nucleo comunista internazionalista
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Dalla parte dei barbari

(estratto sul vertice dei non-allineati di Harare)

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Al vertice di Harare dei non-allineati Gheddafi (con cui noi non simpatizziamo, che noi non appoggiamo: diciamolo subito per gli Imposimato così come per certi sospettosi nostri lettori "ultrasinistri") si è fatto bandiera di una lotta sacrosanta, cui manca "solo" una direzione comunista anche nella periferia e la scesa in campo, sotto la stessa direzione, del proletariato metropolitano.

Che lo spettro di Bakù sia risuonato attraverso la voce di un rivoluzionario borghese inconseguente non ci spaventa a mo’ di chi teme che gli si rubi il marchio di fabbrica. Rappresenta, al contrario, l’emergenza di un problema oggettivo che sta a noi prendere decisamente a carico.

Cos’ha detto Gheddafi? Delle brucianti verità.

Primo: il non-allineamento non esiste: "Gli Stati Uniti sono contenti di questo movimento, perché è una gran farsa internazionale. Ogni tre anni venite qui da molto lontano, vi sorridete e poi ve ne andate. Questa è una riunione zero. lo sono totalmente allineato: contro gli Stati Uniti, contro Israele e contro la NATO. Mi considero sciolto da questa assemblea che racco glie spie e traditori. Non sono venuto qui a sputtanarmi sedendo a fianco dello Zaire, del Camerun, della Costa d’Avorio e dell’Egitto, che riconoscono Israele. Non sta bene che un rivoluzionario come me sieda con questi fantocci." OK! Il mondo oggi è totalmente, oggettivamente allineato. Si tratta di prenderne atto e di scegliersi il fronte.

Secondo: l’indipendenza di molti paesi "non allineati" è totalmente formale. I paesi francofoni non sono liberi, non sono sovrani. Sono spie, sono la quinta colonna fra di noi, indegni di sedere in mezzo a noi. Sono la vergogna dell’Africa... Anche le colonie inglesi non sono indipendenti quando sono membri del Commonwealth. Siete proprietà della Gran Bretagna, questo vuoi dire Commonwealth."

Terzo: la lotta anti-imperialista può concepirsi solo nel quadro di un impegno che travalichi i confini del "proprio" popolo, del "proprio" stato, e ne consegue un impegno preciso. "Dobbiamo creare una forza internazionale per la nostra difesa collettiva. Chiederò la creazione di un esercito di decine di migliaia di individui che le portaerei non potranno fronteggiare."

E’ fin troppo facile "prevedere" che questo impegno non potrà essere portato avanti sino in fondo da nessun Gheddafi in quanto lo scatenamento di una lotta di massa sovracontinentale significherebbe la messa in causa della stessa struttura su cui poggia il sistema degli "stati rivoluzionari" dell’area dominata o controllata, cui ogni Gheddafi (per non parlare degli Ortega o delle Aquino) preferisce di gran lunga i rapporti tra stati "amici" con relativi traffici tra borghesie "amiche", ad esclusione di ogni partecipazione in prima persona dei proletari e delle masse sfruttate (da essi stessi). A dimostrazione di ciò sta la prontezza con cui, per fronteggiare gli USA, ci si va a cacciare sotto l’ombrello del Patto di Varsavia (foriero, noi diciamo, di atroci delusioni per le aspettative di questi paesi), al preciso patto di recidere ogni possibile legame rivoluzionario con il proletariato dei Paesi "socialisti", guardati anzi con ostilità quando essi osano ribellarsi (e non c’è dubbio che un Gheddafi sarebbe a fianco degli "amici" del Kremlino contro un’insurrezione operaia interna, così come lo fu a suo tempo Castro).

La nozione stessa di un rapporto rivoluzionario col proletariato metropolitano è ignota a i vari Gheddafi. Giusto. Ma, ripetiamolo, imputiamo soprattutto a noi, proletari delle metropoli, al nostro silenzio, quando non al nostro accodamento ai diktat ed alla propaganda dell’imperialismo, l’assenza di un disegno strategico che da noi e solo da noi dipende. Finché una forza in questo senso non si sarà chiaramente levata in Occidente c’è ben poco da recriminare sul fatto che siano altri, nostri avversari, a sollevare la bandiera di una lotta sacrosanta e sui suoi destini...

(Che Fare n. 7 – ottobre/dicembre 1986)