, ma alla prospettiva del cambio per via elettorale, secondo gli slogan a ciò adeguati e in vista delle alleanze da costruire su questo piano (“per la democrazia, contro la corruzione, contro il berlusconismo”...).

In questo modo gli operai e i lavoratori hanno continuato a perdere ogni battaglia, ad arretrare su tutti i fronti dell’attacco padronale.

Ma intanto nelle prospettive elettorali e nei sondaggi si costruiva una nuova possibile vittoria del centro-sinistra. Era solo e unicamente questa “la grande maggioranza del paese già conquistata dalla nostra parte per il cambiamento”.

C’è stato addirittura chi ha pensato di poter trasformare le piazze dell’ammucchiata antiberlusconiana nella nuova piazza Tahrir di Italia.

C’è chi “marxista” (virgolette d’obbligo) si è rivolto con questi contenuti finanche alla piazza del 12 marzo scorso, quella a difesa della scuola pubblica e della costituzione, quella dell’ammucchiata antiberlusconiana dove erano presenti anche i finiani, una piazza che era tutto uno sventolio di tricolori, proprio quando stavano per iniziare i bombardamenti democratici sulla Libia invocati dal democratico Napolitano.

Con quella piazza tricolore si volevano costruire gli assedi italiani ai palazzi di Berlusconi!

Da che parte stanno oggi le forze presenti in quella piazza?

Con chi stanno, per esempio, le donne di “Se non ora quando”? Abbiamo capito male noi, o hanno detto che stanno con Monti?

E gli indignati dove stanno? non sono più in piazza? non si vogliono più accampare? Cacciato Berlusconi non si indignano più!

La nostra critica, sia chiaro, non si indirizza solo a quanti, della cosiddetta “sinistra radicale”, puntano all’alleanza con il PD.

La vera “questione strategica” non è se si punta o meno all’alleanza con il PD.

Anche senza l’alleanza con il PD, la sostanza dell’azione politica non cambia quando al centro dei discorsi si mette sempre la democrazia e non gli argomenti di classe, non il punto di vista di classe.

Cioè se si mettono al centro gli argomenti che, in quanto non di classe, sarebbero condivisibili con un fronte più ampio di forze, sarebbero il comune denominatore che mette insieme tutti.

Si dice che in questo modo i lavoratori si costruirebbero degli alleati.

E allora perché oggi i lavoratori, dopo “la conquista della maggioranza del paese”, sono ancor più isolati?

Oggi la crisi del capitalismo non pone semplicemente la questione delle politiche neo-liberiste, di un nuovo modello di sviluppo, della democrazia e della costituzione da salvare.

No, pone la questione del capitalismo stesso: noi, se vogliamo organizzare veramente l’opposizione, abbiamo bisogno di una nostra politica.

Non possiamo lottare contro il capitalismo in crisi in nome dei valori propri del capitalismo.

Non si può lottare contra una cosa e al tempo stesso accreditarla.

Non si può lottare contro un nemico in nome degli stessi valori che il nemico brandisce e utilizza per imporre i suoi interessi di sfruttamento.

Lo stato democratico, vorremmo ricordare, è una conquista della borghesia.

Lo stato democratico, con le costituzioni, i parlamenti, le elezioni, è lo stato che la borghesia ha costruito su misura per se stessa, per i suoi interessi di sviluppo e di dominio sociale.

Non è una conquista del proletariato.

E se la conquista del potere politico nelle mani del proletariato è una meta lontanissima, questo non significa che allora i lavoratori hanno interesse a fare proprio l’orizzonte della borghesia, quello della democrazia per tutti, per i padroni e per gli operai, perché la democrazia e la costituzione repubblicana e antifascista preservano l’antagonismo sociale e lo sfruttamento.

La democrazia, peraltro, è la bandiera in nome della quale l’imperialismo, anche quello italiano, ha bombardato l’Iraq, la ex-Jugoslavia, la Libia.

E’ la bandiera degli imperialisti che opprimono il mondo intero.

Non può essere la nostra bandiera.

E infatti fin troppi “marxisti”, equivocando sulla democrazia, hanno finito per accreditare in Libia presunti “comunardi” cirenaico-qatarioti e si sono messi oggettivamente, se non dichiaratamente, al carro dei bombardieri della Nato.

Non è vero che la questione operaia e la questione della democrazia sono la stessa cosa.

In nome della democrazia contro Berlusconi c’erano tutti, compresi i finiani, compresa Repubblica, c’era tutto il PD in prima linea, a tratti si univa anche la Marcecaglia.

A difendere i lavoratori contro il governo Monti e alla Fiat sono tutti spariti.

Allora dov’è che la battaglia per la democrazia e quella per difendere gli interessi dei lavoratori sono la stessa cosa?

La realtà mostra l’esatto contrario.

