nucleo comunista internazionalista
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LA NOSTRA MEMORIA – 1

(Frammenti della nostra storia di classe,
sul filo del tempo)

Inauguriamo un rubrichetta che chiamiamo “La nostra memoria – Frammenti della nostra storia di classe, sul filo del tempo) dove riportare alla luce alcuni significativi materiali di lotta politica che hanno segnato la storia della corrente marxista rivoluzionaria a cui, con le nostre modeste forze, ci sforziamo di rimanere accanitamente collegati. E di trarre da essi, dalle battaglie del passato, le lezioni di classe che ci servono per la lotta politica attuale, verso la Rivoluzione del futuro.

Consideriamo il numero 0 di questa rubrichetta quanto pubblicato in allegato al nostro “Putin contro Putin…” e cioè la piccola documentazione datata 1936/38 sulle “prove di dialogo” fra fascisti e nazional-“comunisti” e l’articolo di Programma Comunista 1973 “in ricordo” dei massacri controrivoluzionari perpetrati dallo stalinismo in Spagna 1937/39 e di un macellaio stalinista in particolare a cui gli ultras movimentisti alla Lotta Continua furoreggianti in quel periodo (anni ’70) leccavano il culo.

In questo numero 1 focalizziamo l’attenzione sulla manovra controrivoluzionaria messa in atto dalla borghesia italiana nella cruciale fase – dal 25 luglio 1943 al 8 di settembre 1943 alla “liberazione” del 1945 – del passaggio di consegne fra regime fascista e quello del CLN democratico. Cambiano i regimi, cambiano i gestori, cambiano i servi, cambia il personale di servizio di un potere di classe borghese che rimane e deve rimanere inattaccabile. La forza e la volontà di riscossa sociale di migliaia e migliaia di proletari in armi è piegata, è indirizzata grazie alla politica “patriottica” e di “liberazione nazionale” del partito nazional-“comunista” italiano dentro il ferreo alveo – invalicabile – dell’ordine capitalistico.

Lezione fondamentale: pur di fronte a condizioni economico/sociali estremamente critiche e di sfascio delle strutture istituzionali e di mobilitazione anche armata di settori importanti della classe, il capitalismo italiano riesce comunque a difendere il bene supremo e decisivo, ossia il suo potere centrale di classe attraverso l’uso combinato dell’intera gamma delle forze e delle opzioni politiche borghesi. I borghesi possono arrivare, come sono arrivati persino ad allacciarsi il fazzoletto rosso al collo, avendo appena dismesso la camicia nera, per immobilizzare e fregare un proletariato deprivato della sua arma decisiva: la sua autonoma ed indipendente organizzazione politica, il suo partito di classe.

Figurarsi nelle contingenze attuali, quando talune frazioni del capitalismo italiano si fregiano e paludano delle insegne “popolari”, “sovraniste”, “nazional-patriottiche” per mantenere sottomessa e perpetuare la fregatura della classe lavoratrice d’Italia!

Presentiamo qui i capitoli finali di un articolo di inquadramento e bilancio sulla vicenda storica del potere borghese italiano: “La classe dominante italiana ed il suo Stato nazionale”, da Prometeo (rivista teorica del P.C.Internazionalista) nr. 2/1946.

Due documenti delle sezioni liguri e piemontesi del P.C.Internazionalista: “Ercoli appoggia la monarchia –  I veri comunisti gli rispondono”, aprile 1944; “Proletari: disertate i CLN”. Entrambi i documenti sono tratti dalla straordinaria raccolta “Il proletariato e la 2^ guerra mondiale”, che abbiamo ristampato in un opuscoletto di 63 pagine: qui sotto trovate la copertina e il sommario. Chi ne è interessato ce lo richieda!

Infine presentiamo due documenti (in lingua francese) sul tema in questione da “Le Réveil Proletarien” (ottobre 1943, marzo 1944) ciclostilato clandestino diffuso in Francia dall’Union des Communistes Internationalistes. Un pugno di compagni ungheresi, svizzeri oltreché francesi la cui organizzazione si rifaceva al “comunismo dei consigli” dell’area germanica.



1)

Prometeo N2/1946

La classe dominante italiana
e il suo stato nazionale

[estratto]

Il fascismo. I fattori della sua vittoria

Frattanto, il complice di avanguardia della classe dominante italiana, Benito Mussolini, provvedeva a impersonare la riscossa delle forze conservatrici e fondava il movimento fascista. La politica fascista, caratteristica del moderno stadio borghese, faceva in Italia il primo classico esperimento. Col fascismo la borghesia, pur sapendo che lo Stato ufficiale con tutte le sue impalcature è il suo comitato di difesa, cerca di adattare il classico suo individualismo a una coscienza e a un'inquadratura di classe.

Essa ruba così al proletariato il suo segreto storico, e in tale bisogna i suoi migliori pretoriani sono i transfughi dalle file rivoluzionarie. Nella inquadratura fascista, la borghesia italiana seppe in effetti impegnare sé stessa e i suoi giovani personalmente nella lotta, lotta per la vita e per la salvezza dei suoi privilegi di sfruttamento. Ma, naturalmente, il fascismo consisté anche nell'inquadrare nelle file di un partito e di una guardia di combattimento civile gli strati di altre classi tormentate dalla situazione, non esclusi alcuni elementi proletari delusi dalla falsa apparenza dei partiti che da anni parlavano di rivoluzione, ma rivelavano la loro palese impotenza.

