nucleo comunista internazionalista
interventi






immigrati

Brevi annotazioni
sulla manifestazione
del 17 ottobre



Finalmente sabato 17 ottobre i lavoratori immigrati hanno manifestato in piazza contro il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi e l’attacco di padroni e Stato contro di essi particolarmente duro nel contesto di crisi del capitalismo.

Si è, in questa giornata di mobilitazione, dimostrata la disponibilità dei lavoratori immigrati a reagire e scendere in piazza, non appena queste siano adeguatamente preparate (al contrario, per esempio, di quanto avvenuto in quella ridicola bolgia dell’ “anti–G8 sull’immigrazione” del maggio scorso).

Diciamo innanzitutto degli aspetti positivi che si sono espressi.

Il 17 in piazza c’erano tantissimi immigrati e molti giovani “bianchi”. In piazza non c’era certo l’intero nostro fronte di lotta che dovrebbe (e deve) essere chiamato a schierarsi sulla questione dell’immigrazione la quale per noi è chiaramente parte della questione di classe. Lo ribadiamo ancora una volta di più contro le indecenti litanie, purtroppo più che presenti nella manifestazione, del declamato minestrone di tante pretese ed eterogenee “diversità” – da “gli immigrati” ai... transessuali – dentro cui “gli immigrati” sarebbero, appunto, una delle categorie “dei diversi”.

Mancavano dunque i lavoratori italiani, nonostante (ma anche del tutto in linea con) l’adesione e lo sforzo organizzativo della Cgil, la cui chiamata alla mobilitazione sui temi dell’immigrazione è proverbialmente indirizzata ai soli lavoratori immigrati (ricordate gli scioperi indetti per i soli lavoratori immigrati?) e comunque da questi esclusivamente raccolta.

I lavoratori immigrati che hanno riempito i bus del sindacato, qualche volta presenti in piazza con l’intera famiglia (pur a fronte di una presenza di donne immigrate in generale scarsa) erano connotati e visibili in quanto classe operaia, settori di proletariato industriale sindacalizzato e orgoglioso di esserlo –di questi tempi non è poco–; essi portavano sì le bandiere e gli striscioni della Cgil o della categoria o della camera del lavoro, ma quasi mai quelli del proprio posto di lavoro e della Rsu di fabbrica, fatto che avrebbe presupposto la partecipazione anche dei “bianchi”, invece assenti.

Assenti i “bianchi” come diretti compagni di lavoro degli immigrati scesi in piazza –il che evidenzia non un ma il problema–, erano presenti invece in cospicuo numero i giovani, studenti e lavoratori. Una presenza giovanile “bianca” che va valorizzata purché lo si faccia non in termini sostitutivi della massa operaia “bianca” rimasta a casa (e magari d’accordo col pacchetto sicurezza), dando soprattutto battaglia a tutte le forze sindacali e politiche di un “riformismo” mai morto e sempre pronto a cambiar pelle, le quali puntano semplicemente a suscitare generici entusiasmi ed effettive illusioni che non hanno altro seguito se non quello di una scheda da infilarsi a tempo debito nell’urna.

Altro elemento che cogliamo: attorno agli operai immigrati venuti a manifestare nella capitale, gli stessi settori di lavoratori immigrati più precarizzati quanto a condizioni di lavoro e “regolarità” del soggiorno, acquistavano nella piazza una nuova compattezza.

Il carattere non occasionale di questa scesa in campo il 17 ottobre, ovvero la capacità di tenuta e il rafforzamento dell’unità di piazza realizzata dipendono dai contenuti portati in piazza, destinati in qualche modo a segnare il seguito. E’ qui che, a nostro avviso, è necessario registrare quelli che sono deficit allo stato decisivi, di modo che la tenuta e il rafforzamento dipendono a maggior ragione da un’adeguata battaglia nostra che non si accontenti di aver contribuito a convogliare per una volta in piazza un dato numero di partecipanti come che sia, ma che inizi veramente a demarcare la propria piattaforma, inconciliabile e non “unificabile” alle altre piattaforme presenti. Solo i contenuti di una coerente battaglia di classe –sull’immigrazione e in generale– sono in grado di affrontare al modo giusto il problema del dialogo, del collegamento e dell’unificazione di forze con il proletariato bianco, e di garantire che la piazza riempita in autunno non venga poi smobilitata in primavera in funzione del pieno di voti da recuperare al centro–“sinistra” (così concorrendo a lasciare isolati i lavoratori immigrati proprio quando l’attacco contro di essi –per contrapposte “ragioni elettorali”– diviene in genere più acuto).

Quali i deficit dunque? Nella manifestazione del 17 è stato lasciato fin troppo campo libero, soprattutto sull’aspetto decisivo dei contenuti (il che ha fatto il resto sulla stessa organizzazione della piazza), alla smobilitante prospettiva centro–“sinistra” o semplicemente democratica con “sinistra” al seguito.

Molti compagni potranno non condividere queste nostre affermazioni, essendosi tra l’altro impegnati per contribuire al meglio alla riuscita della manifestazione. Ma noi li invitiamo a leggere ad esempio i commenti dell’Unità del giorno dopo (senza accontentarsi del fatto che la De Gregorio non abbia infine parlato dal palco della manifestazione per... mancanza di tempo). Vi si legge che il 17 ottobre è stata “di certo una delle proteste più chiare quanto a piattaforma programmatica: l’uguaglianza e la giustizia e il loro modo di declinarsi nelle leggi di un paese” (sic!).