Purtroppo questa politica suicida, delle alleanze più ampie mettendo la sordina sui contenuti, è stata fatta sia sul terreno dell’iniziativa politica delle forze che si pretendono di opposizione e sia sul terreno sindacale, dove qui ci riferiamo alla minoranza in Cgil che di fatto ha rinunciato a dare battaglia sin dalla cosiddetta “Cgil che vogliamo” e se ne vedono oggi gli esiti conclusivi, che sono o di sostanziale pacificazione con la Camusso (nonostante tutto quello che c’è stato) o comunque di paralizzante inazione.

Ma un altro punto diventa centrale in questa fase.

Oggi si legge che l’Italia sarebbe colonizzata. Non si capisce bene da chi.

C’è chi dice che sarebbe colonizzata dalla borghesia europeo-carolingia e sostanzialmente dalla Germania (né ci si limita a questo, perché si va oltre e si rinfocolano “da sinistra” sentimenti di revanche nazionale contro il tedesco, come ha ritenuto di fare la rivista “Contropiano” che ha dato spazio al video su Italia che batte Germania 4 a 3).

Ma poi ci sono altri, o gli stessi in altro contesto, che invece dicono che sono gli USA che stanno tirando il bidone all’intera Europa e colonizzando l’Italia dove intanto hanno piazzato nei punti chiave tutti uomini di Goldman Sachs.

Siano i tedeschi o gli yankee a colonizzarci, in questi ragionamenti si parla dell’Italia come di una borghesia subordinata, subalterna, alcuni hanno scritto “compradora”.

Si rimprovera a Berlusconi e alla Confindustria l’assenza di progettualità e di prospettiva che avrebbero fatto di quella italiana una borghesia perdente nella cosiddetta ricomposizione della borghesia europea: tirate voi la somma di cosa sottintende questo ragionamento. Non certo “la fuoriuscita dal capitalismo”, semmai una supposta prospettiva per un capitalismo nazionale vincente in Europa e nel mondo.

Si dice che l’Italia e gli altri PIGS d’Europa sono ricattati dal debito pubblico così come erano e sono ricattati dal debito estero i paesi cosiddetti in via di sviluppo e realmente dominati dall’imperialismo.

Questi ragionamenti sono sballati e pericolosi. Sia la difesa della democrazia e della costituzione repubblicana e antifascista, sia la revanche nazionale contro un attacco che ci verrebbe non già dalla nostra borghesia, non dal nostro nemico interno, ma da una borghesia straniera, sono volti ad annullare ogni protagonismo in proprio dei lavoratori in un paventato fronte ampio per la difesa della democrazia e della sovranità nazionale.

L’Italia invece è e resta un paese imperialista.

L’Italia è reduce dai criminali bombardamenti sulla Libia.

La crisi acuisce e porta a livelli fino a ieri impensabili la contraddizione e la guerra, per ora soltanto commerciale, monetaria, finanziaria, tra i briganti imperialisti.

Indubbiamente l’Italia è un imperialismo più debole rispetto ai concorrenti più forti.

Ma questo non cambia di una virgola né la natura dell’Italia né i nostri compiti.

Noi dobbiamo costruire l’opposizione di classe contro i padroni italiani e contro il governo Monti: questo deve essere il senso dell’opposizione alle manovre con le quali vogliono scaricarci addosso il debito e farci pagare all’infinito i loro crediti.

Non si tratta di difendere la democrazia insieme a tutti i sinceri democratici, dal PD ai supporters del governo Prodi, fino all’UDC, Fini.

Non si tratta di assumere da sinistra contenuti nazional-popolari chiamando a raccolta l’intero popolo italiano “contro i colonizzatori”.

A far questo ci pensano i nostri nemici.

Oggi nella piccola borghesia e nel ceto medio cova un fortissimo malcontento e, per fare un solo esempio, un quotidiano come Libero, che tira alla grande e si presenta con un piglio molto battagliero sta svolgendo un’azione di catalizzazione e direzione reazionaria di questo malcontento. Dobbiamo essere avvertiti di questo perché se non c’è un movimento di classe, se i lavoratori non scendono in campo, questo fortissimo malcontento che cova sotto la cenere promette davvero brutte sorprese.

Tutto al contrario nostro compito è costruire il collegamento e la solidarietà con i lavoratori tedeschi e americani; è costruire la solidarietà con i lavoratori immigrati, sul piano dell’internazionalismo cioè sul piano dei comuni interessi di classe.

Siamo chiamati a compiere passi in avanti (indubbiamente faticosissimi) nel pensarci concretamente, nel collegarci, nell’organizzarci, nel ragionare come classe e come classe internazionale.

La linea del minimo sforzo, quella che si attesta sul senso comune e sugli argomenti ritenuti più popolari (l’ammucchiata democratica contro il tiranno Berlusconi, la difesa dell’Italia contro i diktat dell’Europa carolingia) in realtà condannano i lavoratori al nullismo politico e, se non contrastati, al disastro finale.

17 dicembre 2011