Il compito immediato del fascismo è la controffensiva all'azione di classe proletaria, avente scopo non puramente difensivo, secondo il compito tradizionale della politica di stato, ma distruttivo di tutte le forme autonome di organizzazione del proletariato. Quando la situazione sociale è matura nel senso rivoluzionario, sia pure con un processo difficile e pieno di scontri, ogni organo delle classi sfruttate che lo Stato non riesca ad assorbire per irretirlo nella sua pletorica impalcatura, e che seguiti a vivere su una piattaforma autonoma, diventa una posizione di assalto rivoluzionario. La borghesia nella fase fascista comprende che tali organismi, sebbene tollerati dal diritto ufficiale, devono essere soppressi, e, non essendo conveniente inviare a farlo i reparti armati statali, crea la guardia armata irregolare delle squadre d'azione e delle camicie nere.

La lotta si ingaggiò tra i gruppi di avanguardia del proletariato e le nuove formazioni del fascismo e, come è ben noto, fu perduta dai primi. Ma questa sconfitta e la vittoria fascista furono possibili per l'azione di tre concomitanti fattori.

Il primo fattore, il più evidente, il più impressionante nelle manifestazioni esteriori, nelle cronache e nei commenti politici, nelle valutazioni in base ai criteri convenzionali e tradizionali, fu appunto la organizzazione fascista mussoliniana, con le sue squadre, i gagliardetti neri, i teschi, i pugnali, i manganelli, i bidoni di benzina, l'olio di ricino e tutto questo truce armamentario.

Il secondo fattore, quello veramente decisivo, fu l'intiera forza organizzata dell'impalcatura statale borghese, costituita dai suoi organismi. La polizia, quando la vigorosa reazione proletaria (così come da principio avveniva molto spesso) respingeva e pestava i neri, ovunque interveniva attaccando e annientando i rossi vincitori, mentre assisteva indifferente e soddisfatta alle gesta fasciste quando erano coronate da successo. La magistratura, che nei casi di delitti sovversivi e "agguati comunisti" distribuiva trentine di anni di galera ed ergastolo in pieno regime liberale, assolveva quei bravi ragazzi degli squadristi di Mussolini, pescati in pieno esercizio di rivoluzione e di assassinio. L'esercito, in base ad una famosa circolare agli ufficiali del ministro della guerra Bonomi, era impegnato ad appoggiare le azioni di combattimento fascista; e da tutte le altre istituzioni e caste (dinastia, Chiesa, nobiltà, alta burocrazia, parlamento) l'avvento dell'unica forza venuta ad arginare l'incombente pericolo bolscevico era accolta con plauso e con gioia.

Il terzo fattore fu il gioco politico infame e disfattista dell'opportunismo social-democratico e legalitario. Quando si doveva dare la parola d'ordine che all'illegalismo borghese dovesse rispondere (non avendo potuto o saputo precederlo e stroncarlo sotto le sporche vesti democratiche) l'illegalismo proletario, alla violenza fascista la violenza rivoluzionaria, al terrore contro i lavoratori il terrore contro i borghesi e i profittatori di guerra fin nelle loro case e nei luoghi di godimento, al tentativo di affermare la dittatura capitalista quello di uccidere la libertà legale borghese sotto i colpi di classe della dittatura proletaria, si inscenò invece la imbelle campagna del vittimismo pecorile, si dette la parola della legalità contro la violenza, del disarmo contro il terrore, si diffuse in tutti i modi tra le masse la propaganda insensata che non si dovesse correre alle armi, ma si dovesse attendere l'immancabile intervento dell'Autorità costituita dallo Stato, la quale avrebbe ad un certo momento, con le forze della legge e in ossequio alle varie sue carte, garanzie e statuti, provveduto a strappare i denti e le unghie all'illegale movimento fascista.

Come dimostrò l'eroica resistenza proletaria, come attestano le porte delle Camere del Lavoro sfondate dai colpi d'artiglieria attraverso le piazze su cui giacevano i cadaveri degli squadristi, come provarono i rioni operai delle città espugnati, come a Parma dall'esercito, come in Ancona dai carabinieri, come a Bari dai tiri della flotta da guerra, come dimostrò il sabotaggio riformista e confederale di tutti i grandi scioperi locali e nazionali fino a quello dell'agosto 1922 (che, a detta dello stesso Mussolini, segna la decisiva affermazione del fascismo, giacché la pagliaccesca marcia su Roma in vagone letto del 28 ottobre fu fatta solo per i gonzi), senza il gioco concomitante di questi tre fattori il fascismo non avrebbe vinto. E se nella storia ha un senso parlare di fatti non realizzati, la mancata vittoria del fascismo avrebbe significato non la salvezza della democrazia, ma il proseguire della marcia rivoluzionaria rossa e la fine del regime della classe dominante italiana. Questa, ben comprendendolo, in tutti i suoi esponenti, conservatori e social-riformisti, preti e massoni, plaudì freneticamente al suo salvatore.