E che dire ancora di Pannella che ha sfilato come un papa con il suo manipolo di bandiere gialle senza suscitare nessuna reazione? Si prenda atto che oggi, in una manifestazione in sostanziale compartecipazione tra il fronte sotto–riformista alla Obama e liberal– della “sinistra” ufficiale e la “sinistra estrema”, il figuro Pannella, oltre al signor Franceschini, hanno potuto essere più che visibilmente della partita. Secondo noi non è un caso né una mera strumentalizzazione, è un dato politico che ha trovato il suo terreno predisponente nella insufficiente connotazione di classe della manifestazione in generale quanto a contenuti, a dispetto della sostanziale connotazione operaia di chi ha sfilato (il che francamente ci brucia).

Al riguardo i promotori originari (quelli che hanno stilato la piattaforma del 25 luglio, infine accettata con qualche mal di pancia da Cgil e Arci), finanche dai discorsi fatti dal palco, hanno espresso stupore per l’adesione di Arci–Cgil e la reale mobilitazione di loro forze (nei limiti detti).

In effetti è ben presente il ricordo di anni non troppo lontani in cui queste organizzazioni giammai avrebbero accettato una gestione della piazza e del palco “democratica” insieme ai rappresentanti del Comitato Immigrati e del sindacalismo di base, perché invece erano pronti a revocare all’ultimo minuto la propria partecipazione se poco poco intuivano che non avrebbero potuto dirigere tutto dall’a alla zeta. Tagliando qui su altri discorsi, ci si annoti intanto la assoluta spregiudicatezza del (sotto–)riformismo, anche quello democratico e obamiano, pronto a utilizzare qualsiasi percorso o modalità (nessuna esclusa) per affermare i contenuti della propria generale battaglia “per i diritti e la democrazia”.

Ci si annoti, soprattutto, che sono i contenuti della piattaforma del 25 luglio ad aver consentito questa operazione. Dove a contrastare la politica di Cgil e Arci –per l’abrogazione del pacchetto sicurezza in nome della “salvaguardia della democrazia” e dell’accoglienza e integrazione compatibili con le necessità del capitalismo nazionale, senza nulla imputare ai governi di centro–sinistra perché solo il governo Berlusconi sancisce “in maniera inequivocabile per la prima volta la criminalizzazione di tutti i migranti”– non c’è stato alcun coerente discorso di classe, e sì invece l’ “umanitarismo” astratto dell’ “accoglienza per tutti” (dove, lo si cominci a vedere, un conto è dire che per noi sono e devono essere regolarissimi e non discriminati i proletari immigrati che sono qui per lavorare e altro conto è dire “libertà d’ingresso” e “accoglienza per tutti”).

La piattaforma del 25 luglio si presenta al meglio come un’accozzaglia incoerente, che, per quanti richiami vi si possano aggiungere all’unità con i lavoratori italiani, di fatto non sostanzia un discorso di classe, che non ammette zig e zag e papali contraddizioni. In essa ha trovato spazio anche la denuncia “di ogni forma di discriminazione nei confronti di persone gay, lesbiche e transgender”, con il che –se ne prenda atto– ci si allontana ancora di più da un discorso di classe, per mettere invece al centro –peraltro dichiaratamente– il tema delle “diversità”. Dunque gli immigrati non in quanto lavoratori senza pari diritti e ricattati, ma in quanto “diversi”... come i transessuali. In questo modo, a voler dare un senso, la questione torna ad essere quella della “democrazia”, delle “libertà costituzionali” e dei “diritti della persona”, assunti in tutti i sensi (e contro–sensi) possibili purché “contro tutti i razzismi e fascismi” che verrebbero coltivati all’ombra del berlusconimso e del leghismo. Dire questo non significa affatto che ce ne freghiamo delle aggressioni contro gli omosessuali. Ma non ammettiamo che questi od altri temi siano il veicolo per negare i contenuti di classe della nostra azione politica in favore di una battaglia per la democrazia che per noi si colloca sul fronte a noi avverso.

A queste condizioni diviene possibile per l’Unità come anche per i neo–extraparlamentari delle tante “sinistre” libere, popolari, democratiche, rifondarole, etc. prendere in carico la lotta contro il pacchetto sicurezza come occasione e terreno sul quale rilanciare la propria piattaforma generale di vuoto anti–berlusconismo, lontanissima da qualsiasi più slavato contenuto non diciamo di classe, ma neanche veramente centrato sul tema che riguardi un settore particolarmente discriminato di lavoratori (che questo i lavoratori immigrati sono, altro che “diversi” o “minoranze” da tutelare con la “costituzione antifascista” e la democrazia!).

Ci sta benissimo che la famosa base imponga l’unificazione delle forze e dell’azione del proletariato, immigrato e soprattutto in generale, e a questo si deve lavorare. Ma, per quanto ci riguarda, lo si può e lo si deve fare senza rincorrere “trasversalità” al fondo contrapposte agli interessi dei lavoratori, mettendo la sordina ai contenuti di classe della battaglia dei comunisti (o comunque perdendoli di vista nel concreto).
28 ottobre 2009




Volantone distribuito alla manifestazione