Se questo giustamente rappresentò il primo dei tre fattori della vittoria, al secondo, la forza dello Stato, vanno dati i nomi dei partiti e degli uomini che governarono l'Italia dal 1910 al 1922, i liberali come Nitti e Giolitti, i social-riformisti come Bonomi e Labriola, i clericali in via di democratizzazione come Meda e Rodinò, i radicali come Gasparotto e così via. Al terzo fattore, costituito dalla politica disfattista dei capi proletari, vanno dati i nomi dei D'Aragona e Baldesi, Turati e Treves, Nenni e compagni, che giunsero, a nome dei loro partiti e dei loro sindacati, a firmare il patto di pacificazione col fascismo, patto che comportava il disarmo di ambo le parti, ma naturalmente valse soltanto a disarmare il proletariato.

La liquidazione dei complici del fascismo

Assunto al potere, il nuovo movimento politico della classe dominante italiana trovò la migliore intesa col Re democratico massone e socialisteggiante e non trovò difficoltà a scegliersi servitori tra i parlamentari giolittiani, liberali, radicali e cattolico-popolari. L'estirpazione di ogni residuo movimento autonomo operaio continuò in forme che potevano ormai rivestire di aspetti ufficiali l'illegalismo.

Ben presto il nuovo sistema, di cui la chiave evidente era la sostituzione del partito unitario borghese al complesso ciarlatanesco dei partiti borghesi tradizionali (prima realizzazione della tendenza del mondo moderno, per cui in tutti i grandi Stati del capitalismo in fase imperiale amministrerà il potere un'unica organizzazione politica) passò alla liquidazione del personale delle vecchie gerarchie politiche, e questi complici del primo periodo furono liquidati ed espulsi a pedate dalla scena politica. L'episodio centrale della resistenza di questo strato che troppo tardi si accorgeva dello sviluppo degli eventi, ma che storicamente mai avrebbe cambiato strada (perché cambiarla a tempo avrebbe significato rinunziare al sabotaggio della rivoluzione) fu costituito dalla lotta sorta dopo l'uccisione di Matteotti.

Questo gruppo ignobile di traditori invocò e pretese l'appoggio e l'alleanza del proletariato per rovesciare il fascismo, ma nello stesso tempo non cessò dal piatire il legale intervento della dinastia, dal fare l'apologia della legge, del diritto e della morale, tutte armi che non scalfivano per niente la grandeggiante inquadratura fascista, e dal deprecare ogni violenza di masse.

L'avanguardia cosciente del proletariato in tale momento non doveva avere lacrime per la violata libertà di questi sporchi servi del fascismo, ma, dopo avere virilmente sostenuta la bufera della controrivoluzione, ben poteva compiacersi della sorte di questi miserandi relitti delle cricche parlamentari. Da allora, invece, comincia a sorgere il prodotto più nauseante del fascismo, l'antifascismo bolso, incosciente, privo di connotati, incapace di classificare storicamente il suo avversario, incapace di capire che, se questo ha potuto vincere, è perché le vecchie risorse della politica borghese erano fruste e fradicie, incapace di intendere che solo la rivoluzione può superare la fase fascista, e che contrapporvi il nostalgico desiderio del ritorno alle istituzioni e alle forme statali del periodo che la precedette è veramente la più reazionaria delle posizioni.

Durante il suo primo periodo, il fascismo sedò le resistenze, liquidò i residui delle vecchie organizzazioni politiche, impostò la sua non originale e non risolutiva soluzione delle questioni sociali prendendo a prestito dai programmi del socialismo riformista la inserzione nello Stato degli organismi sindacali e la creazione di un meccanismo arbitrale centrale, che, al fine supremo della conservazione dello sfruttamento padronale, compensava i guadagni e le rimunerazioni dei lavoratori contenendo a grandi sforzi in un piano economico generale la speculazione capitalistica.

Ma questo primo esperimento di amministrazione politica totalitaria della vita sociale, nell'ambiente economico italiano di scarso potenziale intrinseco, dette risultati assai meschini, e l'apparente solidità del regime si mantenne solo con l'abuso smodato di una retorica parolaia, che fu la continuazione fedele della vuotaggine del tradizionale parlamentarismo italiano.

Dal punto di vista convenzionale e borghese, il fascismo segnò una nuova era rispetto al ciclo precedente della classe dominante italiana, nelle sue vicende di politica interna ed estera. Contro la concorde, benché opposta affermazione di questa antitesi da parte dei dottrinari da operetta del fascismo e dell'antifascismo, una valutazione marxista riconosce la logica e coerente continuità e responsabilità storica nell'opera e nella funzione della classe dominante italiana prima e dopo il 28 ottobre 1922. Tutto ciò che è stato perpetrato e consumato dopo trova le sue premesse necessarie in quanto si svolse nei precedenti decenni.

Lo stesso movimento fascista, con la pseudo-teoria che mai seppe prendere corpo, nasce con continuità di atteggiamenti, di consegne, di organizzazioni e di capi, dal movimento dei fasci interventisti dal 1914, a cui si richiamano quasi tutti i movimenti che si vantano antifascisti.

La diretta continuità di movimenti tra il periodo parlamentare, quello fascista e quello post-fascista odierno, può leggersi nel processo di liquidazione della tradizione antivaticana. Quando la sinistra proletaria ripudiava l'anticlericalismo di maniera, le veniva rimproverato di favorire il pericolo clericale. Ma in realtà, non solo la politica indipendente proletaria si giustificava con la valutazione che tale pericolo non era più grave di quello di snaturare nella collaborazione massonica la fisionomia classista del partito proletario, ma con la certezza che quel pericolo era uno spettro fittizio, e che, in un avvenire non lontano, per quanto allora presentato come ingombrante paurosamente tutto l'orizzonte storico-politico, sarebbe stato disinvoltamente e sfrontatamente dimenticato.

Parallelamente all'intelligente politica del Pontificato verso i nuovi rapporti sociali di classe del mondo borghese, l'intransigente partito clericale si mutava all'indomani della guerra nel "Partito Popolare Italiano", oggi "Democrazia Cristiana", operante nell'ambito della costituzione parlamentare italiana.

Il movimento cattolico era stato, come quello socialista, contro la guerra, il Papa Benedetto XV aveva trovata la potente invettiva dell'inutile strage, e dicono fosse morto anzitempo nello spettacolo dei cristiani massacrantisi in nome di Dio. Seguì alla guerra una politica di realismo opportunista. Come tutte le forze borghesi, i cattolici videro con gioia l'azione fascista sventare il pericolo rosso ed al fascismo offrirono nei primi ministeri diretta collaborazione. Liquidati, insieme agli altri servi sciocchi, nella crisi 1924-25, i popolari cattolici operarono la lenta conversione che li presenta oggi come uno dei pilastri d'angolo dell'antifascismo.

Frattanto il Vaticano proseguiva senza interruzione la sua politica di liquidazione delle intransigenze anti-italiane, e, malgrado la polemica teorica contro la pseudo ideologia fascista deificante i concetti di Patria, di Stato, di Razza che esso non poteva tollerare, perveniva alla completa conciliazione, vecchio sogno di tutti i conservatori italiani, attuando all'apogeo del ciclo fascista il Concordato del 1929 e chiudendo la fase storica di conflitto aperta nel 1870.

La dinastia sabauda, al tempo stesso bigotta ed atea, pietista e massonica, credeva di consolidare ulteriormente, con questa conquista, la sua base politica. La rinascente pretesa democrazia di oggi, intenta stupidamente a disfare pietruzza per pietruzza l'edificio fascista, non ha trovato una frase né una parola contro il concordato di Ratti e Mussolini, o per far rivivere, sia pure a scopo commemorativo, la gloria della sua passata retorica anti-vaticana. Quando il dominatore che Re e Papi temettero ed elevarono a loro pari con Collari e Croci, fu travolto da altre forze, la gerarchia del Quirinale e quella del Vaticano furono concordi nella politica di presentarsi come nemiche e demolitrici del potere di Mussolini. Se nel guazzabuglio politico dei partiti dell'antifascismo, qualche timida obiezione sorge alla pretesa di verginità antifascista dei Savoia, o almeno di Vittorio Emanuele III, è quasi completo il silenzio nei confronti dell'analoga manovra politica compiuta dal pontificato attuale. Sta a spiegare, questa differenza di comportamento, insieme alla congenita vigliaccheria dei politicanti italiani, il fatto che, mentre le azioni del re sabaudo sono poi precipitosamente cadute, la curia vaticana è tuttavia una forza storica di assoluta efficienza, non scossa, e forse anzi rinvigorita, dalle vicende della guerra.

E la posizione di questa forza nei rapporti del conflitto tra le classi sociali dimostra ancora una volta la continuità e la rispondenza tra le posizioni borghesi fasciste e quelle antifasciste, che, malgrado la diversità delle presentazioni retoriche, fanno fulcro sui concetti di collaborazione delle classi e sulla propaganda di economie pseudo collettive, che salvano il principio dello sfruttamento borghese tentando di evitare l'opposta pressione dell'organizzazione proletaria.

Il pontificato oggi, nelle comunicazioni fatte nel corso della guerra, se talvolta, quando l'esito di questa era indeciso, è giunto ad enunciare una critica delle sue cause che ne riporta l'origine ad epoca assai più remota del sorgere dei regimi di Mussolini e di Hitler, denunziando le tremende sperequazioni tra le fortune plutocratiche e la miseria operaia caratteristiche della moderna società, nel suo programma positivo, economico e politico, riecheggia i motivi reazionari del corporativismo fascista e della democrazia progressiva, oggi in voga. Fondare in politica la democrazia su qualità morali dei governanti e dello strato professionale governativo, è parola storica tanto retriva quanto l'invocazione di una economia di frammentazione della ricchezza, di polverizzazione della proprietà, che vuol dare agli oppressi economicamente l'illusione che il capitalismo, anziché spingersi sempre più follemente verso i vortici delle disparità economiche, si possa volgere ad un regime dove tutti al tempo stesso saranno lavoratori e proprietari.

Non diversamente parlò alle masse sfruttate il fascismo, e non è meraviglia che gli economisti delle democrazie politiche e sindacali accettino le parole economiche vaticane, convergendo nel piano della socializzazione dei latifondi e dei monopoli, che non maschera altro che il divenire monopolistico e fascistico del capitalismo statale.

Clericali ed anticlericali ieri, fascisti ed antifascisti oggi, i borghesi, nel mondo come in Italia, sono veduti dal metodo storico proletario percorrere un unico ciclo ed una crisi parallela.

Il ridicolo "bis" del Risorgimento

È per tutto questo che l'odierna parola della ripetizione e della restaurazione delle conquiste del Risorgimento nazionale italiano risulta molto più reazionaria delle stesse parole d'ordine del fascismo. Non solo un "bis" di questo genere è storicamente un non-senso, ma la via del Risorgimento non è altro che la via che ha condotto al regime fascista come al suo sbocco storico.

L'idea che il fascismo vada considerato diversamente da tutti gli altri processi sociali e storici, come una malattia, o se si vuole, come una distrazione della storia, come una parentesi bruscamente aperta e bruscamente chiusa, come un'alzata e calata di sipario su uno spettacolo ributtante, equivale a ritenere che tale fase storica non abbia le sue radici in tutti gli eventi che la precedettero e che gli eventi ad essa successivi possano non essere influenzati da essa. Tale idea è l'opposto della concezione scientifica e marxista della storia, e va da questa spietatamente respinta. Tale idea, infine, equivale a ristabilire ed esaltare, sotto pretesto di radicalismo antifascista, le cause stesse della generazione del fascismo, ed è la più forcaiola delle idee che la politica di questi tempi abbia potuto mettere in circolazione. La coscienza politica del proletariato respinge dunque l'invito a dare alla classe dei suoi sfruttatori nuovo appoggio e nuova alleanza per ripercorrere insieme la strada che ha condotto alla presente situazione, e rifiuta di prendere anche per un momento sul serio la presentazione della borghesia italiana sotto la luce romantica che pretendeva irradiarla nelle prime sue manifestazioni cospirative ed insurrezionali di un secolo addietro. Accreditare la classe dominante italiana con questo colossale trucco storico e politico è meno facile che presentare come candida verginella la più esperta e matura professionista del meretricio.

Comunque, la situazione succeduta al fascismo è di tale miseria politica, che non contiene nemmeno gli elementi retorici che rispondono a queste banali riesumazioni, alla nuova rivoluzione liberale ed al Risorgimento seconda edizione.

Come si può dire che il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo è l'antifascismo quale oggi lo vediamo, così può dirsi che la stessa caduta del fascismo, il 25 luglio '43, coprì nel medesimo tempo di vergogna il fascismo stesso, che non trovò nei suoi milioni di moschetti un proiettile pronto ad essere sparato per la difesa del Duce, ed il movimento antifascista nelle sue varie sfumature, che nulla aveva osato dieci minuti prima del crollo, nemmeno quel poco che bastasse per poter tentare la falsificazione storica di averne il merito.

Vi furono negli anni del fascismo ed in quelli di guerra opposizioni, resistenze e rivolte, come vi sono state nelle zone tenute dai fascisti e dai tedeschi lotte condotte da partigiani armati. Ma mentre il politicantismo borghese è riuscito a dare a questi movimenti le sue false etichette liberali e patriottarde, nella realtà sociale tutti quei conati generosi vanno attribuiti a gruppi proletari, che, se nella coscienza politica non si sono saputi svincolare dalle mille menzogne dell'antifascismo ufficiale, nella loro battaglia esprimono il tentativo di una rivincita di classe, di una manifestazione autonoma di forze rivoluzionarie tendenti a schiacciare tutte le forze nemiche degli strati sociali dominanti e sfruttatori.

Il tracollo decisivo del regime fascista è derivato dalla sconfitta militare, dalla logica politica di guerra degli alleati, che, conoscendo la fragilità dell'impalcatura statale militare italiana, hanno localizzato presso di noi i primi formidabili colpi d'ariete della loro riscossa contro i successi tedeschi. Quando il territorio italiano era largamente invaso, il fascismo perse la partita non per il gioco dei suoi rapporti di forza coi partiti italiani antifascisti, ma per il gioco di rapporti di forza tra l'organismo statale militare italiano e quelli nemici.

La crisi della sconfitta e la parodia antifascista

Poiché la crisi culminante dello Stato borghese italiano (e non del solo fascismo che non era che la sua ultima incarnazione) non coincideva affatto nel tempo con la crisi dell'organismo militare tedesco, si determinò la situazione di liquidazione catastrofica di tutta la forza storica della classe dominante italiana. Questa, nel suo tentativo di gettare a mare l'alleato facendosene un merito agli occhi del vincitore, percorse una via rovinosa, perché in realtà non aveva più forza per costituire una seria pedina nel gioco dell'uno o dell'altro dei contendenti. Cercò di non confessarlo, e tutti gli attuali partiti dell'antifascismo furono complici nella responsabilità di questa vergognosa per quanto vana truffa politica.

Monarchia, Stato Maggiore, burocrazia, dapprima gettano a mare Mussolini, ma, non avendo nulla preparato di positivo per affrontare non tanto il fascismo, quanto il suo alleato tedesco, sono costretti a vivere l'ignobile farsa dei 45 giorni, in cui dicono corna di Mussolini ma proclamano che il popolo italiano deve seguitare a combattere la guerra tedesca. Preparano, poi, non il cambiamento di fronte, impossibile ad un popolo e ad un esercito ormai incapaci di combattere e stanchi di sacrificarsi dopo tutte le vicende passate, ma esclusivamente il loro salvataggio di classe, di casta e di gerarchie, poco curandosi che tale salvataggio di responsabili e complici inveterati della politica fascista duplicasse l'amarezza del calvario del popolo lavoratore italiano.

In questo quadro di clamoroso fallimento corrono a rioccupare i loro posti i partiti della pretesa sinistra antifascista, e quelli che sfruttano i vecchi nomi dei partiti della classe proletaria italiana. Ma nessuno di essi rifiuta la corresponsabilità di questa colossale manovra di inganni e di menzogna.

L'Italia che aveva vissuto per 22 anni di bugie politiche convenzionali, rimane nella stessa atmosfera, aggravata dal disastro economico e sociale. Nessuno dei partiti antifascisti trova la forza di contrapporre alla retorica della immancabile vittoria della banda mussoliniana, l'accettazione coraggiosa della realtà della sconfitta. Essi si pongono sul terreno banale della parola antitedesca cercando invano di presentare ai vincitori una Italia che, facendo per quattro anni la guerra contro di essi, fosse in realtà una loro alleata, e promettendo ciò che nessun partito italiano poteva mantenere, cioè un apporto positivo alla guerra contro la Germania, ed in realtà anche dal punto di vista nazionale non riescono ad un salvataggio parziale ma cadono in un peggiore disfattismo.

Le parole dei giornali dei partiti che si dicono rivoluzionari, echeggianti completamente quelle fasciste – unità nazionale, tregua di classe, esercito, guerra, vittoria – parole altrettanto false quanto allora, mascherano soltanto la libidine di dominio delle classi privilegiate, pronte ancora una volta ad un mercato fatto sulla carne e sul sangue dei lavoratori, e rispondono al tentativo di salvare alla borghesia italiana una posizione di classe economica dominatrice, sia pure vassalla di aggruppamenti statali infinitamente più forti, mediante l'offerta della vita, degli sforzi, del lavoro della classe operaia, a vantaggio prima della guerra, poi del peso titanico della ricostruzione. La borghesia italiana, la stessa che si servì di Mussolini, che plaudì a lui, che lo seguì nella guerra finché fu fortunata, firma coi suoi nemici un armistizio che non può pubblicare, perché con esso ha tentato di risalire dal vortice che la inghiotte a tutte spese di quelle classi che da decenni ha ignobilmente sfruttate e che spera di poter seguitare ad opprimere, se non come padrona assoluta, come aguzzina di nuovi padroni. Di questo segreto contratto e del suo spietato carattere di classe sono volontariamente corresponsabili tutti i partiti che agiscono oggi nel campo politico italiano, che accettarono di coprire la manovra con l'adozione delle false parole dell'alleanza, dell'armamento, della guerra, e che non osano, pur abbeverandosi ad un'orgia di liberalismo, avanzare nessuna timida eccezione critica alla dittatura di queste colossali menzogne.

Ritornando alla tesi-base dell'antifascismo di tutte le sfumature, secondo cui il fascismo fu ritorno reazionario di regimi pre-borghesi e feudali, e dopo la sua caduta si pone il postulato di ricominciare la rivoluzione ed il Risorgimento borghese con la solidarietà di tutte le classi, dalla borghesia al proletariato, e dopo di aver dimostrato l'enorme falsità storica e politica di questa posizione, deve concludersi che, se per un momento la tesi fosse vera, la rinascente borghesia avrebbe dovuto ricominciare il suo ciclo nelle forme iniziali che gli furono proprie, forme di dittatura di classe, di direzione totalitaria del potere, e non di tolleranza liberale.

Lo stesso fatto che le gerarchie politiche oggi prevalenti sono state incapaci a scorgere la necessità, per estirpare il fascismo, di una fase di dittatura e di terrore politico, dimostra che tra il fascismo ed esse – come insegna la valutazione fatta secondo le direttive marxiste – non vi è antitesi storica e politica, che il fascismo nei suoi risultati non è storicamente sopprimibile da parte di correnti politiche borghesi o collaboranti, che gli antifascisti di oggi, sotto la maschera della sterile ed impotente negazione, sono del fascismo i continuatori e gli eredi, e prendono atto passivamente di quanto il periodo fascista ha determinato e mutato nell'ambiente sociale italiano.

E a conclusione di quelli che sono gli aspetti internazionali della commedia e della tragica farsa che va dal 25 luglio all'8 settembre, va ribadito che l'armistizio italiano non fu vero armistizio.

È mancato quel mercato militare che è la base del fatto giuridico di armistizio. Era inutile stipularlo, e bastava proclamare ovunque la consegna dei frammenti di territorio italiano alla forza del primo occupante straniero. Il mercato è stato politico e di classe; quei gruppi, espressione della classe dominante, hanno tentato di barattare il privilegio di governare e sfruttare l'Italia, ossia la classe lavoratrice di questo paese, contro la firma di una serie di condizioni di servitù politica ed economica, che la forza del vincitore era ben libera di realizzare col suo diritto storico, ma che tuttavia la sua propaganda può oggi presentare come giuridicamente garantite.

Con l'armistizio, la casta militare italiana, nella immensa maggioranza, non invertì le direttrici del tiro, ma si preoccupò solo di rubare e vendere il contenuto dei depositi, dopo aver buttato via armi e divise. I fascisti, evidentemente, lo facevano per sabotare l'alleato, gli antifascisti per sabotare i tedeschi. Soltanto a tale risultato poteva condurre il capolavoro della tremenda opposizione antifascista italiana che, con la doppia manovra 25 luglio-8 settembre, coronò degnamente il corso della classe dominante italiana in un secolo di storia. Da allora questo metodo geniale ha preso il nome di "doppio gioco" con la caratteristica della sua miserabilità, e con quella che esso non è servito nemmeno ad ingannare il padrone, da nessuno dei due fronti.

Il collasso delle classi dirigenti in Italia e il proletariato

Se nell'andare alla rovina la classe dominante in Italia avesse lasciato superstite qualche suo gruppo dotato di forza sociale e politica autonoma, o almeno di una residua coscienza culturale ed intellettuale, lo si sarebbe sentito da ambe le parti del fronte lanciare la parola, sia pure utopistica, della liberazione del territorio da qualunque straniero, e accusare di tradimento della patria tutti i partiti e gli uomini del 25 luglio, dell'8 settembre e del mostruoso blocco antifascista avallatore dell'armistizio, come i fascisti che nel Nord si sono asserviti all'altro campo dell'imperialismo straniero.

Lasciando al loro disastro tutti i relitti borghesi, sia quelli che sono sopravvissuti nel professato vassallaggio ai due grandi contendenti della guerra, sia eventualmente gli ultimi mistici non venduti di una indipendenza e di una patria italiana, il partito nuovo della classe operaia italiana, impostando le sue soluzioni sulle forze internazionali di classe, dovrà in ogni caso sconfessare i due armistizi consumati nel disastro della guerra italiana e condurre la sua lotta politica contro tutti i gruppi che si sono schierati nei due governi della penisola e che hanno parlato di una collaborazione alle forze di guerra da entrambe le parti.

Soprattutto, vinta la guerra da parte degli Alleati, il proletariato italiano non ha alcun interesse a sostenere le rivendicazioni che i gruppi del governo di Roma avanzano per le loro "benemerenze", in quanto ogni concessione a questi da parte del vincitore sarà pagata dallo sfruttamento dei lavoratori d'Italia, e si porrà contro il loro cammino verso l'emancipazione.

La parola contraria, che vuole invece poggiare tali rivendicazioni sull'unità solidale delle classi e dei partiti d'Italia, deve essere dal proletariato respinta come disfattista e controrivoluzionaria.





2)

il proletariato e la 2^ GM 


Partito Comunista Internazionale

PROLETARI ! – DISERTATE I COMITATI
DI LIBERAZIONE NAZIONALE

I dirigenti cosiddetti comunisti (che noi chiamiamo giustamente voltagabbana, per il semplice fatto che hanno tradito l'idea base del partito sorto a Livorno nel 1921), si atteggiano a difensori dei partiti componenti il C. di L.N. (vedi Unità di domenica 17 giugno) i quali, essendo rappresentanti della classe borghese, sono di conseguenza i creatori del metodo fascista, il quale fu creato dalla borghesia per impedire la marcia trionfale del proletariato verso la presa del potere politico. Dire come è stato detto da un massimo esponente del centrismo: che il fascismo è stato un errore commesso dalla borghesia, è una menzogna a duplice portata, poiché da una parte si vorrebbe ridurre ad un semplice sbaglio (e perciò riparabile in sede giuridica) le grandi sofferenze ed il sangue versato dal proletariato in un quarto di secolo, e dall'altra negare la realtà di un periodo di dominazione capitalista sulla base dei propri interessi classisti di accumulazione di ricchezze e di mantenimento dell'autorità borghese nei confronti di un proletariato combattivo, ed infine negare il ruolo di avanguardia nella provocazione alla guerra, di quella guerra voluta del capitalismo poiché tutta la società capitalista mondiale era contaminata alle sue stesse basi. Il fascismo non è uno sbaglio ma bensì l'arma controrivoluzionaria che la borghesia sa servirsi in date situazioni, in dati settori del mondo capitalista.


PROLETARI !


Oggi sul settore italiano il metodo fascista ha finito il suo ruolo di conservatore degli interessi di classe del vostro nemico, al suo posto subentra un altro metodo che ha come base la demagogia, l'imbroglio e la deformazione delle idee proletarie, anche questa volta la borghesia non commette uno sbaglio, anzi per essa è una vera cuccagna di poter servirsi di organismi ad etichetta proletaria per convogliare il proletariato al carro della ricostruzione, vale a dire al carro dello sfruttamento, di poter avere dei ministri di governo «comunisti». Quello che conta per il capitalismo è una sola cosa: impedire al proletariato di trovare il filo di congiunzione con le vecchie battaglie e continuare così il grande cammino della lotta di classe verso la sua totale emancipazione economica e politica.


Lavoratori! Ieri con il fascismo, oggi con il C. di L.N., la borghesia continua a dominare e ad illudervi. Il centrismo dirigente ci chiama traditori? Noi rispondiamo che se si tratta di traditori della patria possono risparmiare il loro fiato, noi come tutti i proletari non abbiamo patria, abbiamo una classe che si chiama proletariato, se per traditori si vuole alludere alla nostra posizione contro la guerra e alla nostra parola d'ordine: proletari disertate e sabotate la guerra, ebbene per noi è un onore immenso di avere denunciato il massacro tra i proletari dei diversi paesi. Se infine noi siamo dei traditori perché non apparteniamo al C. di L.N. dichiariamo subito che questi insulti non ci toccano poiché si deve provare che il Partito Internazionale ha tradito la causa della classe proletaria e la sua rivoluzione, anzi denunciando al proletariato il C. di L.N. noi non facciamo altro che continuare a smascherare il mostro capitalista disposto a trasformarsi esteriormente in ogni situazione pur di mantenere intatto il suo metodo di prelevamento del sangue e dei sudori sul lavoro degli operai e lavoratori tutti. Noi non crediamo sia un insulto quello di dire che nel C. di L.N. si rintana il capitalismo nelle sue diverse spoglie, fascismo compreso, noi non crediamo sia un insulto dichiarare che il centrismo collabora con i peggiori nemici del proletariato, che ha rinunciato ad ogni principio classista accentuando i principi antiquati della borghesia patriottarda. Il vero insulto verso il proletariato è proprio quello di chiamarsi Comunista da parte di un partito il cui contenuto politico rappresenta tutto, salvo l'idea rivoluzionaria e classista,

Abbasso i disfattisti della rivoluzione proletaria:


Abbasso i collaboratori e conservatori del dominio borghese!


W la rivoluzione proletaria italiana e mondiale!


Il C. F. di Torino e Provincia del Partito Comunista Internazionale

(senza data – Biblioteca genovese dell'Istituto Gramsci, fondo Gaetano Perillo)





ERCOLI APPOGGIA LA MONARCHIA
I VERI COMUNISTI GLI RISPONDONO

OPERAI!


Il partito centrista staliniano, che ancora usurpa l'appellativo di comunista, vi ha dato nei giorni scorsi per bocca del suo capo Palmiro Togliatti (Ercoli) l'ultima più inconfutabile prova del tradimento della vostra causa rivoluzionaria: l'appoggio del centrismo alla monarchia dei Savoia. Legati mani e piedi al giogo della reazione borghese, al Badoglio del 25 luglio, che vi massacrarono con le mitragliatrici e con i carri armati dopo appena qualche ora di respiro dalla caduta del fascismo, i centristi non si accontentano ora più di essere i servi e i paladini della borghesia democratica antifascista, si fanno gli iniziatori più sfacciati della repressione e dell'imperialismo.


Se ancor ieri potevate vedere su questi signori la maschera di un preteso sinistrismo antimonarchico e antibadogliano; se ancora vi si poteva presentare abilmente confezionato l'ormai ammuffito minestrone della tattica e dello strattagemma machiavellico di una sedicente politica di Comitato di liberazione nazionale che pur lontanissimo dalla vera tattica intransigente di ogni genuino rivoluzionario, tuttavia si atteggiava a difensore di una Italia nuova, libera dai legami con i venti anni di fascismo, oggi invece la maschera è gettata e la famosa tattica, raggiunto il culmine del suo vantato realismo, è divenuta, nell'alleanza col re, più che realista, regalista. Chi, di questo passo, oserà ancora definire realmente antifascisti costoro, i quali, per amore dell'agognata carriera della medaglietta non hanno esitato a porsi accanto ai fomentatori del fascismo ed a salvare quella casta di militaristi e di generali che il nominato Togliatti ha ritenuto altamente preziosi per la creazione di un futuro, poderoso esercito italiano? Di fronte al volgare tradimento centrista non avete che una scelta: una volta definita la natura reazionaria di quello che fu un giorno il vostro partito, rompere ogni legame con esso per salvare il vostro avvenire e, liberati dalla tenaglia guerrafondaia che vi incita alla lotta antinglese o antitedesca, schierarvi nelle file del PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA, continuatore instancabile di Marx e di Lenin, per la trasformazione del conflitto imperialista in una guerra civile, in una lotta di classe, per la creazione di quelle premesse rivoluzionarie necessarie per la vostra vittoria di domani, che consistono oggi in una costante assidua opera di chiarificazione politica, ideologica, di preparazione di quadri, di creazione di fronti unici di base sotto la guida del nostro partito, di disfattismo contro la guerra ed i guerraioli di ogni colore, di sabotaggio, di diserzione.


OPERAI!


nessuno, né la Germania, né l'Inghilterra, né l'America e neppure la Russia staliniana, vi porterà la rivoluzione. Voi soli, se avrete la decisa volontà, sarete in grado di conquistare le vostre libertà.


Come i comunardi di Parigi del '71, come gli operai di Pietroburgo e di Mosca del '17, uniti nel vostro vero partito, iniziate la lotta decisiva per la vittoria del Comunismo che solo può nascere là dove l'oppressione e la guerra borghese sono combattute con l'arma vera del proletariato: la guerra di classe in tutti i paesi, all'interno dei fronti di battaglia, nelle città, nelle fabbriche, nelle campagne!


VlVA la Rivoluzione Comunista Internazionale!


Il Partito Comunista Internazionalista

(aprile 1944 – Biblioteca genovese dell'Istituto Gramsci, fondo Gaetano Perillo)




INDICE


Il proletariato e la seconda guerra mondiale
(Battaglia Comunista nn. 28, 29, 31, 32 / 1947 - 2, 5, 11 / 1948).......................... pag. 1


Documenti e manifesti della Frazione di Sinistra
e del Partito Comunista Internazionalista
dal novembre 1943 al settembre 1945





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